«Sono una donna che ha avuto tutto: l’amore, il dolore, il successo. Eppure, ogni volta che salgo su un palco, mi sento come alla prima nota. Con le ginocchia che tremano e il cuore che balla».
C’è un’energia che non si spegne, una luce che continua a brillare anche quando il sipario si chiude. Iva Zanicchi è quella luce. Una voce che ha attraversato intere generazioni, imprimendosi nella memoria collettiva con la forza di un’onda che non si ritira mai del tutto. Voce potente, presenza scenica magnetica, ironia disarmante: è stata, ed è ancora oggi, una delle grandi signore della musica italiana.
Il suo percorso non è solo artistico: è un viaggio che intreccia emozione e resistenza, successi clamorosi e cadute superate con eleganza, serate indimenticabili e silenzi custoditi con pudore. Ha cantato l’amore, la passione, la perdita, sempre con quella voce che non interpreta: racconta. Dai trionfi a Sanremo all’Olympia di Parigi, dalle sale da concerto alle pagine dei suoi romanzi, Iva ha lasciato ovunque una traccia riconoscibile e viva.
Oggi, a 84 anni, non si ferma. Non è il tempo del bilancio, ma della libertà. La stessa che ritrova nel suo nuovo singolo, “Dolce far niente”, un brano che mescola melodie italiane e ritmi afro-house, prodotto da A‑Clark & Vinny per Time Records. Una canzone luminosa, che celebra il piacere di rallentare, di scegliere con consapevolezza, di prendersi finalmente il lusso più grande: il tempo.
Con la sua schiettezza travolgente e la sua instancabile voglia di vivere, Iva Zanicchi ci ha regalato un incontro prezioso, carico di memoria, ironia e verità.
L’abbiamo ospitata nel nuovo episodio del Salotto di Domanipress per raccontare non solo il suo ritorno discografico, ma anche la storia da che ha imparato a danzare sul ritmo della vita.
Il tuo nuovo singolo si intitola Dolce far niente. È un brano fresco, estivo, ma è anche un invito a prendersi del tempo. Cosa ti ha spinto a lanciarti in questa avventura musicale insieme ai giovani DJ Clark & Vinny?
«Sai, è stata quasi una provocazione a cui non ho saputo dire di no. Clark & Vinny sono due ragazzi pieni di talento e mi hanno proposto questa canzone con un entusiasmo contagioso. Mi hanno detto: “Ci pensi?”. Io ho risposto: “Conto fino a tre, uno, due, tre… sì!”. Non ci ho pensato nemmeno un minuto, perché avevo voglia di divertirmi e di mettermi in gioco ancora una volta.
Il brano è costruito in due momenti: c’è una parte più classica, cantata, dove uso la voce in modo più ‘tradizionale’, e poi parte questo beat moderno, un ritmo estivo che ti trascina. Lo chiamo ‘l’apro beat’, perché apre una porta sul divertimento puro. Mi piace pensare che magari in spiaggia, sotto l’ombrellone, qualcuno la sentirà arrivare da un chiosco… e riconoscerà la mia voce. Ecco, quello sarebbe un regalo bellissimo.»
Il titolo parla chiaro: “Dolce far niente”. Ma tu riesci davvero a concederti momenti di pausa?
«Io sono una pigra vera, una pigra autentica. Il mio corpo lo è, la mia mente no. Quando posso stare stesa a letto o sul divano, sembra che io non faccia nulla, ma in realtà dentro la testa succede di tutto: scrivo, progetto, invento. I miei libri, per esempio, nascono spesso proprio così, in silenzio, dentro di me.
Il ‘dolce far niente’ è anche un modo per restare vivi. È lo spazio dove le cose prendono forma. E poi, diciamolo, è bello ogni tanto non fare niente con la consapevolezza di farlo bene.»
Hai avuto una vita intensa, piena di arte e di esperienze anche fuori dal palco. Ma chi era Iva prima del successo? Cosa è rimasto di quella bambina cresciuta nell’Appennino reggiano?
