Quando parla della sua vita Deborah Anne Dyer in arte Skin Skinny, leader degli Skunk Anansie, alza il tono della voce e ci mette la stessa passione selvaggia di quando si esibisce sul palco per gridare attraverso le sue canzoni messaggi sociali ed invettive contro il sistema conformista piccolo borghese, rivendicando il suo esistere orgogliosamente diversa, fuori dal coro, in una sensualità ed una forza travolgente che supera i limiti di genere e i modus binari che ingabbiano la società moderna. «Dopo tutta la lotta che ho sostenuto, posso essere quello che ho sempre voluto» ci dice con gli occhi pieni di luce, ma quella felicità è frutto di un percorso di vita tortuoso, quello di una ragazza nera e proletaria che voleva cambiare il mondo della musica, svelato oggi in un libro intitolato “It takes blood and guts” edito da Solferino che racconta le sue origini giamaicane, l’infanzia vissuta tra la working class di Brixton, la formazione degli Skunk Anansie nei maleodoranti retrobottega dei pub londinesi negli anni Novanta sui palchi di Glastonbury tra successi ed incontri fortunati come quello con Nelson Mandela. Noi di Domanipress abbiamo avuto l’onore di ospitare Skin Skinny degli Skunk Anansie nel nostro salotto virtuale per parlare con lei di femminismo, religione, social media, della recente vittoria di Joe Biden e di pregiudizi da abbattere oltre il colore della pelle nel segno della libertà di essere sempre e semplicemente se stessi.

* È possibile ascoltare l’intervista in lingua inglese sul Podcast di Domanipress in calce all’intervista // The interview in English is available in audio format on the Domanipress Podcast at the bottom of the article.

INTERVISTA PUBBLICATA IL 2 MARZO 2020

Com’ è nata l’esigenza di scrivere un libro per raccontarti? Per molti la scrittura è un atto terapeutico è stato così anche per te?

«Volevo raccontare una sorta di storia alternativa rispetto a molti libri che si pubblicano ora sul Britpop. In Inghilterra si parla molto di questo genere. Come se fosse l’unica cosa che accadeva nel Regno Unito negli anni 90′ e sì, il Britpop era molto influente, ma erano anche importanti tutte le altre storie dei personaggi che stavano avendo successo nello stesso momento, c’eravamo noi degli Skunk Anansie, i Goldie, molto Trip-pop, i Portishead… In quel periodo c’erano molte band che erano, non solo Britpop. Quindi, ho sentito anche, con l’avvento dei miei primi venticinque anni di musica, l’esigenza di raccontarmi. Quando avevo 30 anni, pensavo fosse giunto il momento di creare una strada parallela, una nuova musica diversa da quella che si ascoltava in giro, ed ho cercato raccontare questa affascinante storia».

Nel libro racconti del tuo rapporto con la musica; Quando hai capito il rock sarebbe stato il tuo futuro? Cosa rappresenta oggi la musica per te?

«Beh, il modo in cui ho trovato la musica rock è stato casuale come il rimbalzo di una pallina da ping pong. Quando avevo cinque anni nessuno mi ha dato una chitarra e ha detto, suona questo. E quando avevo 10 anni nessuno mi ha regalato un disco dei Beatles! Ho scoperto i Led Zeppelin perché la loro musica faceva da colonna sonora ad un programma televisivo musicale molto famoso in Inghilterra chiamato Top of the Pops. E, sai, quel jingle musicale è stato il motivo per cui ho imparato ad amare i Led Zeppelin. “Whole Lotta Love” dei Led Zeppelin è stata la prima canzone rock che abbia mai ascoltato, ero sempre seduta davanti alla TV e guardavo Top of Pops, per me era una finestra su un altro mondo, rappresentava qualcosa che non trovavo nella mia comunità. Il mio mondo predestinato era il soul, il reggae è l’ r & b puoi immaginare, era il tipico genere di musica nera».

Perché non sei riuscita a ritrovarti nella musica soul ed hai scelto il linguaggio del rock?

