Recensione: Daredevil – Il Diavolo e l’acquasanta

Trovare dei difetti alla serie del diavolo di Hell’s Kitchen, anche ad essere pignoli, mi sto rendendo conto, ad ogni giorno che passa, di quanto sia arduo.

Il serial di Daredevil, prodotto dalla Marvel Television, dalla ABC Studios, dalla DeKnight Prods e dalla Goddard Texstiles per la piattaforma on demand Netflix, è qualcosa a cui non avevamo mai assistito entro il panorama del Marvel Cinematic Universe. Ed alla fine, se ne volessi puntigliosamente scorgere un’insufficienza (che poi a conti fatti non lo sarebbe poi tanto), la individuerei nel suo stonare con l’impronta più allegra e spensierata che i Marvel Studios hanno voluto genericamente conferire al loro scenario cinematografico e televisivo, se considerassimo anche lo spionistico Agents of S.H.I.E.L.D. Dopo il capitombolo, oramai di dodici anni or sono, dell’imbarazzante e caciarone Daredevil del 2003 ideato per il grande schermo, ove vi era Ben Affleck a vestire i panni del cornetto, con questo nuovo inizio gli autori si sono concentrati soprattutto nel restituire ad un personaggio sfaccettato come quello del rosso mascherato marvelliano la dignità che meriterebbe.

Lo spettatore, soltanto ad udire la traccia musicale dalle tonalità criminose composta da John Paesano e ad osservare le immagini associate ad essa che introducono ad ogni puntata, si sente proiettato di colpo in un territorio in cui l’unica possibile condotta per far sentire la propria voce è quella della coercizione. Come ci suggeriscono le silhouette dei palazzi di Hell’s Kitchen e della sagoma di Devil, scolpite nell’intro da traboccanti colate sanguinarie irrefrenabili, il quartiere di cui il diavolo scarlatto è protettore è stato e sempre sarà edificato con il sangue, la prepotenza e la ferocia, strumenti che chi lotta per il potere locale riconosce come deplorevoli, ma purtroppo necessari.

Su questa falsariga le atmosfere quindi si tingono di rosso, connaturando la serie di forti tonalità pulp, recrudescenti e dalla realistica violenza. Matt Murdock, alias Daredevil, non dispone di particolari superpoteri, è semplicemente un uomo ceco con dei sensi ipersviluppati. Dunque, riposti magici martelli asgardiani, raggi repulsori ultratecnologici e metamorfosi in verdi mostruose creature, abbiamo solo un individuo che si batte per far prevalere la giustizia unicamente grazie ai suoi pugni ed ai mezzi legali a cui la sua pratica avvocatizia può accedere. Tutto ciò, come detto pocanzi, infonde concretezza ai delitti, alle dispute intestine ed alle vite dei personaggi che si consumano per le putrescenti e malfamate strade asfaltate di Hell’s Kitchen. Il Matt uomo e avvocato, da fondo a tutte le sue qualità professionali per proteggere e salvaguardare ogni innocente, ispirandosi agli insegnamenti di Thurgood Marshall, il primo afroamericano ad aver fatto parte come giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America. “C’è un prezzo da pagare per la divisione e l’isolamento. La democrazia non può prosperare in mezzo all’odio.

La giustizia non può mettere radici nella rabbia. Dobbiamo combattere l’indifferenza. Dobbiamo combattere l’apatia. Doppiamo combattere la paura”, soltanto per citare uno dei tanti concetti di Marshall che hanno maggiormente influenzato l’idealista Matthew. Dei concetti, che come questo, spingono la serie ad approfondire delle importanti implicazioni giuridico-filosofiche ed etico-civico-sociali.

Ciononostante, dove la legge non arriva serve la forza per abbattere le ingiustizie protette dal sistema legale stesso. Così, il non vedente Murdock assume la sua identità di vigilante mascherato e si butta in mezzo alla mischia fatta di criminali e di uomini corrotti legalizzati. Tuttavia, per lui non sarà affatto facile, considerando che dalla sua parte ha esclusivamente delle abilità poco più che umane. Ed è proprio nei presenti frangenti che la figura paterna di Matt si ripresenta, ricordandogli che i Murdock non mollano mai… e che dopo essere caduti… si rialzano ogni benedettissima volta! Dopotutto, pure la sua incrollabile fede cristiana contribuisce ha sostenerlo nei momenti più duri e di scoraggio, giustificando oltretutto tramite quest’ultima le motivazioni per la sua guerra agli uomini d’onore e le sataniche sembianze che assume durante le sue ronde notturne nell’intento di pestare a sangue chi ha peccato. Malgrado ciò, nella religione il giovane Matt trova anche conforto e la chiarificazione dei dubbi che affliggono la sua tormentata coscienza che alla fin fine si rivela appartenere ad una persona del tutto comune.

