Paolo Jannacci e Stefano Signoroni sul palco sono l’esempio perfetto di come la musica e l’amicizia possano accomunare e unire. Lo dimostra l’evento al Blue Note lo scorso 18 maggio, dove i due artisti hanno incantato il pubblico con una performance indimenticabile, mescolando jazz, pop e canzone d’autore in un’esibizione che ha trasceso generi e aspettative.
Paolo Jannacci, figlio del leggendario Enzo Jannacci, ha ereditato dal padre non solo il talento musicale ma anche la capacità di emozionare il pubblico con la sua intensità e il suo umorismo. Pianista, compositore e arrangiatore, Paolo ha collaborato con numerosi artisti di fama internazionale, portando avanti una carriera che spazia dal jazz alla musica leggera.
Stefano Signoroni, oltre a essere un talentuoso cantante e musicista, è anche un affermato genetista oncologico. Con due lauree in Biotecnologie Mediche e Farmaceutiche e un master in Genetica Oncologica, Signoroni presta consulenza presso l’Unità Tumori Ereditari della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. La sua vita è un perfetto equilibrio tra scienza e arte, e come il suo amico Paolo, riesce a fondere queste due passioni in modo straordinario.
L’incontro tra Jannacci e Signoroni è avvenuto grazie a un amico comune, Emiliano Bassi, e da quel momento è nata una collaborazione che ha portato i due a esibirsi insieme in varie occasioni, tra cui un emozionante omaggio a Enzo Jannacci e Giorgio Gaber con la rivisitazione di ‘Una fetta di Limone’. La serata al Blue Note ha visto questa collaborazione raggiungere nuove vette, confermando il potere unificante della musica.
A poche ore dal debutto li abbiamo raggiunti per parlare delle loro passioni e delle prospettive future:
Incontrarsi al Blue Note è un’occasione per condividere emozioni. Come è avvenuto il vostro incontro?
Paolo Jannacci: «Ho conosciuto Stefano Signoroni grazie all’amico comune Emiliano Bassi (anche lui musicista) dopo averlo ascoltato e resomi conto della sua bravura e del suo ottimo rapporto con la musica ho potuto conoscerlo anche personalmente e mi ha colpito la sua profonda educazione e il suo modo garbato di porsi nei confronti dell’altro. Dopo ci siamo frequentati e mi ha proposto di fare qualcosa insieme. Abbiamo registrato “Una fetta di limone” e poi inventato questo incontro musicale. Anche la sua band è molto forte»
Stefano Signoroni: «Il nostro incontro è avvenuto, come ha raccontato Paolo, innanzitutto tramite un amico comune, successivamente ho l’ho ad un concerto per i pazienti all’Istituto Nazionale dei Tumori e da lì abbiamo iniziato a conoscerci meglio, in primis siamo diventati amici poi abbiamo deciso di iniziare a collaborare in termini musicali avendo affinità più che altro nei gusti, anche se magari attitudini e ambiti un po’ diversi»
Stefano, sei per metà musicista e per metà ricercatore in ambito genetico-oncologico come riesci a conciliare questi due ambiti?
«Per me il fatto di essere per metà musicista e per metà ricercatore, per altro in un ambito molto delicato come quello genetico-oncologico, è fondamentale perché è il binomio che caratterizza chi sono: da una parte il lato medico – scientifico mi tiene in qualche modo con i piedi a terra, mentre la musica mi serve per staccarmi e vivere con più leggerezza. Entrambe le cose fanno parte della mia vita e una va a compensare l’altra»
La musica è spesso anche una terapia…
«Assolutamente sì, questo l’ho visto proprio con i miei occhi grazie ad un progetto meraviglioso di cui sono molto orgoglioso di fare parte che è il Progetto Giovani, attivo presso l’istituto Nazionale dei Tumori, che di fatto promuove attività di tipo creativo e artistico per gli adolescenti in cura per patologia oncologica. Una diagnosi di cancro a quell’età porta a vivere con una certa angoscia la quotidianità fatta per lo più di appuntamenti, esami, cure e controlli in ospedale, mentre un progetto di questo tipo porta a pensare, ricostruire, ricominciare a progettare il proprio futuro. Creatività e arte sono sicuramente un potentissimo mezzo a fianco delle terapie necessarie. In questo progetto ovviamente ha grande spazio anche una parte musicale che ho il piacere e l’onore di gestire»
Tra le tante collaborazioni della tua carriera spicca anche quella con Eros Ramazzotti. Cosa ricordi di quella esperienza?
«Dalla collaborazione con Eros sono ormai passati un po’ di anni ma è stato sicuramente un incontro bellissimo, un’esperienza estremamente positiva anche dal punto di vista umano. Ovviamente sono cresciuto come musicista un po’ per ovvie ragioni, nel senso che sentendo il “peso” del collaborare con un artista di tale caratura, sentivo la necessità di dare sempre il mio meglio. Siamo rimasti in ottimi rapporti e devo dire che ho un ricordo bellissimo, ovviamente ricordo anche il grande impegno e in alcuni casi la tensione, ma si trattava sempre di energie tutte estremamente positive»
L’universo musicale in tempi di spotify è radicalmente cambiato. Quali sono i tuoi punti di riferimento?
«Ovviamente, come credo anche tanti altri artisti della mia generazione, mi sento un po’ tagliato fuori da una serie di linguaggi, però credo che ognuno abbia giustamente la sua collocazione ed il suo spazio. Il mio punto fermo in questo universo musicale continua ad essere indubbiamente il fare la musica che mi piace e portarla in giro il più possibile, fare concerti e comunicare in questo modo quello che mi rispecchia di più artisticamente parlando. I miei riferimenti musicali sono sempre il brit pop, il jazz e i grandi crooner»
Jannacci recentemente sei stato ospite a Sanremo con un brano dedicato alle morti sul lavoro. La musica può avere ancora una funzione di denuncia sociale?
«La musica deve avere uno spirito sociale, anche se solo di intrattenimento, ci deve essere un momento di riflessione in una frase, in una parola… A me viene naturale, quando compongo, tradurre delle immagini della mia città o delle persone che vengono reputate strane o diverse o anche semplicemente “Alla ricerca di qualcosa”…»