“Tina Modotti-fotografa e rivoluzionaria” alla Galleria Spazio Immagine la mostra dedicata alla fotografa amata da Pablo Neruda

Modotti, Tina (1896-1942): Woman with Flag, 1928. New York, Museum of Modern Art (MoMA)*** Permission for usage must be provided in writing from Scala.

E’ in corso nella Galleria Spazio Immagine di Campobasso: “Tina Modotti – Fotografa e rivoluzionaria”, mostra fotografica a cura di Reinhard Schultz (Galleria Bilderwelt di Berlino) portata in città dall’associazione culturale Centro per la Fotografia Vivian Maier, esposizione che durerà fino al 7 Gennaio.

Tina Modotti (Udine, 1896 – Città del Messico, 1942) è stata una delle più importanti artiste della prima metà del XX secolo, oltre che attivista politica. Musa di artisti come: Pablo Neruda, Diego Rivera, Frida Kahlo e David Alfaro Siqueiros; le sue opere fotografiche sono esposte nei più importanti musei del mondo, tra cui l’International Museum of Photography and Film at George Eastman House di Rochester (New York) e la Library of Congress di Washington.

Nel corso della mostra sarà presente una raccolta fotografica insieme a testimonianze originali quali le lettere di corrispondenza fra la Modotti e la madre e fra l’artista e Edward Weston, accompagnato anche da materiale politico attraverso cui sarà possibile capire le fasi fondamentali della vita pubblica e privata dell’artista.

Per capire meglio l’impronta lasciata da Tina Modotti, basta leggere l’epitaffio a lei dedicato da Pablo Neruda il 5 gennaio 1942:

«Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa

di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa.

Riposa dolcemente, sorella.

La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:

ti sei messa una nuova veste di semente profonda

e il tuo soave silenzio si colma di radici.

Non dormirai invano, sorella.

Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:

di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,

d’acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,

la tua delicata struttura.

Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato

ancora protende la penna e l’anima insanguinata

come se tu potessi, sorella, risollevarti

e sorridere sopra il fango.

Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,

nella mia patria di neve perché alla tua purezza

non arrivi l’assassino, né lo sciacallo, né il venduto:

laggiù starai in pace.

Lo senti quel passo, un passo pieno di passi, qualcosa

di grandioso che viene dalla steppa, dal Don, dal freddo?

Lo senti quel passo fiero di soldato sulla neve?

Sorella, sono i tuoi passi.

Verranno un giorno sulla tua piccola tomba

prima che le rose di ieri si disperdano,

verranno a vedere quelli d’una volta, domani

là dove sta bruciando il tuo silenzio.

Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.

Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca

nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.

Valoroso era il tuo cuore.

Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade

polverose, qualcosa si mormora e passa,

qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,

qualcosa si desta e canta.

Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome

quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra,

col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.

Perché il fuoco non muore.»

 

Giada Fanelli

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