L’emozione è tanta quando nei primi minuti di “X-Men: Apocalisse” un vecchio brivido ormai creduto dimenticato da tempo scorre nuovamente lungo la schiena riudendo le incalzanti sonorità di “Suite X2” (la traccia musicale più rappresentativa degli uomini X cinematografici che fu composta da John Ottman per quell’“X-Men 2” di ben tredici anni fa) che ancora una volta trascinano un rapido piano-sequenza sino all’iconico portone scorrevole, su cui campeggia l’emblematica X, risiedente nello Xavier Institute per giovani dotati.
La neo pellicola mutante si conferma divertente, coloratissima, ma a tratti dal discutibile gusto estetico, narrativo ed un po’ troppo fumettosa, proprio come i chiassosi/indimenticabili anni ’80 ove è ambientata.
Con “X-Men: Apocalisse” (dopo “X-Men – Giorni di un futuro passato”) Bryan Singer si piazza di nuovo dietro alla macchina da presa cercando di fondere il genere catastrofico, a lui poco congeniale, all’introspezione, con la quale è di certo più affine. Dunque, l’ultima pellicola mutante targata ancora Singer, come sempre, non delude in merito alla sfera umana. I portatori del gene X non solo devono riuscire a convivere con il timore della gente comune covato nei loro confronti e quindi con un difficile processo di integrazione in una società che fatica ad accettare l’altro, il diverso; ma in essi alberga persino la metafora del disagio adolescenziale (descrittoci molto bene soprattutto dalle interpretazioni di Sophie Turner nelle vesti della telepatica Jean Grey e da Tye Sheridan nel ruolo del ciclopico Scott Summers), con i suoi turbamenti, le sue insicurezze, i suoi repentini cambiamenti e con le sue inedite, e disorientanti sensazioni relativi alla crescita di ciascun singolo individuo.
Nel corrente cinecomic i feroci fantasmi del passato ritornano violentemente a bussare al cuore del tormentato Erik Lehnsherr/Magneto impersonato da un rancoroso Michael Fassbender. Jennifer Lawrence ormai si muove a suo agio nei panni della mutaforma Mystica. Tuttavia, il vero fiore all’occhiello del film è il personaggio del Professor Charles Xavier letto in modo eccellente dallo scozzese James McAvoy (anche se il motivo per cui sia diventato calvo se lo potevano benissimo risparmiare), sempre più speculare alle peculiarità empatiche, alla maturità ed alla saggezza dello stesso professore interpretato tempo fa dal grande Patrick Stewart.
Purtroppo, i problemi nascono in merito all’appiattimento caratteriale di talune figure mutanti quali la keniota Ororo Monroe/Tempesta (fra l’altro, indecorosamente adattata in italiano, ma non solo lei, con uno slang esageratamente stereotipato, del tipo: “paco botilia, amazo familia”); Warren Worthington III/Angelo, Betsy Braddock/Psylocke e persino il temibile Apocalisse a cui ha prestato il volto Oscar Isaac, dai funesti propositi, ma degno del peggior cosplay di quarta categoria quanto a design e spessore emotivo. Inoltre, le sequenze che dovrebbero risultare le più adrenaliniche (scena di Wolverine che dà fuori di matto permettendo) spesso si rivelano poco fluide, farraginose e non sempre coinvolgenti, affiancate oltretutto da una CGI poco curata nella maggior parte dei casi.
Nel complesso “X-Men: Apocalisse”, debitore delle sapienti mani di Bryan Singer, è da considerarsi un buon cinefumetto, ma portatore di certe lacune che entro la sedecennale sagacinefila degli X-Men e si colloca qualitativamente a metà strada fra i peggiori ed i migliori capitoli del franchise mutante.
Gabriele Manca