“La musica è l’unica cosa che non tradisce mai. Ti accompagna, ti cambia, ti salva.”

Grido lo sa bene. Dall’adolescenza passata a scrivere rime nella periferia milanese ai palchi più importanti d’Italia, la sua carriera è stata un viaggio attraverso successi, evoluzioni e nuove consapevolezze. Lo abbiamo conosciuto come voce e anima dei Gemelli DiVersi, icona di una generazione cresciuta a pane e hip hop, poi lo abbiamo visto mettersi in gioco da solista, reinventandosi senza mai perdere di vista l’essenza di chi è davvero.

Luca Paolo Aleotti, in arte Grido, classe 1979, ha la musica nel DNA. Fratello minore di J-Ax, muove i primi passi nel mondo del rap a metà anni ’90, quando l’hip hop italiano è ancora un territorio in fermento. Con i Gemelli DiVersi firma hit che diventano colonna sonora di un’epoca, da Mary a Un attimo ancora, fino alla partecipazione al Festival di Sanremo nel 2009. Ma se c’è una cosa che lo ha sempre contraddistinto è la capacità di non fermarsi mai.

Oggi, con l’uscita del suo nuovo album “Musica Eterna”, Grido è pronto a raccontarsi con una profondità inedita. Per celebrarlo, il 22 maggio porterà il suo Musica Eterna Live Show ai Magazzini Generali di Milano, un evento che promette di essere molto più di un semplice concerto: sarà un manifesto del suo percorso, un incontro tra passato, presente e futuro.

L’abbiamo incontrato nel Salotto di Domanipress per parlare di musica, vita e di cosa significa restare fedeli a se stessi in un universo musicale che cambia ogni giorno.

Grido, partiamo dall’inizio. Sei stato un pioniere del rap italiano, un pezzo della storia di questo genere. Com’è cambiato il tuo approccio alla musica nel tempo?

«Se ripercorriamo il mio viaggio, in realtà dovremmo partire ancora prima. Avevo 13-14 anni quando mi sono innamorato del rap, e oggi ho superato i 40: sono padre, la mia vita è cambiata profondamente e anche il mondo intorno a me si è trasformato. Ma una cosa è rimasta immutata: la musica è il mio centro di gravità, l’elemento che unisce e riflette tutto ciò che sono. Nel tempo è cresciuta con me, maturata insieme alle mie esperienze. E se c’è una certezza, è che non ho mai smesso di divertirmi. Anzi, con Musica Eterna mi sono sentito libero come non mai, mi sono immerso nell’arte del rap con lo stesso entusiasmo di quel ragazzino che scriveva rime sotto casa.»

Da rivali a compagni di rime: il cerchio si chiude. Nel disco ci sono collaborazioni importanti, tra cui una che ha fatto scalpore: Fabri Fibra. Da un dissing infuocato a un featuring, sembra quasi un manifesto della trasformazione dell’hip hop…

«Assolutamente. Credo che sia una delle cose più belle di questo genere: il confronto può essere acceso, può prendere la forma del dissing, ma se è autentico e basato sulla musica, può evolversi. Io e Fibra, ai tempi, ci siamo lanciati frecciate su rime e interviste, era competizione vera, di quelle che scaldano l’anima dell’hip hop. Poi siamo cresciuti, ci siamo ritrovati e ci siamo scoperti molto più simili di quanto pensassimo.

Come avete raggiunto questa consapevolezza

Il rispetto c’è sempre stato,  ci siamo sempre guardati e annusatinda lontano e quando finalmente abbiamo messo da parte l’orgoglio abbiamo creato due pezzi Sfiga pt. 1 e Sfiga pt. 2. Per me è stato un momento bellissimo, perché chiude un cerchio lunghissimo. Il rap è anche questo: sapersi sfidare e poi stringersi la mano.»

Oggi il rap è cambiato. Quando avete iniziato voi, il successo non era il fine, ma il mezzo per raccontare una realtà. Ora sembra essere il contrario: visibilità, follower, numeri… Come vedi questa evoluzione?

