Cristina Comencini è una regista, sceneggiatrice e scrittrice, che riesce meglio di chiunque altro a raccontare le dinamiche femminili e gli equilibri familiari attraverso le pagine letterarie e le pellicole cinematografiche operando una sovversione dei canoni e del prestabilito restituendo una fotografia sincera, mai banale, capace di precorrere i tempi e di indagare la vita come una lente di ingrandimento puntata sull’io più profondo. Oltre alle candidature all’Oscar ai vari Nastri D’argento ed altri riconoscimenti la Comencini si è da sempre spesa per la lotta femminista impegnandosi in movimenti come il “Se non ora quandoed il recente Appello per l’Europa” firmato da donne della cultura e della scienza di vari paesi, tra cui Elena Ferrante, Dacia Maraini, Julia Kristeva, Annie Ernaux, Marcella Diemoz, solo per citarne alcune, in cui si chiede di riportare la realtà europea a quei valori che l’universo femminile ha da sempre custodito: le relazioni, la solidarietà e la responsabilità. Oggi la regista de’ “La Bestia nel cuore” è tornata anche in libreria con il nuovo romanzo edito da Einaudi intitolato programmaticamente “L’ altra donna“, un romanzo che racconta il rapporto tra due donne in un gioco di specchi tra guerre silenziose, feroci confronti generazionali e improvvisi gesti di dolcezza che restituiscono uno svolgimento inatteso, dove anche nel peggiore dei sabotaggi si nasconde la chiave del dialogo e dell’amicizia. Noi di Domanipress abbiamo avuto il piacere di ospitare nel nostro salotto virtuale Cristina Comencini per parlare con lei, in questa intervista esclusiva da leggere ed ascoltare, della forza delle parole e di universo femminile ai tempi del covid-19 tra lockdown e nuova normalità domestica all’insegna della convergenza tra pubblico e privato.

Il titolo del suo ultimo romanzo “L’altra donna” contiene un termine divisivo, invece il libro racconta la storia di un incontro tra due donne. Nella letteratura non ci sono molte storie che raccontano la complicità femminile….i tempi sono cambiati?

«Si, “L’ altra donna” è la rivale per eccellenza, una figura che può essere anche solo immaginata, è dentro la testa, è tutto ciò che è altro da se con cui ci si confronta e che può essere migliore o peggiore rispetto ad una percezione personale. Nella storia della letteratura il rapporto tra donne è spesso stato descritto, in maniera molto pertinente rispetto alla realtà, sotto la luce dell’antagonismo che certe volte può scattare anche rispetto ad un uomo. Nel libro ho cercato di descrivere una storia rivoluzionaria in cui due donne destinate a restare divise ai lati opposti delle barricate, per un inganno della donna più adulta, riescono a dialogare tra loro incontrandosi sui social network ed attivando un dialogo che fa innescare delle dinamiche di scoperta rispetto all’uomo, Pietro, conteso da entrambe e ad altri orizzonti che si sviluppano. Le donne in generale per loro natura fantasticano molto sull’ “altra”, In questa storia i meccanismi che siamo abituati a conoscere cambiano radicalmente e raccontano la scoperta di identità nuova che si basa sulla conoscenza in una geometria sociale estesa».

Maria ed Elena sono due donne a confronto che rappresentano due generazioni differenti…da dove derivano gli spunti di questa profonda antitesi?

«Nel libro l’io narrante è definito dalla donna più giovane; mi interessava indagare il confronto generazionale perché le ragazze di oggi vivono le conquiste delle generazioni precedenti che per altro vivevano la contraddizione tra la la modernità che stava avanzando e la tradizione che vedeva ancora nella maternità e nell’esclusiva subalternità al uomo un fulcro importante per definire se stesse. Il rapporto tra Maria ed Elena è interessante perché mette in evidenza contrasti ed analogie dove il punto d’incontro è quello riguardante il protagonista maschile, Pietro, che alla fine spiega le sue ragioni con grande sincerità. Nonostante la divergenza anagrafica le due donne riscoprono il valore della complicità, questo è un aspetto moderno. Si parla spesso di cameratismo ed intimità tra uomini, oggi è possibile parlare anche di un rapporto più stretto tra donne».

La scrittura ha un ruolo fondamentale nella storia….le protagoniste scrivono delle lettere con carta e penna. Nella scrittura qual ‘è il suo supporto preferito?

