In questo mondo digitale, il contouring diventa il mio monologo, un’autentica danza di spugnette e polveri per il trucco che cerca di dipingere la realtà della condizione femminile schiava dell’immagine. L’universo ti dice: “Che fai, non te lo metti il correttore aranciato? Si na femmn’ e m*rd”. Con un forte messaggio anticonformista nel vasto panorama dei social media, spicca una figura eclettica e vibrante: Sara Penelope Robin tiktoker che ha catturato l’attenzione di migliaia di spettatori con la sua abilità nell‘arte del monologo. La sua ascesa alla notorietà è stata catalizzata da un video in cui esegue il contouring, un’arte del trucco volta a perfezionare i “difetti” del viso, arricchendo il tutto con un monologo in napoletano che è diventato virale sulla piattaforma cinese. Con quasi 270.000 follower su TikTok e 115.000 su Instagram, Sara Penelope Robin non è solo una content creator; è un’attrice versatile che si destreggia tra recitazione, canto, chitarra classica e danza. La sua presenza scenica ha attirato l’attenzione di nomi noti del mondo dello spettacolo come i 99 Posse, con i quali ha condiviso il palco all‘Arena Flegrea, Alessandro Gassman che si è dichiarato un suo fan e Fiorella Mannoia che in pieno endorsement non manca di commentare spesso i suoi video. Oltre al suo successo nei mondi digitali e televisivi, Sara è anche una scrittrice in cima alle classifiche, con l’ultimo libro “Tarantelle Condominiali: storie di quella che fa i tiktok” edito da Rizzoli. Un’intensa storia ambientata in un condominio napoletano, metafora della vita e della sua interiorità, che offre uno sguardo acuto e spesso ironico sulla vita quotidiana, con personaggi eccentrici e situazioni bizzarre.In questo nuovo appuntamento nel Salotto Digitale di Domanipress abbiamo esplorato il percorso di Sara Penelope Robin, dalla sua crescita sui social media alla sua carriera artistica e letteraria, approfondendo le sfaccettature della sua personalità intensa e variegata dove l’io femminile convive con il maschile tra slanci ascetici e denunce sociali.

Il boom  sui social, un libro in classifica ed un forte interesse da parte del mondo dello spettacolo…come vivi questi momenti?

«Lavoro per diversi progetti e non mi fermo quasi mai. Dopo aver partecipato ad alcune trasmissioni televisive e avendo in programma un trasloco hi deciso di fermarni, di prendermi qualche giorno di riposo per riordinare le idee. Ogni tanto serve staccare la spina per connettersincon se stessi e capire dove il flusso della vita ti sta portando».

Intanto il tuo ultimo libro “Tarantelle Condominiali: Storia di Quella che Fai TikTok” è tra i più letti di questo periodo. Come è nata l’esigenza di passare da tiktok al romanzo?

«Dovevo trovare un compromesso con quello che era appena successo sui social, ma è avvenuto tutto in maniera molto naturale e spontanea. Quello che volevo portare come messaggio era un contenuto che si distacca dalla visione contemporanea materiale delle cose, ovvero raggiungere il possedere, il fare soldi a tutti i costi. Ho proposto una versione alternativa, più interiore, un viaggio all’interno di noi stessi, nel condominio di noi dove abitano diverse nature, siamo esseri umani complessi e dobbiamo riconoscerlo».

Questo interesse verso ciò che è trascendentale emerge spesso nei tuoi contenuti.

«Ho sempre parlato di anima; il mio nome è composto da tre universi Sara, Penelope, Robin. C’è un motivo, effettivamente, perché Sara è il nome che mi hanno dato i miei genitori alla nascita. In realtà, mi chiamo Sara Genevieve, un omaggio a mia nonna Genoveffa, nessun legame con la francia. Penelope è la mia anima, e Robin è il mio spirito. Quindi, mettere d’accordo mente, anima e spirito nella nostra persona è di fondamentale importanza. Credo sia una percorso che sarebbe utile a tutti».

Altra particolarità: prima di TikTok hai studiato teologia. Quanto ha inciso nella costruzione del tuo essere interiore ed esteriore?

«Sì, sembra strano, di solito al seminario ci vanno quelli che vogliono diventare preti o suore. In realtà, io ci sono andata per una ricerca su certi argomenti che non avrei trovato altrove e anche per sfruttare quelle conoscenze nel mondo della pubblicità e della comunicazione. Utilizzare le nostre conoscenze per comunicare qualcosa di positivo è importante e sfruttare queste skills in questo senso assume un’accezione positiva».

