Parigi si inchina. Novak Djokovic esce di scena con l’onore dei re sconfitti. Al suo posto, sotto il cielo rarefatto del Roland Garros, sale sul trono un ragazzo dai capelli rame e dallo sguardo buono, che fino a qualche anno fa sfrecciava sugli sci in Alto Adige e oggi si prende la storia a suon di rovesci incrociati: Jannik Sinner è il nuovo numero uno del tennis mondiale.
È il primo italiano di sempre a riuscirci. E non sembra neanche rendersene conto. Cammina leggero, sorride educatamente, ringrazia con voce sottile. Ma sul campo è un fuoco freddo: chirurgico, potente, inesorabile. Djokovic gli ha provate tutte. L’esperienza, l’orgoglio, il fisico che resiste più per rabbia che per condizione. Ma nulla ha potuto contro l’evidenza: il futuro è arrivato. E si chiama Sinner.
Il match è finito 6-2, 6-4, ritiro. Ma quel che conta oggi è molto più di un punteggio: è un cambio d’epoca. È la consacrazione di un campione silenzioso, che non urla mai, che lavora sempre, che gioca per sé e per nessun altro. E proprio per questo, oggi, rappresenta tutti. L’Italia, che aspettava un simbolo pulito da idolatrare. Lo sport, che ritrova bellezza e sostanza in un solo colpo. E la sua generazione, spesso accusata di non saper lottare.
E invece eccolo lì, Jannik. Con la maglia arancione, la faccia impassibile e l’aria da bravo ragazzo. È il primo numero uno al mondo cresciuto in un rifugio di montagna. Uno che preferisce una cena in famiglia a una notte folle a Ibiza. Uno che non ha bisogno di urlare per farsi sentire.
E ora lo sentono tutti.
Il suo trionfo non è solo la vittoria di un tennista, ma di un modello nuovo di atleta: disciplinato, gentile, spietato solo quando serve. Uno che non si costruisce davanti alle telecamere, ma si scolpisce in silenzio, giorno dopo giorno, mattina dopo mattina, allenamento dopo allenamento.
Con Sinner, l’Italia scopre un altro modo di essere campione. Più discreto, più elegante, forse più vero.