Luciano Canfora, è una delle voci più autorevoli della cultura italiana: filologo, storico e professore emerito dell’Università di Bari, il suo studio, da sempre orientato verso una metodologia multidisciplinare, lo ha collocato di diritto sul podio degli autori più letti e tradotti al mondo spaziando tra filologia, storia e politica: dall’età antica all’età contemporanea. Il suo ultimo libro edito da Laterza intitolato “La scopa di Don Abbondio” prende in prestito dal romanzo dei Promessi Sposi la metafora manzoniana che paragona cinicamente la peste ad un salutare colpo di scopa. Il filologo membro dell‘Institute for classical tradition di Boston e della Fondazione Istituto Gramsci di Roma, parte da uno spunto simbolico per interrogarsi sulle condizioni che si presentano dopo una rivoluzione e da questa premessa esamina la ciclicità della storia con undici capitoli brevi sulla crisi sociale e politica delle democrazie occidentali ed una preziosa appendice che raccoglie gli interventi di Palmiro Togliatti, Pietro Nenni e Thomas Mann. Dalle considerazioni sull’ideologia di Donald Trump fino alle riflessioni sull’inghilterra della Brexit, la penna di Luciano Canfora fotografa il moto dinamico della storia ripetuto in un eterno ritorno nella direzione di un progresso ineludibile ed irrinunciabile. Da questo punto si sviluppa la necessita di un’alfabetizzazione di massa capace di far maturare una piena consapevolezza individuale, rintracciando nel tempo presente problemi e fenomeni che pensavamo essere ormai scomparsi. Noi di Domanipress abbiamo avuto l’onore di ospitare nel nostro salotto virtuale il Professor Luciano Canfora per parlare con lui di orientamenti e mutamenti storico-politici tra passato presente e futuro.

Il suo ultimo libro “La scopa di Don Abbondio” ha come sottotitolo “Il moto violento della storia”; i grandi cambiamenti culturali, storico e sociali devono passare necessariamente tutti da una fase violenta?

«Sicuramente la storia che conosciamo documenta che tornanti importanti e svolte decisive sono state spesso frutto di rivoluzioni e cambiamenti profondi attuati infrangendo le vecchie regole; di esempi simili ne possiamo enumerare tanti, tra tutti si potrebbe ricordare il celebre Martin Lutero che con la sua riforma è stato a suo modo un’innovatore violento, per non parlare poi di Cromwell, Roberspierre e tanti altri. La storia spesso si ripiega su se stessa e poi ricalca questo ciclo di cui la violenza è spesso una conseguenza; per questo libro ho voluto riproporre la frase letteraria del personaggio di Don Abbondio dei Promessi Sposi che vede nella grande epidemia di peste una scopa che spazza via personaggi poco positivi, come Don Rodrigo, ed è naturalmente una metafora del movimento del divenire storico. Questo andamento a spirale lo si può osservare nella sua interezza se si pone a mente quel ciclico fenomeno di rottura che gli storici chiamano “rivoluzioni”. Se si osserva il riproporsi, di rivoluzione in rivoluzione, della medesima fondamentale istanza che suscita l’idea di un ritorno ogni volta al punto di partenza».

In questa visione della storia ciclica ed in perenne movimento si possono leggere diverse teorie tra cui anche quella di Tucidide che affermava che una delle caratteristiche dell’ uomo politico è quella di conoscere le istanze emotive dell’uomo. Nella crisi della sinistra di oggi può esserci stata una scarsa attenzione per la parte emotiva dell’elettorato?