La tua popolarità è cresciuta principalmente grazie a TikTok. Come hai vissuto questa esperienza?

«Sono passati circa un anno e mezzo da quando ho iniziato. È stata una gran fatica perché su TikTok c’è un trend particolare. Devi rientrare in determinate logiche e mentalità, altrimenti sei messo in difficoltà. C’è uno shadowban di cui nessuno parla, una vera e propria censura nascosta dietro questi social. Devo ringraziare la mia community, perché ho trovato persone che hanno bisogno di ascoltare determinate cose e che cercano qualcuno che le dica. Essere così diversi è anche una responsabilità, io rifuggo la banalità».

Hai menzionato anche la popolarità e la libertà. Come vedi il rapporto tra la popolarità e la libertà di esprimere idee controcorrente?

«Sicuramente, all’inizio, pensavo di non poter dire certe cose a causa della censura, ma la vera censura è a livello mentale. Le persone sono abituate a censurare chi esce dagli schemi. Ci sono meccanismi di pensiero che ci fanno rientrare in determinati schemi, altrimenti siamo percepiti come pericolosi. È una lotta, ma ringrazio la mia community che è aperta ad accogliere il diverso».

Hai anche parlato di haters. Come affronti le critiche negative e come gestisci la tua presenza online?

«Guardando i primi video che realizzavo, pensavo di non poter dire certe cose, ma mi pesava non poter essere autentica e sincera. Oggi bisogna riconoscere la verità in tempi in cui la menzogna è verità e viceversa. Tutto è molto confuso non ci sono più punti di riferimento e le vere rivoluzioni si fanno con il silenzio non con le manifestazioni di piazza. Per questo è importante rimetterci n contatto con le nostre anime, ci vogliono trasformare in robot senza sentimenti e senso critico per poterci manipolare e riprogrammare mentalmente.I social sono uno strumento pericoloso, ci attraggono per plasmare la nostra coscienza. Il loro utilizzo è gratuito ma noi lo paghiamo con il tempo e l’attenzione che gli dedichiamo».

Spesso parli del fenomeno del “bambinismo” sui social network.

«Ho attuato un esperimento  dimostrando che i social network fanno regredire gli adulti a un livello quasi infantile. Ho parlato anche del bambinismo, cioè del modo in cui ci si rivolge a un pubblico giovane. Durante una live su tiktok ho canticchiare per diversi minuti una filastrocca nosense per bambini. Ripetevo ossessivamente “cùcù tè tè”. Più andavo avanti e più l’algoritmo mi premiata, eravamo migliaia collegati ed incantati. Come avviene con il  fenomeno Npc acronimo di Non-Playable Character (personaggio non giocante) che consiste nell’imitare un personaggio dei videogiochi che si trova sullo sfondo. Il tutto però viene fatto durante le live di Tiktok che attivano, attraverso gli utenti, con dei veri e propri gettoni. Si tratta di un fenomeno regressivo».

Su tiktok è nato il tuo successo ma non nutri particolare stima nei confronti di questo universo…

«Ho sempre apprezzato la parte performativa, quella creativa di chi condivide l’arte e la cultura ma non ho mai apprezzato il detto che “Il fine giustifica mezzi” per cui per avere successo è necessario abbassare il livello. Al contrario io invito spesso a uscire dai social e tornare a trovare la bellezza nelle performance dal vivo. Usiamo i social ma non facciamoci usare da loro».

Preferisci il teatri a tiktok.

«Sicuramente è più complesso riportare il pubblico a teatro e quando accade mi spiace che più che essere interessati al messaggio che porti c’è chi vorrebbe solo possedere un pezzo di te. Scattare un selfie, rubare una tua maglietta. Anche in questo dovremmo lavorare per far maturare la cultura del bello, dell’educazione a far leggere e intercettare i messaggi che l’arte, quella autentica, può trasmettere».

Come ultima domanda, parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Sara Penelope Robin, quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Io vedo il Domani come un momento positivo, ma ci vorrà molta fatica per raggiungerlo. L’importante è rimettersi in contatto con le nostre anime. La mia visione è di un improvviso risveglio, un momento in cui ci fermeremo tutti, staccheremo le spine e inizieremo a ballare in mezzo alla strada, scoppiando in un grido di gioia».

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.