Era la fine dei coloratissimi anni ’80, gli smartphone non esistevano ancora, la tv rigorosamente a tubo catodico era perennemente accesa come unica fonte d’intrattenimento e il pomeriggio su Italia uno un pupazzo rosa con gli occhi piccoli e nascosti da un ciuffo molesto dal nome Uàn chiamava ed invitava tutti i ragazzi al grido di “Ciao Uanini!”. Era il tempo dei cartoni animati più iconici che hanno segnato l’infanzia di chi era nato in quel periodo e di tutta la squadra delle mascotte come Four, Ragù del celebre format  gestito dalla mente illuminata di Alessandra Valeri Manera che risponde al nome di “Bim bum bam”. Dietro tutti questi personaggi c’era una voce familiare eppure sempre nuova e caratterizzante che dava anima ai sogni. Si tratta di Pietro Ubaldi uno dei doppiatori tra i più amati che negli anni  ha caratterizzato in modo inconfondibile innumerevoli cartoni animati, dallo zio Marrabbio al gatto Giuliano di Kiss Me Licia  passando al Conte Dracula, da David Gnomo a Bestia negli Insuperabili X-Men, da Taz di Tazmania fino all’intramontabile successo del gatto spaziale Doraemon. Voce del Capitan Barbossa nei Pirati dei Caraibi, dei corsari, attrazione di punta del parco divertimenti Gardaland, e dei pupazzi Four di Ciao Ciao e di Uàn, oggi Ubaldi è una figura di riferimento per tutta una comunità che si ritrova a condividere la passione per i grandi classici d’animazione del presente e del passato oltre che la voce di innumerevoli produzioni moderne. Noi di Domanipress in occasione dell’edizione limitata del pupazzo di Uàn distribuito da Gedis abbiamo avuto modo di ospitarlo nel nostro Salotto Digitale per parlare con lui di animazione e di sogni che diventano realtà.

Per diverse generazioni la tua voce è uno dei punti di riferimento per il mondo cartoon…Per te il tempo sembra non passare mai, qual è il tuo segreto?

«Vivo sempre nel mondo dei cartoni animati e questo mi mantiene mentalmente giovane anche se il fisico si porta dietro i suoi anni (ride). Il mio sogno sarebbe quello di vivere eternamente giocando tra favole e sogni…tutta la mia vita fino ad ora è stata questo, un enorme gioco colorato».

In questo momento difficile recuperare il ricordo dei cartoni animati dell’infanzia è quasi un azione terapeutica…Quando è nata la tua passione per il mondo cartoon?

«Da bambino, come tutti. Quando ero molto giovane non c’erano molte alternative per divertirsi. La televisione, che era una scatola enorme, fungeva da focolare domestico e anche se avevamo molta più socialità rispetto ad oggi e giocavano ancora per strada perchè le città non erano ancora una giungla, spesso il pomeriggio quelli della mia generazione si incantavano nel seguire le storie dei primi cartoni animati. Io ero un bambino timido e per essere simpatico imitavo le vocine che ascoltavo, mi piaceva far divertire. A questo aggiungo che mia mamma era appassionata di cinema e di teatro e che in casa si dialogava spesso di trame intricate e di attitudini artistiche».

Un doppiatore è soprattutto un attore che interpreta un personaggio….

«Si, infatti ho iniziato proprio con il teatro in maniera amatoriale al liceo, poi sono passato ad un livello professionale alto ed in parallelo seguendo le orme di mio padre mi sono iscritto alla facoltà di ingegneria meccanica…ma ho capito subito che quella non sarebbe stata la mia strada. Quando è arrivata la cartolina militare ho interrotto l’attività teatrale e poi è arrivata l’occasione della vita, la chiamata di Mediaset che produceva una grande quantità di materiale».

Mediaset prima di altri è riuscita a portare al pubblico italiano i cartoni animati giapponesi…Non è stata un’attività priva di rischi e a livello commerciale fu un salto nel buio eppure in maniera inaspettata si è riscontrato un grande seguito capace di dare un identità ad un’intera rete televisiva come Italia 1. Tu che hai vissuto i retroscena di quelli anni precedentemente al grande successo cosa hai imparato da quei momenti?

«Ho imparato innanzitutto ad amare e conoscere approfonditamente quel tipo di cartoni… Da bambino c’era solo Disney e Warner Bross, erano dei piccoli corti occasionali con storie che iniziavano e finivano. Le serie giapponesi erano molto più vaste e strutturate e duravano per diversi anni, inoltre le trame erano piuttosto complesse e rivolte a un pubblico adulto».

Da qui deriva un lavoro di adattamento anche la redazione di “Bim Bum Bam” attuava per rendere il contenuto fruibile ad un pubblico più giovane…

«Si, soprattutto all’inizio alcuni contenuti sono stati edulcorati…Non era possibile presentarli al pubblico italiano e rivolgersi alla fascia dei bambini. In poco tempo questa versatilità ha fatto affezionare grandi e piccini e anche i tratti tipici dei manga come gli occhioni grandi sono diventati familiari. E questo è accaduto anche a me. Doraemon che doppio da trent’anni non posso dire di non amarlo».

Il lavoro del doppiatore è quello di creare anche un mondo parallelo rispetto all’originale e nel lavoro di adattamento spesso si aggiungono anche delle caratteristiche…

«Si a me è capitato con Kiss me Licia. Il gatto Giuliano nella serie originale non parla ma si esprime attraverso dei fumetti scritti che in italiano non avrebbero avuto la stessa resa. Con Cip Barcellini il figlio di  Alessandra Valeri Manera che dirigeva la fascia del pomeriggio di mediaset ci siamo inventati un commento sonoro con una voce buffa tipica del gatto un po’ pacione».

Alessandra Valeri Maneri è stata fondamentale per definire queste strategie…

«Alessandra era un capitano di vascello particolarmente severo e responsabile capace di tenere il controllo su aspetti diversi…».

Qual era l’atmosfera che si respirava tra i corridoi della redazione di bim bum bam?

«Si lavorava in maniera completamente diversa rispetto ad oggi e per prendere una decisione, anche importante, non era necessario fare tanti passaggi. Alessandra aveva pieno potere decisionale, in questo il Cavalier Berlusconi ha avuto il merito di aver dato fiducia a tanti giovani creativi e a loro intuito. Eravamo un oasi felice che registrava numeri da record e che produceva anche un indotto commerciale importante».

Oggi la tv generalista non si dedica più a questo tipo di intrattenimento, come mai?

«Ci sono stati dei cambiamenti sul palinsesto ai format Bim Bum Bam e Ciao Ciao sono subentrati prodotti della tv per così dire di servizio. Penso a Maria de Filippi ed “Amici” che ha preso il posto di quel segmento. Italia 1 trasmette ancora cartoni animati ma manca un contenitore importante che faccia da collante».

Recentemente Marco Bellavia, volto di Bim Bum Bam ha partecipato al Grande Fratello Vip a te è stato mai proposto un reality? Ci parteciperesti?

«Per anni sono stato solo una voce nell’ombra. Non andando davanti alle telecamere non mi sono mai curato troppo l’aspetto fisico ho preferito divertirmi, mangiare e bere con gli amici senza curarmi di un possibile riscontro in questo senso… Sopratutto a quei tempi contava l’aspetto fisico. Marco Bellavia aveva il fisique du role per condurre. Bisognava piacere al pubblico di adulti e bambini. Io ricordo di aver avuto un buon seguito da conduttore con il programma Game Boat, era in diretta ed è stata una prova importante per me. Quando si sono spenti i riflettori su bim bum bam molti come Roberto Ceriotti e Carlotta Brambilla si sono riciclati in altre attività mentre io ho continuato e continuo ancora con il doppiaggio dei cartoni animati, per me è cambiato poco…».

Hai prestato la tua voce a progetti diversi dai cartoni animati ai videogiochi passando per il cinema ed i pupazzi fino a degli animatronici reali per Gardaland…Come cambia l’approccio del tuo lavoro rispetto a questi mondi così diversi?

«Amo la mia professione e ogni volta che mi coinvolgono in un progetto innovativo non posso che esserne entusiasta. Quando mi propongono personaggi da creare da zero mi diverto molto…Ci metto la mia voce e la mia anima ma anche tanta creatività ed il corpo che rivestono i vari progetti lo imparo strada facendo… Nel caso del doppiaggio dei pupazzi c’è una forte dose di creatività, si segue un canovaccio che va poi sviluppato anche improvvisando».

A proposito di pupazzi cosa ci puoi rivelare del mitico Uàn?

«Con Uàn il mio lavoro è stato quello di raccogliere l’eredita di Giancarlo Muratori e di dargli un’identità credibile. A partire da 4 righe scritte si costruivano storie e battute, pur avendo il supporto di un autore. Mi è capitato anche di andare a braccio in diretta e mi ricordo che era molto stimolante, anche un errore poteva diventare un opportunità».

