La digitalizzazione è un fenomeno trasversale che costituisce una rivoluzione culturale, prima ancora che tecnologica, un cambiamento veloce e di difficile decodificazione capace di porci di fronte a nuovi interrogativi circa il nostro futuro interessando temi quali l’etica, il mercato del lavoro e la formazione. Le fabbriche sono sempre più digitali ed interconnesse, la quarta rivoluzione industriale si sta facendo sempre più strada ed esperti ed osservatori cercano di comprendere come cambierà il lavoro, quali nuove professionalità saranno necessarie e quali invece presto potrebbero scomparire. Di importate rilievo è l’analisi del professor Marco Taisch, docente della School of Management del Politecnico di Milano partecipe alla cabina di regia del piano Industria 4.0 del Ministero dello Sviluppo Economico e responsabile scientifico dell’ Osservatorio Industria 4.0, punto di riferimento in Italia per manager e decisori che vogliono comprendere in profondità le innovazioni digitali. Sul territorio nazionale a guidare l’innovazione tecnologica, oltre ad enti ed associazioni ci sono i Competence Center, luoghi fisici che si occupano dell’aggiornamento tecnologico delle imprese accompagnandole verso nuove aree di produzione coadiuvandole nel cambio del modello di buisiness attraverso l’integrazione di infrastrutture tecnologiche volte ad automatizzare il ciclo produttivo dall‘intelligenza artificiale alla semplice digitalizzazione delle vendite. Noi di Domanipress abbiamo avuto il piacere di ospitare nel nostro salotto virtuale il Prof. Marco Taisch per parlare con lui del progetto Competence Center Made in Italy 4.0 indagando i temi più importanti della quarta rivoluzione industriale tra nuove prospettive per il mondo della formazione e del lavoro e pensieri tecnofobici da eradicare.

Professore, lei che è co-responsabile scientifico dell’Osservatorio Industria 4.0 e partecipe attivo della cabina di regia del piano Impresa 4.0 come valuta la situazione italiana attuale in tema di digitalizzazione? A poco più di due anni dall’entrata in vigore del “Piano Calenda” su Industria 4.0 quali sono stati i risultati ottenuti?

«Comparando i dati di due anni fa con quelli di oggi sicuramente ciò che emerge è che le imprese hanno iniziato a comprendere che ci sono una serie di tecnologie digitali che possono essere utilizzate per il business aziendale: si spazia dalla progettazione del prodotto, alla gestione della fabbrica all’organizzazione della logistica. Le tecnologie 4.0 sono disponibili oggi a costi molto più bassi del passato e questo costituisce un vantaggio competitivo che è necessario cogliere. Molte imprese hanno già capito che la competitività sul mercato passa dal digitale. L’obiettivo della consapevolezza e dell’awareness da questo punto di vista si può definire come ampiamente raggiunto. Inoltre con la Legge di Bilancio 2018 le aziende hanno potuto usufruire dei benefici ottenuti dall’iperammortamento del 250% e dal superammortamento del 130% per l’acquisto di beni strumentali nuovi, materiali e immateriali, da impiegare nei processi di produzione».

Parlando di rivoluzione 4.0 al di la di visioni utopiche e distopiche qual è il futuro del mondo del lavoro? Si sente parlare spesso di problema occupazionale legato alle nuove tecnologie…quali sono le criticità ed i punti di forza di questo cambiamento?

«Il problema deve essere analizzato molto attentamente, il futuro del lavoro deve fare i conti con l’avanzamento tecnologico e richiede scelte oculate. La tecnologia è destinata nel medio e nel lungo periodo a far estinguere dei lavori obsoleti e a sostituirne con altri, possiamo assistere ad una possibile riduzione del lavoro a causa dell’automazione robotica e digitale, ma anche una sua trasformazione. Questo è successo dall’invenzione della ruota ed è un dato di fatto legato all’evoluzione. Dobbiamo piuttosto chiederci a quale velocità avviene il cambiamento. I nuovi modelli organizzativi dell’Industria 4.0 evolvono velocemente ed assistiamo ad un problema sociale importante: il sistema educativo non è veloce quanto le tecnologie e spesso non è in grado di riconvertirsi per formare delle nuove competenze che siano competitive ed utili. Non è un caso che nel piano impresa 4.0 nel 2018 ci sono stati incentivi fiscali destinati alla formazione, preceduti da quelli dell’anno precedente utili a spingere gli investimenti in un periodo di crisi economica».

Recentemente Marco Bentivogli ha definito il nostro paese tecnofobo, sottolineando che i Paesi più high tech al mondo hanno i tassi più bassi disoccupazione è d’accordo con questo pensiero? Come mai in italia la tecnologia è ancora osteggiata?

