In libreria: “Racconti di storie irrilevanti”, la voglia di svelarsi di Matteo Deraco

Lo scrittore Matteo Deraco, ha studiato sceneggiatura cinematografica, per poi approdare alla narrativa che è, ancora oggi, il suo mezzo di comunicazione preferito.

Dopo anni di concorsi dedicati ai racconti decide di mettersi alla prova e raccogliere i suoi scritti pubblicando nel 2020 Racconti di storie irrilevanti” con EDILab Edizioni.

Nella raccolta di Deraco sono presenti dei QRCode che rimandano a canzoni italiane a straniere, da pezzi contemporanei o del passato. Questa emozionante raccolta di racconti è ambientata a Roma, vero filo conduttore delle storie con protagonista Matteo, l’alter ego dell’autore: si narrano dunque vicende di vita normale, o almeno così è in apparenza, in superficie. In realtà lo scrittore presenta al lettore le vicissitudini e le avventure tragicomiche e agrodolci di un giovane uomo che cerca di comprendere sé stesso e il mondo che lo circonda.

Sembra quasi che l’essenza stessa dell’opera stia nei fitti dialoghi e nelle considerazioni sempre interessanti sull’esistenza, che non diventano mai elucubrazioni cervellotiche.

Lo scrittore rifugge da ogni intellettualismo e trova leggi generali della vita. Non ha retaggi nei confronti del “secolo breve”. Ha i piedi ben piantati nel duemila. Non rispolvera il vecchio né lo rimpiange. Parla di sesso ma non in modo volgare. Il suo è un punto di vista maschile senza essere maschilista. Non è centrato su sé stesso, ma orientato verso gli altri.

Il dettato è sempre trasparente. È sempre chiaro e se qualcuno volesse disquisire sul discrimine chiarezza/oscurità bisogna ricordarsi che lo hanno già fatto magistralmente Fortini e Parise sulle pagine del Corriere della Sera nel 1977.

Nei racconti di Deraco assistiamo ad una pluralità di voci. Se prendiamo i canoni di Alfonso Berardinelli riguardanti lo stile dell’estremismo (retorica dell’oltranza, ontologia, prevalere della teoria sui fatti) Deraco non si adegua al conformismo autoriale. È un libro equilibrato, agrodolce; le riflessioni in esso contenute hanno un certo spessore gnomico. È anche un libro sincero perché Deraco non ha mai paura di mostrare la sua baldanza né la sua vulnerabilità. Sicuramente sono sottintese due cose in questa opera: 1) la parola può risarcire quasi ogni ferita della vita, la può risanare. 2) il mondo è un teatro come in Pirandello e Schopenhauer. L’autore mette in scena autenticamente sé stesso o gran parte.

Matteo è onesto ed empatico, fatica ad abituarsi a una società che pretende sempre la maschera, il travestimento, la simulazione, ed infatti ad un certo punto afferma – «Io paragono una vita senza la verità alla morte. Solo attraverso la verità mi faccio carnefice di me stesso, nello scegliere di andare a petto in fuori contro i giudizi, contro le malelingue, pur sapendo che, con la maggior parte della gente, rischi un domani di verdetti, di condanne».

E aggiunge con grande consapevolezza e fierezza: «Uno come me rimane sempre imbrigliato da questo, per lo svelarsi, e tutti continuano a dirmi che mi mostro troppo, che spogliarmi e mettermi a nudo davanti al mondo, dà al mondo l’occasione di mangiarmi, di divorarmi, ma a me basterebbe sapere di essere morto integro, per sapere di essere morto felice»

Roberta Giudice

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Slovena d'origine ma Milanese d'adozione, ama tutto ciò che è letteratura e gioca con le parole e le emozioni. Laureata in lingue e culture internazionali i libri ed un bicchiere di vino rosso sono la sua migliore compagnia.