Ci sono figure che sanno unire il rigore della scienza alla capacità di comunicare con un tono cordiale, amichevole e umano, rendendo accessibili anche i concetti più complessi. Antonella Viola è una di queste. Professoressa ordinaria di Patologia Generale all’Università di Padova, scienziata di fama internazionale e autrice di numerosi saggi di divulgazione, è riuscita a diventare un punto di riferimento durante la pandemia, quando la scienza era chiamata a rispondere all’incertezza collettiva.

Oggi, con il suo nuovo libro Il tempo del corpo (Feltrinelli), Antonella chiude una trilogia dedicata alla salute e ci invita a riflettere sul valore del nostro tempo. Antonella Viola non è solo una scienziata, ma una voce che sa parlare al cuore del lettore. E il suo messaggio è chiaro: il futuro, se lo vogliamo, può essere migliore. Sta a noi ascoltare il ritmo del nostro corpo, rispettarlo e scegliere con consapevolezza. La incontriamo per il Salotto di Domanipress nel suo studio a Padova, circondata da libri e ricordi di una carriera vissuta con passione per parlare di scienza, salute e vita.

Antonella, il tuo libro esplora un tema affascinante: il tempo del corpo. Come è nato questo progetto?

«È stato quasi inevitabile. Negli ultimi anni, mi sono chiesta più volte cosa significhi veramente vivere in salute, non solo in termini di assenza di malattie ma come equilibrio tra corpo e mente. Tutto è partito da una domanda semplice ma universale: cosa possiamo fare, concretamente, per vivere meglio e più a lungo?».

Una domanda piuttosto complessa…

«Si, ma la risposta, in realtà, è più vicina di quanto pensiamo: dobbiamo imparare a rispettare i ritmi naturali del nostro corpo. Viviamo in un’epoca in cui il tempo è diventato una merce di scambio, spesso sacrificato per il lavoro o altre priorità, ma non possiamo barattare il tempo del riposo senza pagarne le conseguenze. Dormire almeno 7-8 ore per notte non è un lusso, è una necessità biologica. Eppure, sottovalutiamo quanto questo influisca sulla nostra salute complessiva».

Il sonno, quindi, come pilastro della salute. E gli altri fattori?

«Certamente il sonno è centrale, ma non possiamo dimenticare altri elementi: un’alimentazione sana, l’esercizio fisico regolare, l’esposizione al sole in modo responsabile. Nel libro parlo di come tutti questi aspetti siano connessi. È un tema che mi sta molto a cuore: se comprendiamo come funziona il nostro corpo, possiamo fare scelte più consapevoli e smettere di inseguire soluzioni miracolose o mode che promettono risultati impossibili».

Il fine ultimo di questa ricerca è la longevità?

«Il mio obiettivo è aiutare le persone a prendersi cura di sé in modo semplice, senza complicazioni. La scienza non deve spaventare, deve essere un’alleata».

Hai menzionato l’importanza della scienza. Come reputi il ruolo della divulgazione oggi?

«Fondamentale. La scienza, per diventare patrimonio collettivo, deve essere accessibile. Ma viviamo un paradosso: nonostante l’informazione sia a portata di clic, c’è ancora molta confusione. La disinformazione, soprattutto sui social, si diffonde con una rapidità allarmante, e questo è pericoloso».

Le istituzioni dovrebbero regolamentare maggiormente questo aspetto?

«Credo che la divulgazione sia una forma di responsabilità sociale. Nel nostro Paese, però, l’alfabetizzazione scientifica è ancora un punto debole. Studiamo più letteratura classica che scienza, e questo è un limite che dobbiamo superare. La scienza non è solo per pochi eletti: riguarda tutti, perché incide sulle decisioni che prendiamo ogni giorno, dalla scelta di un farmaco alla comprensione di una terapia. Democratizzare la conoscenza è un dovere».

Durante la pandemia, sei stata una figura di riferimento per molti. Che esperienza è stata?

«Un’esperienza unica, nel bene e nel male. Prima del Covid, la mia attività di divulgazione era più tranquilla: conferenze, libri, articoli. Ma durante la pandemia è cambiato tutto. Le persone avevano paura, cercavano risposte, e noi scienziati ci siamo trovati sotto i riflettori».

Come si comunica in un momento di crisi?

«Ho cercato di mantenere un tono pacato, spiegare i fatti senza alimentare il panico. Molti mi scrivevano per ringraziarmi, dicendo che li aiutavo a sentirsi meno soli. Questa è stata la parte più gratificante. Ma ci sono stati anche momenti difficili. Non è facile comunicare in una situazione di emergenza, dove ogni parola può essere fraintesa. Ho ricevuto minacce sui social e, in un caso, un proiettile al lavoro. Per nove mesi ho vissuto sotto scorta. È stato un periodo complicato, ma non ho mai smesso di credere nell’importanza di quello che facevo».

Un episodio che ti ha colpita particolarmente?

«Un giorno, una signora mi ha fermata per strada. Mi ha detto: ‘Durante la pandemia, tu eri la mia migliore amica. Ogni volta che ti ascoltavo, mi sentivo meno sola.’ È un ricordo che porterò sempre con me. È la prova che comunicare non significa solo trasmettere informazioni, ma anche creare un legame umano».

Sei anche una donna impegnata nel sociale. Si è parlato del tuo gesto di ospitare una famiglia in difficoltà. Come vivi il fatto che questa storia sia diventata pubblica?

«Avrei preferito che non lo fosse, ma capisco che, quando sei un personaggio pubblico, tutto viene amplificato. Non mi dà fastidio, se può servire da esempio. È importante mostrare che possiamo fare del bene senza paura, che la solidarietà non è un gesto straordinario ma parte della nostra quotidianità».

Questo interesse dei media ti ha dato fastidio?

«In realtà, mi hanno infastidito di più altre cose: commenti sul mio aspetto, sulla mia vita privata, sul mio modo di essere. Ma cerco di non farmi condizionare. Preferisco concentrarmi su ciò che conta davvero».

Antonella, sei nata a Taranto, una città con molte difficoltà ma anche grande bellezza. Come la vivi oggi?

«Taranto è una città complessa, con un passato difficile, ma è anche un luogo di grande potenziale. Ho visto che è risultata quasi ultima in una classifica ISTAT, e mi dispiace. Non penso che meriti quella posizione. È una città piena di storia, cultura, cibo straordinario. Certo, ci sono problemi, ma non possiamo ridurre una comunità ai suoi limiti. Mi piacerebbe che le persone la scoprissero davvero, andando oltre i pregiudizi».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Antonella Viola, quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Da scienziata, il Domani lo vedo con ottimismo. La ricerca sta facendo passi da gigante, soprattutto in ambiti che un tempo sembravano impossibili. Malattie considerate incurabili oggi possono essere trattate con successo. Immagino un futuro libero dalla sofferenza e dalla malattia, dove la scienza continui a migliorare la qualità della vita. E voglio pensare che saremo capaci di prenderci più cura gli uni degli altri. Alla fine, questo è ciò che conta di più».

Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.