«Non riguarda solo il rap, è tutto il mondo dell’intrattenimento a essere mutato. Essere famosi oggi è diverso da prima, e lo dico senza giudizio: vedo ragazzi che ostentano una vita patinata sui social, ma poi confessano di sentirsi vuoti, insoddisfatti. Io vengo dalla vecchia scuola, per me il rap è sempre stato sostanza, emozione, messaggio. E per fortuna vedo che non tutto è cambiato.

Quali sono gli artisti rap della scena attuale che preferisci?

«Ci sono artisti giovani che stimo moltissimo, come Massimo Pericolo: crudo, diretto, profondo. Lui non ha paura di raccontare la sua realtà, e questo è il vero rap. Il problema è che spesso il pubblico si concentra più sul gossip, sullo scandalo, sull’estetica. È il trionfo del tutto e subito: fama, soldi, successo in un attimo. Ma è un sogno distorto.»

Nel 2014 hai chiuso un capitolo importante con i Gemelli DiVersi. È stato un passaggio naturale o ha lasciato ferite?

«Quando una band si scioglie, c’è sempre una parte di dolore. Non è stato improvviso, ci sono state dinamiche che hanno portato a quella decisione, e non ero felice di come è andata. Ma col tempo ho capito che era un passaggio necessario. All’inizio è stata dura, ma poi ho trovato la mia strada. E se oggi sono qui, con un album che mi rappresenta al 100%, è anche grazie a quei momenti difficili. Non rimpiango nulla, perché ogni scelta mi ha portato dove sono ora.»

Se dovessi scegliere una canzone dei Gemelli DiVersi a cui sei più legato?

«Difficile sceglierne una, ma Mary è sicuramente un pezzo che ha segnato la storia del rap italiano. Parlare di violenza sulle donne in quel modo, con un linguaggio nuovo, è stato un atto forte. Anche Un attimo ancora, nella sua semplicità, è stata rivoluzionaria: una canzone d’amore portata da una band rap, una cosa che all’epoca sembrava impossibile. E poi c’è Vivi per un miracolo, che abbiamo portato a Sanremo nel 2009, con un testo che parlava di feti abbandonati nei cassonetti.

Portavoce sul palco denuncia sociale, rap e autotune con oltre quindici anni di anticipo…ma i giudizi furono tiepidi.

«Il pubblico forse non era pronto, eravamo i primi ad utilizzare certi strumenti, ha usare un linguaggio moderno e fresco ma noi l’abbiamo fatto. E questo, per me, vale più di tutto. Non ci siamo mai troppo affranti per la classifica. Abbiamo giocato il nostro campionato».

Tuo fratello J-Ax è stato fondamentale nel tuo percorso. Che rapporto avevate agli inizi?

«Curiosamente, ci siamo avvicinati al rap in modo indipendente. Lui aveva 21 anni, io 14. Frequentava Milano, i locali, le console, mentre io ero il ragazzino che skaitava in periferia e registrava i primi demo. Quando ho inciso il mio primo pezzo con Strano, ho fatto una cassettina e l’ho lasciata a mio fratello con una lettera».

Cosa è accaduto dopo, come vi siete confrontati professionalmente?

Lui l’ha ascoltata, e da lì è partito tutto e anche se siamo stati indipendenti abbiamo spesso collaborato. Il suo giudizio è fondamentale.

Oltre la musica, cosa c’è?

«Ax per me è stato un fratello, un maestro, ma anche una figura paterna: i nostri genitori si sono separati quando ero adolescente, e lui mi ha guidato in tanti momenti. C’è un legame che nessuno può toccare.»

Il 22 maggio sarai protagonista di un concerto-evento che segna una nuova fase della tua carriera. Cosa dobbiamo aspettarci?

«Sarà qualcosa di unico. Un viaggio schizofrenico tra passato e presente, con sorprese, amici, momenti che voglio rendere memorabili. Sto curando ogni dettaglio con Mastermind, Say with Jacob e Villa, e ci saranno ospiti speciali. Non vedo l’ora, ma ammetto che una parte di me è terrorizzata dall’idea: voglio che sia uno show che alzi l’asticella, un Grido 2.0.»

Come ultima domanda, parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo: come vede il “Domani Grido, quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Domani potrebbe essere un giorno migliore di oggi, anche se oggi è stato perfetto. E la mia paura è che potrei non accorgermene.»

Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.