«Tutto. Io sono ancora quella bambina, nonostante tutto quello che è accaduto. Vengo da una famiglia umile, ma felice. Eravamo poveri, sì, ma liberi. Correvo per i campi, giocavo con i miei fratelli, respiravo l’aria buona della mia terra. Quelle origini non mi hanno mai lasciata, mi tengono coi piedi per terra anche oggi.
Anche nei miei libri torno spesso lì, a quella bambina di Ligonchio, a mio padre severo ma giusto, a mia madre dolcissima. Credo che restare legata a quel passato mi abbia salvata molte volte. La notorietà può far girare la testa, ma io sono rimasta con i piedi nel fango delle radici. E ne vado fiera.»
Nel corso della tua carriera hai esplorato moltissimi mondi: musica, televisione, scrittura, persino la politica. In quale di questi ti sei sentita davvero nel tuo elemento?
«Nel canto, sempre. Quella è la mia casa, il mio rifugio, la mia prima vocazione. Ho cantato prima ancora di parlare, credo. La musica mi ha dato tutto: le emozioni più grandi, le paure più forti, le sfide più vere.
Scrivere mi ha regalato un altro tipo di libertà. Ho pubblicato quattro libri e ora sto cercando di completare il quinto, anche se mi sono fermata da un anno. È un lavoro profondo, che richiede silenzio, intimità.
La politica è stata una parentesi importante. L’ho fatta con convinzione, con passione. Non ero lì per decorare. Ho fatto esperienze fortissime, sono stata in Angola, in Congo, in Burkina Faso… Ho visto con i miei occhi la povertà più estrema e il coraggio più puro. Però, lo confesso, in Parlamento mi sentivo fuori posto. Lì mi chiamavano zingara, con tono dispregiativo. Ma io ‘zingara’ lo sono orgogliosamente, perché è la canzone che mi ha portata ovunque.»
E se dovessi scegliere una sola canzone per raccontare la tua carriera? Una che per te conta molto ma che magari il pubblico ha dimenticato?
«Sceglierne una sola è quasi impossibile. Ma se proprio devo, dico Nonostante lei, scritta da Alberto Testa e Tony Renis. Tony ogni volta che mi vede mi rimprovera: “Tu con questa canzone avresti potuto spaccare tutto, e invece niente!”.
Aveva ragione. È una delle più belle che io abbia mai interpretato, ma all’epoca non fu promossa come doveva.
Adesso, per questo motivo, sto pensando di realizzare un nuovo disco, forse l’ultimo. Ci sarà Dolce far niente, certo, ma anche quelle canzoni che amo e che non hanno avuto il successo che meritavano. Penso a L’indifferenza, una melodia così bella che alcuni dicono sembri scritta da Puccini. Quelle sono le canzoni che voglio lasciare, come un’eredità artistica.»
Sei sempre stata autoironica. Ma se ti chiedessi cosa è più difficile da dire per Iva Zanicchi: “Ti amo” o “Ho stonato”?
«È più difficile dire ‘ho stonato’, guarda! Perché per un cantante è come confessare un peccato. E ti accorgi subito, eh, quando succede. Non è che passi inosservato. Ma ormai è fatta, e la nota è uscita. Io non ho mai fatto vocalizzi, mai studiato canto in modo accademico. Ho una voce che mi ha regalato Madre Natura, la chiamo ‘voce d’acciaio’. Però adesso che gli anni si fanno sentire, devo allenarla. Faccio concerti e la voce tiene ancora, ma bisogna trattarla bene.»
Da qualche anno, oltre alle canzoni, il pubblico ti chiede… barzellette. Quando hai scoperto di saper far ridere?
«In realtà ho sempre amato far ridere. È una missione, secondo me. Far sorridere le persone è un atto sacro. Papa Francesco stesso ha detto: ‘Far ridere è far ridere Dio’. E io mi sento sdoganata, posso raccontarle tutte!