«Quella musica mi piaceva e mi interessava ma non era la musica che volevo fare, perché sapevo che non ero io, preferivo realizzare qualcosa di più interessante, più tagliente, più pungente e più politico e non così morbido e simpatico, direi. E poi volevo andare in tv e andare a cantare con Boy George».

Effettivamente la black music raramente funziona in televisione e negli stadi…

«Io volevo salire sul palco, andare in TV e stare accanto a Blondie ma semplicemente non sapevo come farlo. Quindi, per me il mondo della musica è stato un viaggio di scoperta, ho iniziato per tentativi sperimentando per scoprire chi ero e cosa volevo fare, e come volevo farlo. Dovevo solo provare e riprovare, finché ho trovato la strada giusta».

Il tuo nome d’arte Skin è un atto di rivendicazione….

«La pelle è in realtà l’altra metà del mio nome d’arte Skin Skinny. Quindi Skinny, cioè magra, è il mio soprannome perché ero molto leggera quando ero giovane. A quei tempi, essere magri non era una cosa interessante. Non era un elemento positivo all’interno della mia comunità, perché tutti cercavano sempre di spronarmi a mangiare di più. Quindi, non è davvero un nome d’arte. È più come un soprannome».

Conosco perfettamente ciò che vuoi dire…Rispettivamente al colore della pelle cosa ne pensi delle recenti manifestazioni circa il Black Lives Matter? Perché è ancora difficile essere neri in America e nel mondo?

«Per me è un po’ difficile rispondere, io sono inglese, non sono americana. Penso che l’esperienza del razzismo e del Black Lives Matter in Inghilterra sia davvero molto diversa rispetto a quella dei neri americani. Quindi, non posso raccontare la loro storia. Adesso sono a New York, posso vedere che il modo in cui si comporta la polizia è molto simile a quando ero piccola. In Inghilterra abbiamo avuto lo stesso tipo di livello di brutalità e violenza della polizia. Devi sapere che io sono di Brixton ed ho affrontato diverse rivolte e sommosse, noto molte somiglianze con il clima attuale americano…».

Inghilterra ed America in cosa ti sembrano differenti in tema di pregiudizi raziali?

«La più grande differenza tra l’America e l’Inghilterra, dal mio punto di vista, è che a Londra non abbiamo un utilizzo massivo delle pistole; la polizia in America ha le stesse armi dell’esercito, hanno armi militari. Si comportano come se fossero l’esercito, ed è facile assistere a una rivolta o qualcosa del genere. La nostra polizia, quella europea e i cittadini in Inghilterra non hanno armi. Penso che se i poliziotti in Inghilterra avessero delle armi avremo una casistica molto simile all’America».

skin per sisley

L’utilizzo delle armi può essere la causa di tanta violenza?

«C’è qualcosa di insano in alcune persone che sono attratte dall’essere armati e dal potere e quando viene usato nel modo sbagliato, è molto devastante. Quindi, trovo che il Black Lives Matter sia uno dei movimenti più importanti al mondo in questo momento. Io sono con loro e li sostengo perché guardo quello che stanno affrontando in America e ricordo le somiglianze di quando ero più giovane. Penso di poter davvero capire perché sono così spaventati, perché la polizia è incredibilmente violenta e offensiva. Adesso è molto importante che questa voce sia così forte ora e che sia ovunque. Confido nell’intervento di Joe Biden.

C’è bisogno di un grido universale e di governanti illuminati perché alcuni problemi ci accomunano più di quanto si possa credere…

«Certo, anche in Italia avete gli stessi problemi. Hai le stesse ingiustizie con il corpo di polizia. Ricordo di aver visto il film su quel ragazzo che è stato picchiato in una cella di polizia (Si riferisce a Stefano Cucchi NDR). Quindi, non è solo un problema americano, è anche un problema britannico, italiano e mondiale. Guarda cosa sta succedendo in Nigeria e in Ghana, è scoppiata una rivolta quando la polizia ha abusato del proprio potere. E si, abbiamo davvero bisogno di capire perché le persone sono attratte dal potere, dobbiamo assoldare tipologie di persone diverse. Abbiamo bisogno di pluralità nelle forze di polizia per renderle più eque».