In Daredevil la formula supereroistica si mescola incredibilmente con quella di tipo crime e con l’inchiesta giornalistica, alla stregua della pellicola giornalistico-investigativa del 1976 Tutti gli uomini del presidente. Costantemente, nella serie si indaga, si analizzano le possibili prove e si interrogano i soggetti che si presume siano coinvolti nei loschi affari dello zar del crimine, ossia Wilson Fisk, dei luoghi bazzicati dallo stesso Devil. …. Wilson Fisk. Un villain con tutti i crismi del caso. Per niente tagliato con l’accetta sul profilo psicologico, come solitamente è di norma per le figure negative del Marvel Universe. Umanamente interpretato da Vincent “Palla di Lardo” D’Onofrio, Fisk non è un malvagio fumettistico dalla risata e dal temperamento sguaiati, ma è un individuo di natura sensibile, il quale vuole soltanto il bene per la sua città, anche se distorto dal suo alterato punto di vista, che nella vita ha avuto non pochi traumi, che lo hanno costretto in un modo o nell’altro a nascondere questa sua natura sotto una coriacea armatura di potere, rispetto e di prestanza fisica, benché gli incubi del suo passato tornino di continuo a torturare la sua fragile stabilità emotiva, conducendolo a compensare i suoi dispiaceri col cibo e con la violenza gratuita a danno di chi disgraziatamente capitasse sotto le sue possenti mani che esigono vendetta a tutti i costi. In più, fra i temi trattati non viene tralasciato la rilevanza dei media e di come a volte le informazioni siano facilmente manipolabili dalle personalità più influenti. Oltre alla parte di Daredevil, impersonata da Charlie Cox, convincente a tutto tondo sia nei panni civili che in quelli in tenuta da battaglia (dove si capisce che il primo costume in total black indossato da Devil è una chiara allusione a l’uomo senza paura, il ciclo narrativo scritto da Frank Miller), e al ruolo di Vincent D’Onofrio nelle eleganti vesti di Wilson Fisk, da segnalare ci sono oltretutto Deborah Ann Woll, Elden Henson ed Vondie Curtis-Hall, a loro agio nei personaggi rispettivamente di Karen Page, la segretaria dello studio Nelson e Murdock, del bonario e corpulento avvocato amico di Matt Foggy Nelson e del giornalista di cronaca Ben Urich; mentre tra le fila di Fisk sono credibilissimi Toby Leonard Moore come interprete dell’imperturbabile James Wesley (meglio noto dai fumettari più attenti con l’appellativo di Organizzatore), Ayelet Zurer come Vanessa Marianna (la donna amata perdutamente da Wilson) e Bob Guton come lo scaltro Leland Owsley (uno dei soci in affari della nemesi di Daredevil, sperando di ritrovarlo nella seconda stagione negl’abiti da supevillain del Gufo). Non sono da sottovalutare anche certi guizzi tecnico-registici, non esattamente da semplici mestieranti, tipo l’impiego di ripetute panoramiche a 360°, necessarie per provocare nel pubblico un ansiogeno senso d’attesa e la giusta suspense; di inquadrature inclinate, utili nel suscitare il panico e l’azione frenetica e di giochi di luci ed ombre, aspetto quest’ultimo che delinea la serie Tv del giustiziare cremisi come un noir in piena regola. Da pelle d’oca, quasi me ne dimenticavo, è la sequenza del primo incontro tra Fisk e Murdock, in cui la tecnica del ralenti ne amplifica la paranoia e l’attesa.

Anche la fotografia fa la sua parte. Resa fredda, glaciale, ruvida, quasi sgranata (a tratti accompagnata da una luminosità giallo-verdastra, affinché evidenzi il marcio che attanaglia la città), in modo da consegnare alle ambientazioni ed ai protagonisti che si muovono sulla scena la maggior verosimiglianza possibile. Infine, i responsabili di questo gioiellino televisivo non si sono lasciati l’occasione di sfruttare vari generi musicali, spaziando dalla musica classica come Nessun dorma di Giacomo Puccini intonata dal tenore Luciano Pavarotti, sino alle melodie anni 70.

…. Che dire!… Seconda stagione… perché tardi ad arrivare?!

Gabriele Manca

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