«Tucidide tiene a sostenere che, data la sostanziale unità della natura umana, i comportamenti politici si possono prevedere, lo scrittore greco si riferisce alla storia militare e politica. Questa visione mette al centro la conoscenza del passato per poter comprendere il presente e, nei limiti dell’umano, prevedere il futuro dove la storia è depositaria di principi universali che sono validi per ogni epoca. Quanto alla sinistra in Italia ed in Francia, purtroppo anche se sarebbe auspicabile il contrario, possiamo affermare che quasi non esiste più, è come se fosse diventato un rudere marginale e nel caso specifico dell’Italia ciò è avvenuto non per scarsa attenzione emotiva ma per un ripudio netto delle proprie origini; ecco perché oggi, in Italia, ma non solo, al posto della sinistra direi che c’è un grande vuoto. C’è bisogno di una chiarezza di obiettivi che siano percepiti da tutti e non solo da una piccola élite che parla a se stessa, è necessario rivedere questo aspetto e farlo al più presto. L’italia è in una situazione di paralisi, la democrazia così come la conosciamo ha le ore contate».

Nel libro la cultura e nello specifico “l’alfabetizzazione di massa” sembra essere una delle chiavi per sopravvivere alla deriva

«Si perchè la cultura è fondamentale; ho parlato di alfabetizzazione di massa per rendere i cittadini più informati e sopratutto più consapevoli ma questo è necessario che avvenga in larga scala. Nel nostro tempo i veicoli d’informazione e formazione possono essere molteplici, ma su tutti la scuola deve avere un ruolo istituzionale e funzionale centrale, poi ci sono in coda tutti gli altri. Il vero rischio è che anche molti strumenti moderni non sempre sono utilizzati nella maniera corretta, se pensiamo alla qualità dell’informazione online per esempio abbiamo una grande quantità di canali che passa dal web anche attraverso le piattaforme social, da facebook a twitter, per poter fruire consapevolmente di questo strumento però è necessario possedere una cultura di base che consenta di scremare le vere notizie dalle fake news che spesso sono utilizzate per plasmare l’opinione pubblica. C’è bisogno di più cultura e di un sistema scolastico che sia aggiornato ed efficiente».

A proposito di sistema scolastico, recentemente una della delle direttive del Ministro dell’Istruzione è stata quella di eliminare il tema di storia dall’esame di maturità, e questo avviene dopo l’accorpamento di storia e geografia in un’unica disciplina…

«Non mi stupisce, le materie umanistiche sono bistrattate e sopratutto temute; nella fattispecie c’è paura della conoscenza storica, il potere politico retrivo di oggi sembra essere quello dell’imperatore cinese Qin Shi Huangdi, il committente dell’imponente esercito di terracotta e l’iniziatore della muraglia cinese che, allo scopo di eliminare ogni traccia della tradizione che potesse costituire una minaccia al suo mandato imperiale, attuò il rogo dei libri e la sepoltura degli eruditi perché pericolosi per il governo. Tornando a noi queste scelte sembrano essere del tutto intenzionali, penso alla riforma di qualche anno fa del ministro Gelmini che portava avanti una visone di destra che notoriamente è volta alla mortificazione delle materie storico letterarie soprattutto quando osservano ed analizzano il periodo nel novecento del quale a scuola si parla poco e male…i nuovi stanno proseguendo la stessa strada. Ciò che mi rincuora è che abbiamo, nonostante questa forza centrifuga, una resistenza molto forte con una classe docente particolarmente preparata e con un interesse alla storia sempre più crescente. La Tv generalista ultimamente ha rilanciato la divulgazione storica in prima serata accogliendo il favore del pubblico, questo ci fa comprendere che il paese ha sete di sapere, siamo in una battaglia culturale tra chi reprime e chi vorrebbe una maggiore attenzione verso il patrimonio della conoscenza per la costruzione di un futuro consapevole».

Nel libro per puntualizzare alcuni aspetti storici legati al presente utilizza l’aggettivo “fascistico” in luogo di fascismo…come nasce questa scelta lessicale?