A proposito di pluralità, anche essere una rocker donna non deve essere facile…qual è il pregiudizio che ti è pesato maggiormente nella tua carriera?

«Beh ci sono due prospettive…Penso che dall’esterno, guardando da fuori, la gente possa dire: “oh mio dio, deve essere terribile essere una donna di colore che suona musica rock in questo mondo razzista!” Ma dal mio punto di vista, ogni giorno per me è una gioia, perché sto facendo esattamente quello che ho sempre sognato fare. Quindi, non mi lamento e sono molto felice. Perché alla fine, dopo tutta la lotta che ho sostenuto, posso essere quello che ho sempre voluto: una cantante ed una musicista rock, una cantautrice della mia band. Quindi, il problema non risiede in me. Il problema è nelle persone che non vogliono che io sia me stessa. Se ci pensi è così, il problema è il loro quindi devono cambiare loro la prospettiva di come mi guardano. Perché mi ci è voluto molto tempo per essere felice sai? Quindi, niente mi farà privare di quella felicità da qualcuno che è razzista, sessista o omofobo. I razzisti dovrebbero guardarsi allo specchio e cambiare se stessi perché possano aprire finalmente i loro occhi su cosa vuol dire. Se a loro piacciono gli Skunk Anansie significa che non importa il colore di  chi sta cantando no?

Per questo oltre che una cantautrice sei anche un riferimento per la lotta contro certi pregiudizi…

«Mi piace poter aprire gli occhi alla gente, sulle differenze di genere e al fatto che a chiunque può essere ciò che vuole».

E la situazione italiana come ti sembra?

«Gli italiani hanno due lati, possono essere molto razzisti e possono essere molto lungimiranti. Possono essere amanti dell’arte e possono ripudiarla. Ci sono molti razzisti in Italia, ma il fatto che io possa avere così tanto successo anche nel tuo paese dimostra che non si tratta della maggioranza. Sai, gli italiani amano la musica, giusto? E loro mi amano. Quindi, non è così difficile superare i pregiudizi».

Nel ’94 hai fondato il gruppo degli Skunk Anansie, oggi il mondo della musica è molto cambiato…Meglio o peggio?

«Penso che, come tu già sai, il cambiamento è spesso positivo. Penso che sia davvero importante che tutto cambi e che ci sia evoluzione, se si rimane fermi non si crea nulla di nuovo. Non tutti i cambiamenti sono positivi ovviamente, ma è normale. Non puoi aspettarti un mondo perfetto. E non puoi aspettarti che tutto sia sempre perfetto. Quando i cambiamenti avvengono, se non ti piacciono i cambiamenti, allora fai qualcosa al riguardo.

Cambiare però ultimamente troppo spesso fa rima con uniformarsi…

«Il cambiamento è una delle cose più importanti che possono accadere nel mondo artistico e nella musica ma non devi necessariamente unificarti. Se non ti piacciono i social media, non devi essere sui Instagram, ma puoi comunque fare musica. Quindi devi solo trovare un altro modo per promuoverti».

Tu sei favorevole o contraria all’uso dei social media per promuovere la cultura?

«Quello dei social è un modo diretto e molto veloce, raggiungi le persone che vuoi raggiungere. Il problema è che i social media danno voce anche persone senza esperienza e spesso totalmente fuorvianti. Quindi, per farti un esempio, potresti avere sui social media, qualcuno che  sta facendo un intervento chirurgico al cervello e qualcuno sui social media dirà: “Oh, beh, non sono sicuro che sia il miglior bisturi per aprire il cranio”. E tu dici, che cazzo ne sai a riguardo? Stai dicendo a un chirurgo quale bisturi usare!”».

Dato il momento che stiamo attraversando è un esempio più che pertinente..