«Sono fermamente convinto che chi è tecnofobo sbaglia in partenza perchè non sa leggere ed interpretare la storia dell’uomo che si basa principalmente sull’evoluzione. Non bisogna però dimenticare che c’è anche una fascia di lavoratori che indiscutibilmente fa più fatica a riconvertirsi: quella che non ha le competenze di base per poterlo fare soprattutto perchè è anagraficamente lontana da questa rivoluzione culturale. In questo quadro generale diviene necessario studiare un welfare che tuteli anche questa fascia di lavoratori. Manca ancora di una strategia globale dedicata alle competenze digitali, lacuna che penalizza quei settori della popolazione, come gli anziani e le persone inattive, che non vengono fatti oggetto di altre iniziative in materia. Queste misure avrebbbero però bisogno anche di un aumento di produttività delle nostre aziende che rispetto ai primi anni duemila è in netta riduzione. Se non abbiamo un tessuto imprenditoriale produttivo ne risentono inevitabilmente anche i posti di lavoro. Inoltre bisogna instaurare un dialogo attivo con i sindacati per valutare le nuove prospettive per il mondo del lavoro».

Al Politecnico di Milano si occupa principalmente di Intelligent Manufacturing System, i suoi temi di ricerca fanno riferimento al Manufacturing Engineering, alla gestione delle operations e alla supply chain management…In Italia c’è un settore che secondo lei ha beneficiato maggiormente della rivoluzione 4.0?

«Diversi settori hanno tratto beneficio dalla rivoluzione 4.0, tuttavia credo che il nostro punto di forza sia nel mondo dell’impiantisca e dei beni strumentali è questo il settore che va maggiormente presidiato ed è quello che più di ogni altro ha beneficiato degli incentivi fiscali».

Il governo Conte ha riconfermato l’impegno per proseguire gli investimenti del Piano4.0 con ammortamenti per le imprese che saranno ufficializzati nella prossima legge di stabilità…come vede questo nuovo intervento?

«La riconferma mi sembra necessaria, al di là delle ragioni di affezioni politiche al tema. Non si può pensare di far ripartire le imprese in soli due anni, i piani aziendali sono sempre a medio a lungo termine. In Italia abbiamo un tessuto produttivo costituito da molte piccole e medie imprese che sono naturalmente più lente nel processo di digitalizzazione, hanno bisogno di più tempo per capire cosa sia la rivoluzione 4.0 e dove indirizzare gli investimenti. Le associazioni di categoria sono partite con i digital innovation hub solo qualche mese fa, le Camere di commercio d’Italia sono attive sul tema con un lavoro di supporto attivo e concreto sia sugli investimenti che sull’orientamento. Non dobbiamo però dimenticare che la PMI non deve essere intesa come una monade ma come una realtà inserita su un sistema di reti logistiche che hanno dei capi filiera che è necessario supportare. Per questo è essenziale rafforzare anche le industrie più strutturate. Se prendiamo ad esempio il settore automobilistico o quello delle macchine utensile possiamo notare come tutte le parti che sono utili per il prodotto finito sono in appalto a terzisti che costruiscono i singoli componenti. Produrre bene e in modo competitivo vuol dire creare ricchezza, occupazione e sviluppo per le imprese e per i territori ma tutto l’intero l’ecosistema deve essere in salute per poter funzionare bene e creare posti di lavoro».

Pilastro portante del piano nazionale Industria 4.0, poi evoluto in Impresa 4.0 sono i Competence Center. A Milano tra le azioni per favorire il processo di digitalizzazione c’è anche quello della costituzione del Competence Center Made in Italy 4.0, che avrà sede presso l’Innovation District della Bovisa. Cosa dobbiamo aspettarci da questa struttura?

«Milano è la capitate economica del paese ed idealmente anche quella culturale su questi temi. La lombardia dal punto di vista manifatturiero è un player europeo importante e si colloca al terzo posto tra le realtà manifatturiere d’ Europa. Al Politecnico di Milano siamo oltre cento tra specialisti e professori ordinari che si occupano di questi temi inoltre molte imprese 4.0 tra cui Siemens, IBM, Bosh, Comau sono pioniere nel campo della tecnologia attraverso automazione e digitalizzazione ed utilizzano delle soluzioni innovative. Per il Competence Center abbiamo scelto di riunire le eccellenze del paese. L’investimento è di venti milioni di euro tra risorse pubbliche e private, ci sono più di undici milioni di investimenti privati a testimonianza dell’interesse delle imprese e delle aspettative che interessano il progetto. Gli obiettivi fondamentali saranno principalmente tre: il primo è quello dell’awareness, la creazione di consapevolezza, mirando ad informare e formare le piccole e medio imprese, la seconda è quella della formazione e la terza è quella di facilitare i trasferimenti tecnologici; L’Università è percepita ancora come una realtà lontana dalle PMI, esiste ancora questo antico retaggio dell’Università isolata e cristallizzata nel tempo. Il nostro lavoro sarà quello di avvicinare le imprese, ancora troppo timorose, al mondo universitario con una formula a loro più vicina».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vedete il “Domani”, il Prof. Marco Taisch quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Per il Domani mi ritengo un ottimista nato: credo che nel nostro know how, abbiamo delle grandi risorse che bisogna concretizzare. Sono convinto che recuperare un po’ di fiducia nel nostro sistema industriale e di orgoglio sia la chiave del successo dell’Italia».

Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.