Il brevissimo romanzo del noto scrittore argentino Jorge Luis Borges “Il manoscritto di Brodie” è in realtà una raccolta di piccoli racconti concentrati in meno di un centinaio di pagine, per lo più basati su sue esperienze, dirette o indirette.
Ciò che dà il titolo all’intero libro è in effetti l’ultimo mini-racconto di quest’opera in prosa dell’autore; il manoscritto, del missionario scozzese che lo firma, pare fu tradotto in spagnolo dallo scrittore, come lui stesso spiega, e fu scoperto da egli assieme all’amico in un esemplare del primo volume delle Mille e una notte. Esso racconta della tribù degli uomini-scimmia, presso cui David Brodie aveva vissuto.
L’intento del lavoro di Borges, come egli stesso definisce nel prologo, è quello di “redigere racconti lineari”, più in là parlerà anche di “racconti realisti”, rifacendosi un po’ a Kipling, il quale, come Borges ricorda, aveva in qualche modo riprodotto ciò che aveva creato in gioventù; più o meno quello che accadde allo stesso autore.
Borges espone inoltre i suoi punti di vista e i suoi intenti, alludendo perfino alle sue idee politiche; tutto ciò, molto probabilmente, per preparare il lettore ad affrontare queste pagine senza colpi di scena, in linea con uno stile più maturo al quale egli stesso aveva ormai compreso di appartenere in questa fase della sua vita.
Perchè rileggerlo oggi?
I racconti di Borges sono eterogenei e trattano tematiche di passioni, amori, viaggi, duelli e crimini. I testi non sono mai noiosi e riescono nella brevitas di poche pagine ad essere allegoria di temi attuali quali: l’ intolleranza, il maschilismo e la violenza con una vena ironica mai scontata. Consigliato a chi cerca una lettura autunnale di poche pagine che sappia far riflettere tra un cambio di stagione e l’altro.
Patrizia Pecoraro