«Le due donne del romanzo si parlano attraverso facebook ma stabiliscono un rapporto privato che gli altri non leggeranno…Oggi è difficile pensare ad una lettera scritta con carta e penna, personalmente anch’io se dovessi scrivere una lettera preferirei scrivere una email, tranne casi del tutto eccezionali, ormai siamo tutti abituati a scrivere con i supporti digitali, l’utilizzo della carta e della penna è quasi totalmente archiviato è ormai un istituto anacronistico…forse utilizzerei ancora la scrittura a mano per un messaggio strettamente privato o per scrivere un bigliettino…».

Da suo padre ha ereditato la passione per la scrittura cinematografica…é stato difficile imporsi con un cognome così importante?

«Mio padre era per la meritocrazia e detestava il nepotismo ma credeva fermamente nel valore delle donne, questo mi ha dato coraggio. Non è stato tutto facile ma i risultati si sono visti a lungo termine, è il pubblico che decreta il successo di un film non il cognome che porti».

Lei è si è spesa molto nella lotta femminista. In uno dei suoi testi teatrali “Due partite” è passato alla storia lo sfogo di Sofia, studiato anche al Dams, che alla fine esplode in un’invettiva contro la visione di madre che alberga nella società italiana degli anni sessanta…Oggi la situazione è cambiata?

«Due partite è nato come una pièce de théatre in cui si racconta l’universo femminile, visto attraverso gli occhi di quattro donne, che negli anni sessanta si incontrano ogni giovedì pomeriggio per giocare a carte e raccontarsi i loro problemi e le loro paure. Trent’anni dopo le loro figlie si riuniscono dopo la morte di una di loro che si suicida perché affermava di essere sola. Cio che emerge è che nonostante la modernità e l’emancipazione, le paure e le angosce dell’essere donna non sono differenti rispetto a trent’anni prima. Mi fa molto piacere che questo testo sia studiato al Dams, lo sfogo di Sofia credo che oggi si debba rovesciare perché abbiamo così tanto criticato il ruolo delle donne madri che oggi è una figura completamente impoverita e di figli ne nascono pochi…Il problema oggi è rivalutare e riscoprire l’importanza della maternità che è un grande valore non solo individuale ma per tutta la società. Nel mio nuovo romanzo Elena, che non riesce ad avere bambini, pensa all’inseminazione artificiale nell’ipotesi di non riuscire a trovare un compagno…direi che è quasi in antitesi con Sofia».

A proposito di donne lei ha diretto nei suoi film diverse protagoniste femminili da Margherita Buy a Giovanna Mezzogiorno…Quali sono le caratteristiche che le piace ritrovare in un’attrice?

«Posso dirti che c’è sempre una proiezione personale sulla scelta di alcune interpreti, il nostro ego e forte e spesso le scelte che compiamo quotidianamente sono motivate dalle affinità che riusciamo a vedere nell’altro, che sia uomo o donna è indifferente. A livello di recitazione a me piacciono gli attori irrazionali che non indossano troppe maschere e che interpretano senza porsi troppi problemi nel capire ma che si lasciano trasportare in maniera viscerale nel personaggio. Tutte le attrici che hai nominato sono ipersensibili, hanno una capacità di sentire il personaggio oltre ciò che leggono e studiano restituendo qualcosa che è oltre le righe non lavorando troppo con la testa».

Giovanna Mezzogiorno è protagonista del film “Tornare” che, a causa della pandemia di coronavirus e la chiusura delle sale cinematografiche, è sbarcato on demand senza passare per i cinema…

«Siamo riusciti a far arrivare il film al pubblico in un periodo particolarmente difficile. Posso dirti che Giovanna è stata perfetta perché la storia del film racconta qualcosa che lei aveva realmente vissuto, è un’attrice straordinaria che riesce a condurti in una realtà interiore in cui puoi credere completamente. È drammatica, ma anche molto forte e questo mi restituisce sempre una sensazione di grande lealtà, perché non indossa maschere. È stato piacevole lavorare ancora con lei dopo tanti anni si è creato un bel feeling».

Un altro dei temi centrali della sua produzione cinematografica è il racconto della realtà familiare…Oggi tra lavoro da remoto e periodi di reclusione forzata le dinamiche relazionali ed educativo della famiglia è mutato…Come vede questo cambiamento?