«E questo è il problema anche con la musica, è come se avessi una marea di sedicenti esperti di musica: le persone che hanno talento, producono pezzi e li mettono in giro. E poi c’è qualcuno che non sa niente di musica che dice: “oh, beh, no, non mi piace”. Puoi dire che non ti piace se non sei un esperto? Devi andare più in profondità del semplice, non mi piace. Perché non ti piace? Non suona bene. Perché non suona bene? Non lo so. Semplicemente non mi piace. Se dici che non ti piace devi dirlo ma con cognizione di causa!».

In sintesi siamo nella fase storica del “chiunque può”…

«Questo è terribile! Ti rendi conto? Per quanto riguarda i social media, ci sono molti inesperti che parlano di cose di cui non hanno competenza. Ma dall’altra parte, penso che i social media alla fine della partita abbiano reso tutti più connessi. Le persone ora sono in grado di sperimentare cose che non sperimenteranno mai nella vita reale, possono scoprire mondi attraverso gli occhi di qualcun altro… Quindi penso che ci siano più vantaggi che svantaggi».

Parli di luoghi…qualche tempo fa sei stata in Italia come giudice di X Factor; quali sono i luoghi dell’ Italia che ami maggiormente?

«Sì, X-Factor era a Milano. Ho molti amici a Milano e l’adoro. Scegliere un solo luogo è ingiusto perché l’Italia ha tanta bellezza, ci sono così tanti posti che sono suggestivi penso alla costiera amalfitana a Roma e Venezia, non c’è nessun altro posto al mondo uguale. Penso che gli abitanti di Roma siano un po’ viziati da tanta bellezza, tanto da non vederla più ad essere onesti. La cosa che mi piace dell’Italia è che ti sembra di tornare indietro nel tempo».

Dopo la musica l’architettura è un’altra tua grande passione

«Amo l’architettura e mi sento un po’ archeologa perché amo la Storia greca, romana, egiziana. Quindi, penso che mi piaccia l’Italia da questo punto di vista perché quando vai in Italia, puoi davvero vedere da dove proviene il resto del mondo. È come quando vai in Africa e riscopri le origini, in Italia, puoi vedere da dove viene l’architettura del mondo e poi avete il miglior cibo del pianeta!».

A proposito d’ Italia hai duettato anche con il maestro Luciano Pavarotti cosa ricordi di quell’esperienza?

«Oh, è stato meraviglioso. Quando sei accanto a lui e lui canta, ti senti come se stessi andando in frantumi in un milione di pezzi. La sua voce era così grande. Mi sono davvero divertita con lui e Nicoletta Mantovani è stata molto gentile con me. Loro due erano così dolci. Penso di aver avuto qualcosa che molte persone non potevano avere, ho potuto stare in piedi accanto a Luciano Pavarotti e cantare con lui. E non ci sono molti artisti sul pianeta che possono dirlo, è stata una delle migliori esperienze della mia vita cantare con lui, e lo ricorderò per sempre».

Oggi non è più possibile viaggiare Come vivi il tuo lockdown?

«Noi artisti troviamo sempre cose da fare in caso di disastro. Sai, la cosa meravigliosa dell’essere artisti è che è molto facile per noi cambiare, perché tutta la nostra vita è volta al cambiamento. E così, quando le cose vanno male, cerco di vedere la parte migliore di me stessa. Personalmente, penso che sia davvero importante prendersi cura del proprio senso dello spirito, della propria salute mentale. E anche per capire cosa puoi fare. A volte è una sfida molto interessante essere creativi, quando le circostanze rendono molto difficile esserlo. Quindi, quello che sto facendo ora è  seguire  i progetti su cui sto lavorando che partono nel mio studio, a casa mia».

In altre parole sei anche tu in smart working…

«Sì, perché tutto ciò che sto facendo ora è declinato al digitale, quindi sto facendo tutti i miei incontri, tutta la mia attività stampa, tutte cose che faccio a casa. E quindi, è una sfida piuttosto interessante vedere cosa puoi fare e vedere e come possono evolvere le cose».

