Videogames: tra update, versioni remastered e mod: stiamo perdendo qualcosa per sempre?

Correva l’anno 2007 e il sottoscritto, insieme a un mucchio di altri videogiocatori giovani e facilmente impressionabili dalle nuove tecnologie, veniva abbagliato dalla meraviglia che era “S.T.A.L.K.E.R. Shadow of Chernobyl”. Ciò che quel gioco offriva all’epoca era assolutamente pazzesco, visionario, nuovo.

Viene da ridere pensando a cosa possono fare i videogiochi moderni, anche con un budget ridotto, rispetto a quello che STALKER poteva offrire.Eppure rimane un Cult Classic, ma anche tralasciando il ruolo storico che ha avuto, vi garantisco che quel gioco, per me e per molti, era pura euforia.

Aveva una buona atmosfera, grafica gradevole e una storia interessante? Sì. Assolutamente. Era divertente? Mamma mia se lo era. Ho consumato il mio CD originale fino a polverizzarlo, ho perso il conto di quante volte l’ho finito e ricordo ancora vividamente tutti i segreti, le scorciatoie, i trucchi, le mappe e i personaggi.

Era forse un gioco bilanciato, ben realizzato, solido dal punto di vista tecnico e privo di bug? Ragazzi… quel gioco poteva essere stato codificato da Satana in persona.

Un Frankestein di difetti tecnici, un vomito di codici informatici, quel gioco era già ambientato in un mondo assurdo e illeggibile, ma se ci aggiungiete tutti gli imprevisti derivati da un prodotto videoludico realizzato più con pratiche sciamaniche che con scienza e tecnologia applicata sarebbe meno allucinato mettersi a fissare un quadro di Picasso dopo aver ingoiato un cubetto di zucchero pucciato nell’LSD.

Ma tutti questi casini, invece che suscitare astio e frustrazione hanno dato a STALKER un livello di identità in più. Da un lato l’immersione era totale, dall’altro era chiaro che stavamo camminando nei meandri della visione di qualcuno, insieme alle sue tribolazioni lavorative.

C’era imperfezione ma c’era anche passione. E dal momento che il gioco era ambientato nella “Zona”, un posto dove le leggi della fisica e del mondo esterno spesso vengono meno, se un nemico clippava dentro un muro per poi sparire nell’etere, il fan di STALKER medio avrebbe rivolto i palmi al cielo e proclamato “La Zona reclama un altra anima a sé”.

Oggi, se volete giocare a STALKER ci sono tonnellate di mod e patch da sfruttare per pulire, correggere e migliorare l’esperienza originale. Possiamo giocare al gioco libero dai suoi vecchi difetti oppure traformarlo a nostro piacimento. Oggigiorno nessuno gioca a “STALKER”, ma gioca al “suo” STALKER.

Tutto questo per dire cosa? Prima di tutto ogni videogioco è un prodotto derivato dalla visione e dal lavoro degli sviluppatori. Come leggere un libro o guardare un film, stiamo accettando la “proposta” di un autore, la sua visione artistica, le sue scelte e i suoi errori o mancanze (consapevoli e non).

Oggi, ogni prodotto videoludico che andiamo a toccare raramente è la visione originale degli sviluppatori. Se è un titolo troppo vecchio, inevitabilmente è stato patchato, aggiornato e rimescolato per farlo andare sui sistemi moderni. Il problema è che spesso queste migliorie non si fermano al livello tecnico ma anche a livello artistico. Perchè? Ci sono mille scuse: non va bene per un pubblico moderno, è meglio così, tanto la versione originale faceva schifo, così è più bello etc…

E poi abbiamo le Remastered. A volte sono un effettivo miglioramento, altre volte sono semplicemente un altro gioco che non c’entra niente, altre volte sono gusci senz’anima fatti solo per macinare un paio di soldi in più con la pretesa di una grafica migliore.

