Sanremo 2025: Fedez e Marco Masini cantano “Bella Stronz*”. Scelta infelice di mascolinità tossica o becero marketing?

Sanremo 2025: Fedez e Marco Masini cantano “Bella Stronz”. Il Festival della canzone italiana o della mascolinità tossica?

Sanremo 2025 ha già iniziato a far discutere ancor prima di accendere i riflettori sul palco dell’Ariston. A tenere banco, questa volta, è l’annuncio dell’esibizione di Fedez insieme a Marco Masini, con una reinterpretazione del controverso brano Bella Stronz*, successo del 1995 firmato dal cantautore toscano. Una scelta che, nel 2025, fa sollevare più di un sopracciglio e alimenta una domanda inevitabile: siamo ancora prigionieri di una narrazione stereotipata e tossica della mascolinità?

Il peso (e il limite) di un titolo provocatorio

Quando Bella Stronz* fu pubblicata per la prima volta, suscitò scalpore per il linguaggio esplicito e il ritratto di un uomo ferito che sfogava il proprio rancore verso una donna. All’epoca, il brano fu difeso come l’espressione di un dolore autentico, senza filtri, e trovò ampio consenso tra il pubblico. Oggi, però, le sensibilità sono cambiate: termini come “stronza” non vengono più accolti con indulgenza, ma riconosciuti come espressioni di un linguaggio che perpetua dinamiche sessiste e una visione punitiva delle relazioni.

E allora, perché riproporre un pezzo del genere? E, soprattutto, perché Fedez, noto per essere un provocatore, ha deciso di affiancare Masini in questa operazione?

La provocazione come strategia di marketing

Che il Festival di Sanremo sia diventato un terreno fertile per polemiche e controversie non è una novità. Negli ultimi anni, la gara musicale ha spesso utilizzato il “rumore” mediatico per attirare attenzione e rilanciare ascolti. La partecipazione di Fedez, personaggio divisivo per eccellenza, sembra perfettamente allineata a questa logica. Ma qual è il prezzo di questa provocazione?

La scelta di riproporre Bella Stronz* non appare casuale: si inserisce in una narrazione che oscilla tra nostalgia e provocazione e odio verso l’ex moglie Chiara Ferragni anche se ufficialmente Fedez ha lasciato intendere di dedicare il testa alla depressione. Scelta furba ma anche un po ipocrita. Tuttavia, in un contesto in cui il dibattito sulla parità di genere e sulla responsabilità del linguaggio è centrale, questo tipo di operazione rischia di sembrare non solo fuori tempo massimo, ma anche dannosa.

Mascolinità tossica travestita da libertà artistica

Il problema non risiede solo nella canzone in sé, ma nel messaggio che un’esibizione del genere veicola sul palco più importante della musica italiana. Riproporre un brano che utilizza termini offensivi per descrivere una donna, senza alcuna contestualizzazione o riflessione critica, significa ignorare il peso delle parole e perpetuare una visione distorta delle relazioni.

Non si tratta di censura, ma di responsabilità. L’arte ha il diritto di essere provocatoria, ma quando questa provocazione scivola nell’apologia di stereotipi tossici, il rischio è di normalizzare atteggiamenti che la società dovrebbe invece impegnarsi a decostruire.

Il silenzio del Festival: complicità o distrazione?

Fa riflettere anche il silenzio della direzione artistica di Sanremo, che ha approvato senza riserve un’esibizione tanto controversa. Il Festival non è solo una vetrina musicale, ma anche un evento culturale capace di influenzare il dibattito pubblico. In un momento storico in cui si parla tanto di inclusività, rispetto e cambiamento, accettare passivamente una performance del genere significa perdere un’occasione per dare un messaggio diverso.

Un’occasione mancata

Quella che poteva essere un’opportunità per rielaborare criticamente un brano del passato, aggiornandolo ai tempi moderni, rischia invece di trasformarsi nell’ennesimo spettacolo che glorifica una mascolinità vendicativa e sterile o peggio di un tentativo di buttare il sasso nascondendo la mano dietro il paravento del tema della depressione. Se Sanremo vuole davvero rappresentare l’Italia di oggi, forse è il momento di interrogarsi non solo su quali canzoni portare sul palco, ma anche su quali valori trasmettere.

In un’epoca in cui la musica ha il potere di riflettere i cambiamenti sociali, serve davvero riproporre vecchie retoriche, mascherandole da libertà artistica o peggio di rilettura dei contenuti? La risposta, per molti, è già chiara, non Ferragni però.

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Stefano Germano, laureato presso l'IULM, è un appassionato di TV e cultura moderna e new media è sempre alla ricerca delle storie più intriganti e delle tendenze culturali del momento.