«Sono sempre stato affascinato dalla forza emotiva della musica, capace di unire le persone oltre ogni barriera», racconta Fausto Leali, con quella voce che da decenni rappresenta un timbro inconfondibile nella storia della musica italiana. Nel corso della sua vita artistica, Leali ha attraversato epoche e generi, reinventandosi costantemente, ma senza mai perdere di vista il suo stile unico.

Nato nel 1944 a Nuvolento, in provincia di Brescia, Leali ha iniziato la sua carriera da giovanissimo, muovendo i primi passi come chitarrista in orchestre locali. Il suo talento vocale lo ha portato presto sotto i riflettori, dove ha conquistato il pubblico con una voce profondamente blues e un’anima appassionata. Con brani iconici come “A chi” e “Io camminerò”, ha scritto pagine indelebili della musica leggera italiana, diventando “Il Negro Bianco”, un appellativo che, pur discutibile per i suoi connotati, celebrava la potenza e il pathos della sua interpretazione vocale.

Leali ha collaborato con alcune delle voci più grandi della musica italiana, tra cui Mina e Anna Oxa, e ha calcato palcoscenici prestigiosi come quello di Sanremo, emozionando generazioni di fan. Ora, all’alba dei suoi 80 anni, torna con un nuovo progetto discografico che promette di sorprendere e commuovere: “Il mio Natale”. Questo album, frutto della collaborazione con la Warner e il produttore Pasquale Mammaro, è molto più di una raccolta di canzoni natalizie. È una celebrazione della vita, dell’amore e delle emozioni autentiche che solo la musica può evocare. L’abbiamo ospitato nel nuovo appuntamento del Salotto di Domanipress e abbiamo parlato con lui di musica, emozioni e vita.

Partiamo dal tuo nuovo album “Il mio Natale”, ideato da Pasquale Mammaro. Non si tratta del classico album natalizio, ma di un lavoro unico in cui hai reinterpretato alcuni grandi classici a tuo modo. Qual è stato l’approccio a questo progetto?

«L’idea è nata dalla Warner, insieme all’arrangiatore Luca Chiaravalli e, naturalmente, a Pasquale Mammaro, che ha diretto l’intero progetto. Abbiamo selezionato insieme i brani da inserire. Ricordo che Luca ha sentito una mia versione di “It’s a Man’s World” e ha detto: “Voglio includere anche questo pezzo”. Inizialmente gli ho fatto notare che non era un brano natalizio, ma lui ha insistito, sostenendo che il tema è attualissimo: celebra l’importanza delle donne nella società. E così è stato. Questo pezzo ha dato il via al progetto, accompagnato dal singolo “Amo tutto”, che è un inno all’amore universale declinato in tutte le sue forme.»

“Amo tutto” parla di un amore universale e profondo. All’alba dei tuoi ottant’anni, come si è evoluto il tuo rapporto con l’amore?

«L’amore è fondamentale, una parola da scrivere con la “A” maiuscola. Ne parliamo tanto, specialmente a Natale, ma non dovrebbe essere relegato solo a questo periodo. Per me, l’amore è ovunque: nella carezza di un nonno, nell’affetto dei genitori, nell’amicizia. Amo il messaggio di “Amo tutto” perché invita a custodire e apprezzare le piccole cose. Viviamo in un mondo che ha bisogno di più amore, e questa canzone lo ricorda in modo potente.»

Parlando di ricordi, cosa ci puoi raccontare del tuo Natale prima del grande successo?

«Il mio Natale da piccolo era molto semplice, quello di una famiglia umile. Mi ricordo che quando arrivava un cioccolatino o una caramella era un momento di grande gioia. Era un Natale fatto di cose piccole, ma autentiche.»

Il tuo successo esplosivo è arrivato con “A chi” nel 1967, un brano che ti ha cambiato la vita. Ti aspettavi un impatto del genere?

«Assolutamente no. Con il mio gruppo dell’epoca suonavamo nei locali di Milano, Roma, Napoli, proponendo un repertorio vario: Ray Charles, James Brown, Beatles. Poi un giorno ho sentito “Hurt” di Timi Yuro. Il mio chitarrista, Piero Braggi, mi presentò il testo italiano, “A chi”. Abbiamo inciso un album con 12 brani e “A chi” ne faceva parte. Fu Pippo Baudo a notarla in TV, seguito da Renzo Arbore in radio. Da lì è diventata un classico immortale. Il segreto? L’inizio esplosivo e quel sound che cattura subito.»

 Hai avuto collaborazioni importanti, come quella con Anna Oxa. Ma una che spesso non viene ricordata è quella con Mina per “Via di qua”. Cosa puoi dirci di quell’esperienza?

«Mina è sempre stata una mia grande estimatrice. Fu lei a chiamarmi, dicendomi: “Ho un pezzo che voglio fare con te, si intitola ‘Via di qua’”. Era una delle 24 canzoni di un suo album doppio. Poi la Rai la scelse come sigla televisiva, e il brano ebbe un bel successo. Era il 1986, l’anno in cui iniziavo a uscire da un periodo di difficoltà.»

A proposito di difficoltà, hai parlato spesso di momenti bui e di ingenuità nella tua carriera. Qual è stata la scelta più folle che hai fatto, anche se commercialmente non si rivelò vincente?

«Non sono mai stato troppo attento alla promozione. Ho avuto grandi successi in Spagna e in America Latina, ma non ho colto appieno l’occasione di espandermi ulteriormente. È qualcosa che rimpiango, ma è stata una mia scelta.»

Hai mai ricevuto critiche che ti hanno ferito particolarmente?

«Sì, una volta mi è stato dato del razzista. Nulla di più lontano dalla mia persona. La mia carriera e la mia vita testimoniano il contrario.»

Il Natale è un periodo di famiglia. Tu sei papà di quattro figli. Come riesci a conciliare il ruolo di artista con quello di padre?

«Ho un piccolo “difetto”: ho tre famiglie. Questo rende difficile riunire tutti a Natale, ma faccio il possibile per essere presente. Passo un po’ di tempo con ciascuno.»

I tuoi concerti coinvolgono diverse generazioni. Prima di salire sul palco, cosa provi dopo tanti anni di carriera?

«Con il mio gruppo è tutto più semplice: ci basta un respiro per intenderci. Ma ogni concerto è emozionante, quasi come la prima volta. Sanremo, però, è un discorso a parte: è sempre una sfida enorme.»

Dopo una carriera così luminosa, c’è qualcosa che il pubblico non sa ancora di te?

«Sono un amante della musica funk e r&b, non solo dei brani melodici per cui sono conosciuto. Mi piacerebbe esplorare e mostrare di più questo lato di me.»

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Fausto Leali quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Sono un ragazzo di ottant’anni, e il futuro lo vedo con ottimismo. Mi sento amato dal pubblico, dai colleghi e dalla vita. Questo mi dà una forza inesauribile.»

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.