«L’aggettivo fascistico non è un mio neologismo ma fu un termine utilizzato soprattutto da Benedetto Croce, l’aggettivo è la parola che accompagna il nome per determinarlo o per meglio definirlo. Di solito quando si attribuisce la qualifica di fascista si riceve sempre una risposta polemica, perché spesso la risposta che segue è che il fascismo non esiste più e che non ha senso rievocare uno spettro del passato. Con l’aggettivo “fascistico” invece il significato è ben più ampio e vuole rivolgersi ad una premessa mentale ed un precetto di carattere iper nazionalistico, razzista e populista, che ammicca alla massa per ingannarla, tutte caratteristiche proprie del fascismo al potere, che aveva un grande seguito fondandosi sull’elemento della paura. Questo atteggiamento è rimasto invariato nel corso del tempo, solo che se prima il nemico da battere, e di cui aver paura, era l’ebreo oggi è il migrante. Cambiano i protagonisti della storia, ma la struttura resta la stessa».

A proposito di strutture riprendendo il concetto vichiano di ciclicità della storia…dopo il populismo c’è il fascismo?

«Vorrei chiarire un concetto fondamentale: la parola “populismo” è spesso usata a sproposito, nella storia russa ottocentesca il populismo fu un grande movimento intellettuale ed era formato da intellettuali e studenti consapevoli dei gravi problemi economici, sociali e politici della società che si proponeva portatore di soluzioni rispetto a problemi come l’emancipazione delle masse contadine, la fine dell’autocrazia zarista e la creazione di una società socialista. Oggi quando si parla di populismo si parla in realtà di demagogia per la quale al normale dibattito politico si sostituisce una propaganda esclusivamente lusingatrice delle aspirazioni economiche e sociali delle masse per ottenere consenso e perseguire obiettivi di tipo conservatore. Queste azioni sembrano ricordare da vicino azioni fasciste che alimentavano istanze popolari facili da soddisfare con istituti come l’opera nazionale maternità e infanzia, il dopo lavoro ferroviario ed altre azioni gratificanti che miravano all’orientare ed influenzare tutti gli aspetti della vita associativa e dell’esistenza dei singoli, inquadrando le forme subalterne di partecipazione in maniera capillare e ricercando da esse un consenso attivo alla politica del regime. Dietro queste azioni c’erano le leggi razziali e la protezione dei profitti. Tutto era trincerato dietro il paravento di obiettivi da combattere e da paure programmaticamente alimentate per distrarre le masse».

Lei che ha una cultura letteraria vastissima, se dovesse scegliere un testo di letteratura per descrivere la situazione politica attuale del paese quale proporrebbe?

«Non è una scelta facile data la diversità profonda con il passato che stiamo attraversando ma mi diverte e mi affascina l’idea di trovare una corrispondenza diretta tra letteratura e presente (ride). Pensandoci attentamente tra tutti credo che il romanzo di Federico De Roberto “I Vicerè”, sebbene non descriva la nostra società, racconta di un’Italia che non sembra essere poi così diversa da quella attuale, dove le sue corse folli e cieche verso il progresso e il cambiamento lasciano costantemente indietro chi dovrebbe esserne il fautore, in un contesto in cui le cose cambiano per non cambiare. Poi passando dalla letteratura alla drammaturgia, se me lo consente, mi piace delineare anche un parallelismo con il drammaturgo tedesco Berthold Brecht che ha utilizzato il teatro sempre più “politicamente impegnato” per veicolare messaggi sociali e stimolare una riflessione politica, culturale ed etica. Penso per esempio a “L’opera da tre soldi” dove la storia ambientata nel clima della malavita londinese mette in scena un virulento attacco alla società capitalista. In questo non si può non leggere, con la lente della contemporaneità, un attacco diretto verso la criminalità organizzata ed il potere bancario che si allea storicamente insieme per governare la massa da una posizione privilegiata. Il pubblico al quale si rivolgeva Brecht era il proletariato, gli operai dell’industria, infatti il titolo indicava provocatoriamente il prezzo del biglietto d’entrata. Ritengo sempre molto interessante vedere la consistenza e attualità di Brecht e verificare quella sua denuncia sociale che oggi sembra essere una profezia sulla società moderna e contemporanea».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Luciano Canfora, quali sono le sue speranze e le sue paure?

«Per il Domani la mia vera paura è il diffondersi dell’ignoranza, di speranze invece ne ho tante perché credo nel progredire della storia».

Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.