«Si l’ho anche scritto, recentemente ho lanciato un appello ai governanti d’Europa, le donne riconoscono da sempre che pubblico e privato non sono capitoli separati della vita. Ma gli effetti della pandemia ci fanno ritrovare, donne e uomini, davanti a questa comune consapevolezza. Oggi è utile essere uniti per dire basta agli egoismi nazionali e per affermare che è il momento di ricostruire i nostri Paesi con un grande progetto comune che metta al centro gli esseri umani. Se anche un veggente ce lo avesse detto, mai avremmo potuto pensare che un giorno in tutto il mondo ci si sarebbe fermati e saremmo dovuti tornare forzatamente nelle vostre case per restarci fino a data da destinarsi trasferendo in un unico luogo l’ufficio, la scuola e la famiglia. Il lockdown ha ridisegnato i confini del pubblico e del privato, ciò che ho chiesto all’Europa e di mettere le donne al centro della rinascita. Non dobbiamo dimenticare che la cronaca è impietosa, nei primi tre mesi di confinamento, aggressioni e femminicidi sono aumentati e molti rapporti non hanno retto. In generale il lockdown è stata una prova di verità in cui ognuno ha fatto i conti con il proprio privato e questo non è semplice in una società veloce che non si sofferma molto su questi aspetti».

Altro tema cruciale di quest’ultimo romanzo è quello della sofferenza in amore…Madre Teresa di Calcutta disse: “Il vero amore deve sempre fare male. Deve essere doloroso amare qualcuno, doloroso lasciare qualcuno. Solo allora si ama sinceramente.” Lei è d’accordo con questa affermazione?

«La separazione in amore è vissuto come un lutto che deve essere necessariamente elaborato, i francesi dicevano che “Tout passe, tout lasse, tout casse” io non sono totalmente d’accordo con questa visione della vita ma è innegabile che il tempo è una cura. La letteratura entra dentro il dolore per esprimerlo sotto varie forme. La separazione o la concezione dell’altra donna nel libro non sembra più un problema perché può essere possibile che ci sia un altro uomo. La giovane protagonista dice che la cattedrale dell’amore è crollata ma è sempre possibile ricostruire, c’è sempre una possibilità che ci aspetta. Nella vita funziona così, il passato non lo si può dimenticare e lo si porta sempre dietro ma un futuro nuovo è sempre possibile e può portare nuove parole e una nuova narrazione».

Suo figlio Carlo Calenda ha fondato un nuovo partito chiamato “Azione”…anche nella politica oltre agli obiettivi le parole sono fondamentali per comunicare con elettori. Da mamma scrittrice ed autrice c’è un consiglio che le ha dato? Come reputa il “lessico politico” dei nostri giorni?

«Io, in realtà non ho dato nessun consiglio a mio figlio Carlo, l’ho lasciato libero di percorrere la sua strada. Il nostro è un rapporto privatissimo madre figlio, da genitore credo che la miglior cosa da fare sia crescere dei figli con una visione aperta al mondo. Carlo ha una caratteristica che ha ribadito molte volte, quella di dire sempre la verità anche quando non è gradevole ed è particolarmente dura e questa è una caratteristica che esprimo anch’io in letteratura. Secondo me è necessario non offuscare mai ciò che si vuole esprimere, anche quando è particolarmente aspro…bisogna sapere arrivare al nocciolo delle cose con sincerità. In politica come in letteratura oggi più che mai abbiamo bisogno di verità perché spesso da cittadini non abbiamo il polso della situazione, non riusciamo a capirlo ed è come se ci venissero comunicati dei messaggi contradditori spesso troppo semplicistici oppure troppo violenti ed ostili. Non abbiamo mai la sensazione di ricevere un messaggio pulito e chiaro».

Scrivere per il cinema, il teatro e la letteratura…quali sono le differenze?

«Ciò che accomuna la scrittura per questi tre mondi diversi è la caratterizzazione dei personaggi, anche se il modo di farli vivere è differente. Al cinema ci sono le immagini che raccontano tanti elementi e a teatro hai un tempo ben definito e un’azione scenica in cui si sviluppa la storia. La scrittura di un libro invece ti mette difronte ad un universo che puoi esplorare, è un viaggio anche dentro se stessi».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il Domani Cristina Comencini, quali sono le sue speranze e le sue paure?

«Spero che nel Domani possiamo riacquistare la nostra libertà, quella di abbracciarci senza paura e che il Covid-19 smetta di determinare le nostre giornate. L’ affrontare la pandemia ci ha reso globali, non solo economicamente, stiamo vivendo una condizione di sofferenza comune che ha fatto riscoprire il valore di essere uniti, mi auguro che questo aspetto sia compreso e che si rafforzi perché, ora più che mai, non ci si salva da soli».

Intervista Esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.