«Per me l’arte è una maniera sincera di sopravvivere al rumore del mondo», confessa Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, con quella calma apparente che spesso accompagna chi ha imparato a restare in silenzio solo per dire di più. Da sempre incline a osservare più che a occupare la scena, oggi il cantautore siciliano apre le porte di una nuova dimensione creativa, lasciando che siano le immagini – e non solo le canzoni – a raccontare il suo universo interiore.”

L’arte, per Lorenzo Urciullo, è un istinto naturale, un’urgenza intima che si muove tra la necessità di raccontare e il desiderio di celare. Nato come cantautore, ha fatto della musica la sua prima casa, scolpendo nel panorama indipendente italiano una cifra stilistica unica: poetica, malinconica, profondamente visiva. Dal debutto solista con Un meraviglioso declino fino alla fortunata collaborazione con Dimartino, che li ha consacrati al Festival di Sanremo con brani come Musica leggerissima e Splash, Colapesce ha saputo raccontare l’invisibile con un’ironia sottile e un’intensità lirica rara.

Oggi esplora nuovi orizzonti espressivi, spostandosi con grazia verso la fotografia, verso il silenzio eloquente di immagini capaci di parlare quando le parole non bastano più.

Con la sua prima mostra personale, Camera doppia uso singola, ospitata nella rinomata Galleria Patricia Armocida di Milano, Colapesce compie un passo delicato e deciso nel mondo dell’arte visiva. Nei suoi scatti emerge l’eco di una malinconia profonda, il senso di un tempo sospeso, e soprattutto un legame indissolubile con la sua Sicilia, una terra che non smette mai di trattenere e di ispirare.

L’abbiamo incontrato nel salotto digitale di Domanipress per accompagnarlo in questo nuovo percorso e per riscoprire, attraverso le sue parole e le sue immagini, ciò che resta negli anni di una voce capace di farsi imprescindibile.

Per la prima volta ti incontriamo non solo come musicista, ma anche come artista visivo. La tua mostra personale alla Galleria Patricia Armida a Milano segna un passo importante nel modo in cui esprimi la tua interiorità. Come nasce in te questa passione per la fotografia?

«La fotografia è una passione che porto dentro da molto tempo, fin dall’adolescenza. Ricordo ancora quando, nel mio piccolo paese di Solarino, in provincia di Siracusa, ho seguito un corso di fotografia analogica. Era un mondo molto diverso da quello digitale di oggi: scattare una foto significava aspettare con pazienza di poter vedere il risultato, senza avere alcuna anticipazione immediata. Questo lento processo mi ha insegnato a osservare con cura, a riflettere prima di immortalare un momento. Negli anni, quella passione è cresciuta, alimentata da un desiderio quasi viscerale di raccontare storie, ma non solo con le parole: anche con le immagini.»

Nella tua mostra “Camera doppia uso singola” emergono tre filoni tematici molto distinti: la solitudine degli alberghi, un’intimità familiare con tua nonna e la tua prozia, e infine quella Sicilia che ti accompagna sempre. Puoi raccontarci il rapporto che hai con la tua terra?

«La Sicilia è per me molto più di un luogo geografico, è un legame profondissimo, un ricordo, una ferita aperta. Ho passato gran parte della mia vita lì, e la casa di mia nonna – dove sono cresciuto fino all’adolescenza – è ancora oggi un rifugio. Ma come tutti i siciliani, il mio rapporto con questa terra è complesso, spesso conflittuale: c’è amore, certo, ma anche un senso di solitudine e di malinconia, di cui è intrisa ogni immagine che porto con me. La Sicilia è una terra di contrasti e paradossi, ed è proprio questo che ho cercato di raccontare attraverso scatti che definisco “giorni sfiniti”: fotografie che sono quasi dei silenzi visivi, in cui più che ciò che si vede, emerge ciò che si sente.»

Nel tuo lavoro fotografico, come nel tuo percorso musicale, la composizione è fondamentale. La mostra propone formati di dimensioni contenute, come il 20×20, scelto per evocare le tradizionali cementine siciliane. Qual è il significato di questa scelta?

«La scelta del formato è decisamente una scelta romantica e legata alla memoria. Il 20×20, che richiama le cementine delle vecchie pavimentazioni siciliane, è un modo per riportare chi guarda ai dettagli, a un’intimità quasi domestica. Amo i formati piccoli, perché costringono l’osservatore a un avvicinamento, a un dialogo intimo con l’immagine. Questo modo di lavorare ha molto a che fare anche con la musica, perché, come nella composizione di un brano, ogni dettaglio è studiato con cura: la luce, lo spazio, la distanza, diventano strumenti con cui raccontare qualcosa che va oltre la superficie.»