Il punto è che qualsiasi prodotto derivato da una visione artistica non solo è il risultato di un idea, ma anche dei mezzi, del suo tempo e dello spirito con cui è stato realizzato. E’ un ingenua illusione pensare che ogni autore sia totalmente in controllo e consapevole della sua visione. Gli autori (ma anche gli esseri umani in generale) non sono giganti onniscenti perennemente consapevoli di sé e del mondo che li circonda. Figuriamoci delle proprie idee.

Un opera d’arte è, tra le altre cose, un fermoimmagine, perchè, a un certo punto, l’artista si deve pur decidere. Puoi essere perfezionista quanto vuoi ma a un certo punto ti tocca dire “basta, ora ho finito”. Un po’ come quando io, se rileggo i miei articoli su questa stessa rivista, inevitabilmente incappo in irritanti errori di battitura nonostante mi sia ripromesso dozzine di volte, davanti a Dio in persona, di rileggere e ricontrollare costantemente cosa scrivo. Ci provo ma niente. Qualcosa sguscia sempre fuori.

Ora, questo non è un discorso derivato dalla nostalgia e non è una regola incisa nel marmo. E se per caso qualcuno dovesse dire che la remastered di HomeWorld è peggio dell’originale, dategli del pazzo e non invitatelo alle feste. E se volete giocare a STALKER, fatevi un giro in un catalogo di patch e mod, poiché se doveste mettere le mani su una prima edizione e installarla sul vostro moderno PC rischiate di creare un portale quantico per un altra dimesione o evocare accidentalmente il Maligno.

Il discorso è legato alla necessità di archiviazione, di memoria e al classico vecchio detto “chi non impara dal passato è destinato a ripeterlo”, tutti gli errori, specie di design, sono fatti per essere appresi e digeriti. Ci sono tonnellate di giochi (specie i grandi titoli a tripla A) che incappano goffamente sempre negli stessi errori, e non è mica una cosa propria del nostro tempo.

Un critico di videogiochi di origine Australiana, chiamato in Arte “Yhatzee”, un bel giorno compose un calzante motivetto Jingle per esprimere questo strano circolo vizioso:

“Let’s all laugh at an industry, that never learn anything, Thee-hee-hee”.

I videogiochi sono un prodotto artigianale, che devono essere composti manualmente pezzo per pezzo. Uno sviluppatore, benché maneggi, almeno idealmente, la più avanzata o conveniente tecnologia su cui può mettere le mani è di fatto un professionista che lavora mettendo le mani in pasta, non è un operaio in una catena di montaggio e qualsiasi intervento di modifica andrà inevitabilmente a falsare la visione originale.

Se si dovesse riscrivere “Aspettando Godot” di Samuel Beckett con la stessa mentalità con cui le aziende realizzano certi titoli remastered, probabilmente si andrebbe ad aggiungiere una scena extra dove, finalmente, Godot arriva. Eccerto, perché secondo te Beckett non l’ha scritto per pigrizia?

Per non parlare della malsana abitudine, stavolta tutta moderna, di rilasciare un videogioco volutamente incompleto per risparmiare budget e riempire i buchi “un domani”. Una volta bug e difetti tecnici potevano indubbiamente essere considerati parte integrante dell’identità del gioco, ma oggigiorno fare così è una triste scusa per giustificare meschini tagli di budget. Quindi non avremo una versione “originale” fedele alla visione degli sviluppatori né oggi né domani.

Ci sono molti titoli che non rispecchiano più la loro versione originale, che non significa che siano peggiori. Ma la domanda rimane: quando revisioniamo, invece che creare qualcosa di nuovo, cosa andiamo a perdere?

Francesco Viglione

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Appassionato di cinema, teatro, serie televisive e videogiochi fin da quando ha memoria diplomato alla Scuola Holden di Torino, il suo percorso di studi spazia dalla drammaturgia teatrale alla sceneggiatura, passando per la narrativa tradizionale.