Nessun momento di sconforto quindi…

«Sai, per le prime tre settimane, mi sono seduta davanti alla TV e guardavo Bob pop, film e mangiavo popcorn. E dopo, io e la mia partner ci siamo detti, okay, cosa faremo?».

Adesso siamo alle porte di un nuovo coprifuoco…

«Sì, perché forse durerà due anni. Quindi ora si tratta di allenarsi e fare cose diverse all’interno dei parametri, entro i vincoli della scatola. Scatole in cui siamo tutti».

In una tua hit Just Let The Sun canti: Just let the sun Shine on your face Only the darkness blinds your way...Cosa porta il sole oggi nella tua vita?

«Penso che sia importante non perdere la speranza e trovare la gioia in cose piccole e grandi. Io adesso ho un orario di lavoro che finisce alle sei di sera perché posso svolgere tutto durante il giorno. Prima non era possibile. Avevo troppe cose da fare. Quindi lavoravo fino alle dodici di sera a volte fino alle quattro del mattino. Quindi ora ho un programma molto più regolare e sto facendo molte cose ma le sto facendo a un ritmo molto più lento. E in realtà, è piuttosto bello trovare, dedicare molto più tempo per se stessi. E questa è davvero la cosa più gioiosa che sta accadendo in questo momento è prendersi del tempo, perché c’è molto tempo. Niente deve essere affrettato. Quindi, è solo che fai le cose con una mentalità diversa, con più profondità e più gioia».

Tra in tuoi prossimi impegni presto sposerai la tua compagna, Rayne Baron. Ultimamente anche Papa Francesco ha mosso dei passi avanti in favore delle unioni degli omossessuali. Cosa ne pensi di questo cambiamento?

«Credo che Papa Francesco sia meraviglioso, perché sta portando avanti la Chiesa cattolica. Sappiamo in notizie recenti che è la Chiesa ha commesso diversi errori. Ora c’è molta negatività intorno alla Chiesa cattolica e penso che abbia bisogno di reinventare il messaggio, ha bisogno di ridisegnare i confini.
Molte leggi hanno mille anni ed è davvero ridicolo guardare il mondo da questa prospettiva retrograda, deve cambiare. Se non cambia, morirà. Bisogna capire che non c’è differenza tra gay ed eterosessuali. Il Papa deve convivere con la consapevolezza che il peccato è nelle azioni brutte compiute dalla chiesa, ora l’unico modo per risolvere la situazione è andare avanti e cercare di ristabilire l’equilibrio di portare nella chiesa quante più persone provenienti da tutti i ceti sociali. Altrimenti, tra cent’ anni, si estinguerà. Perché la Chiesa cattolica deve guardare alla società ora e capire cosa è cambiato. Tutto è cambiato. Se vogliamo che nuove persone entrino in chiesa, dovrebbero anche mutare alcuni meccanismi, non significa che dobbiamo perdere i nostri valori fondamentali. Perché i valori fondamentali della Chiesa cattolica sono tutti valori buoni. Ci sono cose buone: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare… Queste sono le cose buone che le brave persone dovrebbero avere nella loro vita. Quindi, il nucleo della chiesa non penso che cambierà».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Skin Skinny degli Skunk Anansie, quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Spero davvero che Joe Biden cambi il nostro Domani e che inizieremo a trasformare il mondo in un’universo più aperto, perché negli ultimi anni, da quando Trump è stato eletto, abbiamo visto l’ascesa dell’ala destra e la supremazia bianca e fascista in molti paesi: in Italia, in Inghilterra con la Brexit in molti modi, quindi mi auguro che inizieremo a cambiare le cose, perché in questo momento, se Trump avesse vinto, l’America sarebbe diventata come dittatura nazista, e questo avrebbe avuto un’influenza negativa sul resto del mondo. Quindi, credo che si possa sperare che le cose cominceranno a cambiare in un mondo che permetta a tutti di essere in grado di vivere la propria vita in maniera positiva e non in base una singola persona che dice agli altri cosa fare. Io ci spero».

Intervista Esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.