A Ballando con le Stelle è iniziato tutto: raccontai una barzelletta a Milly Carlucci, di quelle poche ‘pulite’ che conosco, e da lì ogni sabato ne volevano una nuova. Ora quando vado nei mercati, mi dicono: ‘Zingara no, ma una barzelletta sì’. Se in piazza c’è il prete, racconto quella più spinta così si ritira in canonica presto! (ride)
La risata è un antidoto al dolore. È una pausa nel dramma della vita. E io, finché posso, la porto in scena.»
Hai sempre parlato anche dei momenti più dolorosi, senza mai cedere al vittimismo. Di recente hai perso il tuo compagno Fausto, il tuo “Pippi”. Come si affronta un’assenza così grande?
«Non si affronta. Si impara a conviverci. Fausto era la mia metà da quarant’anni. Una presenza costante, allegra, ironica. Ci siamo amati tanto e abbiamo riso tantissimo. Quando è morto, si è spenta una parte di me.
Ma ho imparato da mia madre che non si deve mostrare troppo dolore. Le lacrime, se arrivano, devono cadere in silenzio. In pubblico cerco sempre di parlare di lui col sorriso, con quella leggerezza che lo rappresentava.
Ogni tanto vado al cimitero, e lì parliamo. Ma non smetto mai di ricordare i momenti belli. La nostalgia c’è, la mancanza pure. Ma anche la gratitudine.»
Quanto ha influito la sua presenza nella tua carriera?
«Totalmente. Con lui condividevo tutto: progetti, dubbi, scelte artistiche. E poi decidevo da sola, eh, perché sono una testarda (ride). Ma sapevo che potevo fidarmi del suo giudizio, del suo amore. Oggi mia figlia è la mia alleata. Mi sgrida se mi vesto male, fa da agente, da consigliere. Ho anche un genero simpaticissimo, dei nipoti adorabili. La famiglia è tutto, credimi. In questo mestiere ti salva dalla solitudine.»
Hai parlato spesso della tua testardaggine. C’è stato un momento in cui hai dovuto lottare per la tua indipendenza?
«Sì, quando ho deciso di lasciare il mio paese per andare a Reggio Emilia. Mio padre non voleva assolutamente. Era un uomo severo, all’antica, e non concepiva che una figlia partisse da sola.
Gli dissi: ‘Papà, vado dallo zio’. Ma lui non cedeva. Alla fine, forse sfinito, mi disse: ‘Hai vinto tu’. Mi diede la sua benedizione. Solo molto dopo, quando mi vide a Sanremo, capì che aveva fatto bene. Anche se all’inizio, quando gli dissi che volevo fare la cantante, mi rispose: ‘Ti compro una macchina’. Pensavo intendesse un’auto… invece era una macchina per fare le maglie!»
E oggi, guardando avanti, dove pensi che andrai? Paradiso o inferno?
«Ma io spero in una breve sosta in purgatorio, giusto per riflettere. E poi via, in paradiso. L’inferno dicono che sia ben frequentato, ma io preferisco il sole, gli angeli e magari qualche barzelletta da raccontare anche lì.»
C’è una persona che non c’è più a cui vorresti dire grazie?
«Achille Togliani. Era il mio padrino a Castrocaro, un uomo bellissimo, elegante, raffinato. È stato il primo a credere in me davvero. Cantava Signorina pallida, è stato anche fidanzato con Sofia Loren. A lui direi grazie, dal cuore.»
Come ultima domanda, parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo: come vede il “Domani” Iva Zanicchi quali sono le tue speranze e le tue paure?
«Io spero sempre. Spero in un Domani migliore per chi verrà dopo di noi. È un sogno semplice ma grande: che i nostri figli, i nostri nipoti vivano in un mondo più giusto, più gentile, dove si creda ancora nell’amicizia, nella bellezza, nella condivisione. Se riusciremo a trasmettere questo, forse il futuro non farà paura.»
Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite