Il cielo sopra Ibraima è una sorta di resoconto su come gli immigrati giudicano noi italiani.
Scritto dal toscano Giuseppe Cecconi, “soprannominato il senegalese bianco perché, a forza di aiutarli, ha imparato a ragionare come loro”, e dalla senegalese Penda Thiam, narra di storie e fa citazioni e confronti che, nonostante le critiche che si possono leggere in rete da parte di chi pare lo abbia letto, dovrebbero essere utili a comprendere meglio non solo il nostro punto di vista, ma anche quello di chi, volente o nolente, in Italia ormai ci è.
Tale è probabilmente il vantaggio più grande di coloro i quali sono in difficoltà: il confronto; lo è stato con i meridionali emigrati a flotte nel Nord Italia dal periodo dell’Unità (fenomeno non ancora concluso, tra l’altro) e lo è oggi con i cosiddetti “extracomunitari” che arrivano nel nostro Paese inseguendo una speranza, che è poi quella che un po’ tutti abbiamo, ossia quella di una vita migliore. Mentre chi ha una sola prospettiva, non può che guardare il mondo dallo stesso luogo.
A confronto, ad esempio, è messa la “naturale” inclinazione dell’italiano alla bestemmia, pur se sostiene di essere credente, al il timor di Dio dell’immigrato.
Uno degli aspetti in assoluto più d’impatto è un elemento che questa gente venuta da lontano ha colto in noi e che non sempre ci rendiamo conto appartenerci: il sorriso forzato. Il fatto di riuscire a mantenerlo pur avendo gli occhi tristi, perciò un nascondere le emozioni, qualunque ne sia il motivo; forse riservatezza, finzione o abitudine.
L’atteggiamento dell’italiano agli occhi dell’immigrato è probabilmente quello dei nazisti nei confronti degli ebrei: diffidenza, indifferenza o insofferenza, nella maggior parte dei casi. Razzismo, purtroppo portato all’estremo, in taluni. Convivenza pacifica, scambio, aiuto (come nel caso di Ibraima, “salvato” dalla bontà dei Tubab = uomini bianchi) in quelli più felici.
C’è da dire, tirando le somme, che gli immigrati sono per lo meno riusciti a farsi un’opinione sugli italiani, il che significa che una condivisione, anche se forzata, c’è, ma chissà se si possa dire lo stesso per i nostri “colleghi europei”, specialmente quelli che vivono ai “piani alti”; del resto se ne sei fuori come puoi comprendere una Terra che, storicamente, fa da ponte tra Oriente e Occidente…
Patrizia Pecoraro