Oltre Uàn hai dato voce anche ad altri pupazzi…

«La voce di Uàn l’ho dovuta imitare ed ereditare alla fine degli anni 80…Muratori l’aveva studiata per se, era un tenore mentre io sono un basso baritono. Posso dirti che essendo anche un po’ afona certe volte ha messo a dura prova le mie corde vocali…mentre four l’ho plasmato a modo mio per questo era pacioso e rotondo…».

Dentro il buio della sala di registrazione quali sono le difficoltà che si incontrano?

«Intanto c’è un cambiamento, c’è chi preferisce una sala ben illuminata e se pensi ai dj ora va molto di moda avere una finestra sul mondo…Io invece preferisco ancora l’approccio buio, più classico. Meglio se grande e non piccola e stretta come accade di solito. Prima si poteva condividere anche il leggio con altri colleghi. Era un modo per rendere al meglio i personaggi nel loro rapporto tra loro. Oggi questo purtroppo non accade più».

Spesso accade che i doppiatori non hanno accesso alle immagini del film o del cartoon…Riguardando qualche tuo lavoro ti è mai capitata la sensazione di aver sbagliato intonazione rispetto al contesto?

«Se non per motivi specifici una volta che ho registrato raramente riguardo il cartoon. Mi capita adesso di risentirmi in qualche produzione del passato nelle infinite repliche su mediaset infinity o su boing. Mi piace viverla la situazione non amo guardare troppo indietro…».

Pistola alla tempia qual è stato il tuo personaggio preferito?

«Alessandra Valeri Manera mi ha aiutato molto perchè spesso mi affidava dei personaggi che non erano propriamente adatti a me e si fidava molto. Scontrarmi con queste realtà mi ha fatto crescere, ho dato del mio meglio sempre. Alcune cose da soldato ed altre con una marcia in più».

Con Sonic della Sega ad esempio non hai avuto un buon rapporto…

«Che dirti…mi stava un po’antipatico il personaggio e quando accade è difficile essere centrati sul pezzo».

Con Doraemon invece è stato subito amore…

«Si, adoro Doremon, sgrida sempre il povero Nobita e mi piace la sua tenerezza ma anche la saggezza. Mi ci ritrovo, è morbido ed altruista…un po’ come me».

Oggi grazie ad eventi come il Lucca Comics and Games e le fiere di settore hai modo di incontrare i tuoi fans…Come vivi il rapporto con loro?

«Per mezzo dei social non sono più “soltanto” una voce quindi ormai ho un seguito di ammiratori che mi conoscono ed apprezzano il mio lavoro. Mi piace incontrarli, fare casino tornare bambini ed abbracciarli. Se vuoi è anche un modo per ritornare a vivere quegli anni meravigliosi di cui tutti noi abbiamo nostalgia perchè il nostro presente non ci piace o perchè nessuno vuole più investire in questo tipo di sogni».

Oggi quale cartoon o film di animazione moderno preferisci?

Purtroppo dopo la pandemia ho diradato le mie uscite al cinema e questo è un peccato perchè il momento cinematografico è un rituale che si deve svolgere in maniera collettiva. Guardare un film sul divano non è la stessa cosa. Ma ho fiducia nel futuro, durante i comics ci sono molte realtà interessanti e prodotti nuovi che non trovano magari l’appoggio mainstream che proprio per la loro purezza hanno un valore aggiunto».

I cartoni animati di oggi rispetto a quelli del passato hanno una trama più lineare, quelli della generazione anni ’80 invece erano anche piuttosto traumatici: dagli schiaffoni ricevuti di Mila e Shiro agli abbandoni traumatici di Remy e Candy Candy passando per i contrasti di genere di Lady Oscar.

«Si, oggi il cartone animato di origine americana è piu indirizzato verso l’edutainment ossia l’educare divertendo. Personalmente i prodotti pedagogici fini a se stessi non mi sono mai piaciuti…Le idee sono buone ma sono poste in maniera noiosa. Il gioco è una cosa seria il divertimento deve fare da filo conduttore anche per messaggi importanti».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Pietro Ubaldi quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Il mondo continuerà con noi o senza di noi, anche Domani, ma spero di ritrovarci per abbracciarci e per ridere… anche dei nostri guai».

Articolo precedenteBaustelle: tradizione e azzardo si mischiano per il nuovo singolo “Contro il mondo”
Articolo successivoFlavio Montrucchio apre le porte della nuova stagione di “Primo appuntamento”
Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.