Spostandoci un po’ più sul personale, come trascorri il tuo tempo libero? Cosa ti rilassa o ti appassiona oltre la musica e la fotografia

«In realtà, la linea tra lavoro e tempo libero è spesso sottile, perché molte delle cose che amo fare diventano parte del mio percorso artistico. Suono spesso per piacere, non solo per necessità professionale. Mi dedico anche alla fotografia, amo i board games – quei giochi da tavolo che richiedono strategia e pazienza – e, quando posso, mi concedo lunghe passeggiate. Non sono uno sportivo, ma camminare mi aiuta a mettere ordine nei pensieri. E poi leggo tanto, sempre alla ricerca di nuovi stimoli. Credo che la curiosità sia l’energia più importante per chi vuole raccontare storie, che siano visive o sonore.»

Per la tua produzione musicale le immagini sono sempre state protagoniste, pensiamo ad album come “Infedele”, dove la copertina stessa è una foto di quando eri bambino. Quanto è importante per te la componente visiva nelle tue opere?

«La componente visiva è imprescindibile per me, è parte integrante della narrazione. “Infedele”, ad esempio, ha in copertina una fotografia che mi ritrae bambino durante la prima comunione. Quello sguardo innocente contrasta volutamente con il titolo dell’album, creando una tensione, un ossimoro che parla di contraddizioni e fragilità. Le immagini aiutano a entrare nell’intimità del racconto, a creare un ponte emotivo tra me e chi ascolta. È un linguaggio che mi appartiene tanto quanto la musica.»

Nel percorso artistico, cosa senti di aver lasciato indietro, se c’è qualcosa che si perde inevitabilmente col tempo?

«Più che perdere, direi che alcune cose si trasformano. La mia identità artistica si evolve, ma non si disperde. Quello che ho fatto rimane dentro di me, come una traccia indelebile. È un processo naturale, in cui si cresce e si cambia, ma con la consapevolezza di portare sempre con sé il proprio passato.»

Parliamo ora del titolo di uno dei tuoi album, “Un meraviglioso declino”. È una definizione che lascia intravedere un disagio, una tensione. Vedi qualche motivo di speranza in questo declino o credi che stiamo davvero andando verso un deterioramento?

«Quel titolo è stato in qualche modo profetico. Negli ultimi quindici anni la situazione sociopolitica e culturale nel nostro paese è decisamente peggiorata. C’è una sensazione diffusa di declino, di smarrimento. Eppure, proprio in mezzo a questo, credo che l’arte abbia un ruolo fondamentale: non tanto come cura, ma come stimolo a riflettere, a mettere in discussione. È una speranza fragile, ma necessaria, che domani possa essere privo di conflitti, un futuro in cui la bellezza e la verità trovino spazio.»

Se dovessi associare a questa mostra una colonna sonora, quale sceglieresti?

«Senza dubbio una musica ambient, strumentale, che lasci parlare le immagini, che accompagni senza sovrastare. Credo che questa scelta rispecchi la natura stessa della mostra: un racconto silenzioso, che non ha bisogno di parole per arrivare al cuore.»

Il panorama musicale italiano è ricco di collaborazioni importanti. Come si è evoluto oggi il tuo rapporto con Di Martino, siete ancora in contatto?

«Si, la nostra non è una separazione, ma una pausa. Il rapporto è solido, ci sono rispetto e stima reciproca, semplicemente stiamo vivendo strade parallele in questo momento. Sono certo che il tempo ci porterà a nuove collaborazioni.»

A proposito di momenti importanti, avete portato a Sanremo un brano, “Splash”, che parla di caduta, di un impatto forte con la realtà. Qual è stato per te il momento “Splash”, quello in cui tutto è cambiato o ti sei dovuto rimettere in piedi?

«Il mio primo disco, uscito circa dodici anni fa, è stato il primo “splash”. Un momento di grande rottura, ma anche di nuova energia. Da lì è iniziato un percorso fatto di fatica e di passione, perché fare l’artista libero e indipendente in Italia oggi è una sfida enorme, ma anche una scelta di libertà.»

Cosa significa per te essere un artista indipendente?

«Essere indipendente significa non essere schiavo del mercato, mantenere una propria visione e libertà creativa. È un equilibrio difficile da raggiungere, ma fondamentale per non perdere se stessi.»

Hai anche scritto una graphic novel con Baronciani, “La distanza”. Possiamo aspettarci nuovi progetti di questo tipo o continuerai a esplorare altre forme di espressione artistica?

«Non escludo nulla. La graphic novel è un’esperienza molto diversa dalla fotografia, che è un linguaggio molto immediato, fatto di immagini reali. Ma entrambe sono forme di racconto, modi diversi per esplorare la realtà e le emozioni.»

Come ultima domanda, parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo: come vede il “Domani” Colapesce, quali sono le sue speranze e le sue paure?

«Domani è una parola carica di significati, a volte vuota, altre volte piena di promesse. Le mie speranze sono legate a un futuro senza conflitti, a una possibilità di pace e armonia. Le mie paure più intime sono personali, le tengo per me, ma credo che condividiamo tutti un senso di angoscia per l’incertezza che ci circonda. L’arte, con le sue idee e la sua capacità di provocare riflessioni, può essere un piccolo faro in questa oscurità. Io la uso per esorcizzare le mie paure, come un impulso primario, un bisogno profondo di esprimere ciò che sento, indipendentemente da chi ascolta o guarda.»

Intervista esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.