Intanto il tuo ultimo libro “Tarantelle Condominiali: Storia di Quella che Fai TikTok” è tra i più letti di questo periodo. Come è nata l’esigenza di passare da tiktok al romanzo?
«Dovevo trovare un compromesso con quello che era appena successo sui social, ma è avvenuto tutto in maniera molto naturale e spontanea. Quello che volevo portare come messaggio era un contenuto che si distacca dalla visione contemporanea materiale delle cose, ovvero raggiungere il possedere, il fare soldi a tutti i costi. Ho proposto una versione alternativa, più interiore, un viaggio all’interno di noi stessi, nel condominio di noi dove abitano diverse nature, siamo esseri umani complessi e dobbiamo riconoscerlo».
Questo interesse verso ciò che è trascendentale emerge spesso nei tuoi contenuti.
«Ho sempre parlato di anima; il mio nome è composto da tre universi Sara, Penelope, Robin. C’è un motivo, effettivamente, perché Sara è il nome che mi hanno dato i miei genitori alla nascita. In realtà, mi chiamo Sara Genevieve, un omaggio a mia nonna Genoveffa, nessun legame con la francia. Penelope è la mia anima, e Robin è il mio spirito. Quindi, mettere d’accordo mente, anima e spirito nella nostra persona è di fondamentale importanza. Credo sia una percorso che sarebbe utile a tutti».

Altra particolarità: prima di TikTok hai studiato teologia. Quanto ha inciso nella costruzione del tuo essere interiore ed esteriore?
«Sì, sembra strano, di solito al seminario ci vanno quelli che vogliono diventare preti o suore. In realtà, io ci sono andata per una ricerca su certi argomenti che non avrei trovato altrove e anche per sfruttare quelle conoscenze nel mondo della pubblicità e della comunicazione. Utilizzare le nostre conoscenze per comunicare qualcosa di positivo è importante e sfruttare queste skills in questo senso assume un’accezione positiva».
La tua popolarità è cresciuta principalmente grazie a TikTok. Come hai vissuto questa esperienza?
«Sono passati circa un anno e mezzo da quando ho iniziato. È stata una gran fatica perché su TikTok c’è un trend particolare. Devi rientrare in determinate logiche e mentalità, altrimenti sei messo in difficoltà. C’è uno shadowban di cui nessuno parla, una vera e propria censura nascosta dietro questi social. Devo ringraziare la mia community, perché ho trovato persone che hanno bisogno di ascoltare determinate cose e che cercano qualcuno che le dica. Essere così diversi è anche una responsabilità, io rifuggo la banalità».

Hai menzionato anche la popolarità e la libertà. Come vedi il rapporto tra la popolarità e la libertà di esprimere idee controcorrente?
«Sicuramente, all’inizio, pensavo di non poter dire certe cose a causa della censura, ma la vera censura è a livello mentale. Le persone sono abituate a censurare chi esce dagli schemi. Ci sono meccanismi di pensiero che ci fanno rientrare in determinati schemi, altrimenti siamo percepiti come pericolosi. È una lotta, ma ringrazio la mia community che è aperta ad accogliere il diverso».
Hai anche parlato di haters. Come affronti le critiche negative e come gestisci la tua presenza online?
«Guardando i primi video che realizzavo, pensavo di non poter dire certe cose, ma mi pesava non poter essere autentica e sincera. Oggi bisogna riconoscere la verità in tempi in cui la menzogna è verità e viceversa. Tutto è molto confuso non ci sono più punti di riferimento e le vere rivoluzioni si fanno con il silenzio non con le manifestazioni di piazza. Per questo è importante rimetterci n contatto con le nostre anime, ci vogliono trasformare in robot senza sentimenti e senso critico per poterci manipolare e riprogrammare mentalmente.I social sono uno strumento pericoloso, ci attraggono per plasmare la nostra coscienza. Il loro utilizzo è gratuito ma noi lo paghiamo con il tempo e l’attenzione che gli dedichiamo».

Spesso parli del fenomeno del “bambinismo” sui social network.
«Ho attuato un esperimento dimostrando che i social network fanno regredire gli adulti a un livello quasi infantile. Ho parlato anche del bambinismo, cioè del modo in cui ci si rivolge a un pubblico giovane. Durante una live su tiktok ho canticchiare per diversi minuti una filastrocca nosense per bambini. Ripetevo ossessivamente “cùcù tè tè”. Più andavo avanti e più l’algoritmo mi premiata, eravamo migliaia collegati ed incantati. Come avviene con il fenomeno Npc acronimo di Non-Playable Character (personaggio non giocante) che consiste nell’imitare un personaggio dei videogiochi che si trova sullo sfondo. Il tutto però viene fatto durante le live di Tiktok che attivano, attraverso gli utenti, con dei veri e propri gettoni. Si tratta di un fenomeno regressivo».
Su tiktok è nato il tuo successo ma non nutri particolare stima nei confronti di questo universo…
«Ho sempre apprezzato la parte performativa, quella creativa di chi condivide l’arte e la cultura ma non ho mai apprezzato il detto che “Il fine giustifica mezzi” per cui per avere successo è necessario abbassare il livello. Al contrario io invito spesso a uscire dai social e tornare a trovare la bellezza nelle performance dal vivo. Usiamo i social ma non facciamoci usare da loro».

Preferisci il teatri a tiktok.
«Sicuramente è più complesso riportare il pubblico a teatro e quando accade mi spiace che più che essere interessati al messaggio che porti c’è chi vorrebbe solo possedere un pezzo di te. Scattare un selfie, rubare una tua maglietta. Anche in questo dovremmo lavorare per far maturare la cultura del bello, dell’educazione a far leggere e intercettare i messaggi che l’arte, quella autentica, può trasmettere».
Come ultima domanda, parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Sara Penelope Robin, quali sono le tue speranze e le tue paure?
«Io vedo il Domani come un momento positivo, ma ci vorrà molta fatica per raggiungerlo. L’importante è rimettersi in contatto con le nostre anime. La mia visione è di un improvviso risveglio, un momento in cui ci fermeremo tutti, staccheremo le spine e inizieremo a ballare in mezzo alla strada, scoppiando in un grido di gioia».
