Recensione “Salt and Sacrifice”: Storia di un sequel che non ce l’ha fatta

“Salt and Sacrifice” è un gioco rilasciato da “Ska Studios” (uno studio che vanta, se ho letto bene, qualcosa come… tre persone all’organico? Vabbè non è importante) il 10 Maggio di quest’anno.

Salt and Sacrifice è il sequel di “Salt and Sanctuary”.

Ora devo fermarmi e parlare un po’ di Salt and Sanctuary e del perché il seguito era molto atteso e del perché era molto importante che fosse un sequel riuscito.

Allora: la cosa particolare di Salt and Sanctuary è che è un gioco souls-like in 2D (o meglio, strutturato in 2D), un Medroidvania a tema fantasy con il sistema di gioco identico a Dark Souls. E questo è tutto quello che c’è da dire, ora, quando Salt and Sanctuary è uscito la “febbre del Souls-Like” non era ancora al suo zenit. Salt and Sanctuary è stato il primo gioco (o almeno, il primo gioco degno di nota) che è riuscito a implementare con eleganza ed efficacia tutti gli aspetti dei titoli originali della trilogia Dark Souls. C’erano solo alcuni aspetti modificati giusto per essere più efficaci in un mondo a due dimensioni più una o due piccole meccaniche nuove, utili per dargli una spolverata di inventiva e novità.

E c’è riuscito alla grande. Non solo nelle meccaniche di gioco ma anche nell’atmosfera e nel world-building. Salt and Sanctuary è davvero un gioco riuscito.

Ma, con tutto questo successo ora sale una domanda: “come facciamo per il sequel”? Và bene copiare (anzi: rubare) idee a un titolone come Dark Souls, ma ora è il momento che il figliol prodigo impari a camminare con le sue gambe.

Più di ogni altra cosa, Salt and Sacrifice, per essere un sequel di successo, doveva trovare la sua identità, la sua direzione e imparare a distinguersi anche senza l’aiuto di un titolo pre-esistente. C’è riuscito?

La prima cosa che mi salta all’occhio di Salt and Sacrifice è che è un esclusiva Epic Games. Partiamo già male. Se un titolo indie decide di concedersi come un esclusiva a una piattaforma così pessima (Epic Games sarà buono per Fortnite ma NON è una buona piattaforma per i titoli indie o di piccoli studi), già vuol dire che c’è qualcosa che non và.

Le basi del gioco sono le solite: appena iniziamo il gioco scegliamo la nostra classe di partenza, alcuni altri particolari e via che si parte con l’avventura e con il solito game loop: ammazza i nemici, intasca il bottino, scegli le statistiche per salire di livello e poi bisogna scegliersi equipaggiamenti ed armi varie.

Riguardo al sistema di combattimento il discorso di base è il solito: di base ci sono due tipi di attacco per arma (pesante e leggero) e combinandoli si ottengono combo diverse. Il principale mezzo difensivo è la schivata… ma il sistema in generale non funziona. Okay, non è così semplice, dobbiamo parlare del sistema di combattimento in generale.

In Salt and Sanctuary (il titolo precedente) il sistema si affidava alla consolidata (facile da apprendere ma complessa da padroneggiare al meglio) formula di Dark Souls.

Il nostro personaggio ha due mani e due “set” armi da scegliere. In ogni mano, per ogni set, possiamo scegliere se impugnare due armi (una per mano) o un arma a due mani (moltissime armi possono essere impugnate o a una mano o a due e questo cambia lo schema di attacchi a disposizione).

Quindi possiamo destreggiarci in varie combinazioni, con spada e scudo in testa, ma possiamo anche essere più creativi: spada e pistola o balestra, spada e frusta, pistola o frusta, lancia e scudo… avete capito. Quelle citate sono solo alcune delle armi disponibili (ce ne sono tante). Alcune armi possono essere solo impugnate a due mani, altre sono “catalizzatori” che ci permettono di usare incantesimi (tipo spada e bacchetta magica. Figo, no?). Poi ci sono equipaggiamenti secondari come bombe e coltelli da lancio da usare in solt secondari che vanno allo stesso posto di pozioni o altri alambicchi. E’ un sistema semplice, intuitivo, variegato che premia sperimentazione, abilità e creatività, che permette di bilanciare attacco e difesa come più ci aggrada e che rende una singola arma utilizzabile in modi differenti a seconda della nostra strategia. Gli incantesimi si usano con lo stesso schema di tasti delle armi e degli oggetti ma sono selezionabili a parte. Tante combinazioni e tante opzioni. Un vero piacere. Anche il sistema di potenziamento delle armi è semplice: ogni arma può essere migliorata grado per grado e poi ha un singolo “slot” dove si può inserire un “talismano” che dà una singola proprietà speciale. Fine. Semplice, efficace e intuitivo.

E come funziona in Salt and sacrifice? Abbiamo due “set” dove possiamo inserire una singola arma e… fine. Già. Se vogliamo inserire spada e scudo? C’è un set apposito che comprende sia spada e scudo. Niente combinazioni tra armi differenti. E queste armi comprendono anche quegli equipaggiamenti come bombe o coltelli da lancio che in Salt and Sanctuary erano da inserire in slot extra. Quindi se vi piaceva giocare alla versione fantasy di batman, con armi multiple e gadget da tirare fuori come assi nella manica… beh, qui le opzioni sono immensamente ridotte.

Domanda: da dove deriva questa scelta? Questo schema di armi è preso da uno dei due dei titoli cui Salt and Sacrifice ha scelto di ispirarsi per migliorarsi (sul secondo titolo ci arriveremo in seguito), ovvero: Monster Hunter.

Ora: perché in Monster Hunter confinare il giocatore a una singola arma funziona? Perché il sistema di combattimento di Monster Hunter è 3D e pesantemente incentrato su agilità, abilità e versatilità di ogni arma. Dal momento che in Monster Hunter dobbiamo confrontarci con un ambiente 3D e che quindi dobbiamo considerare un campo di battaglia a 360°, più altro, basso e i nemici ci attaccano con una varietà di attacchi differenti forzandoci a un immediato ciclo di adattamento & reazione, ogni arma possiede una vasta gamma di combo e applicazioni. La varietà di mosse è presente non solo perché è figo, ma perché ci serve.

In un ambiente 2D non c’è spazio né necessità di tale varietà di attacchi e infatti Salt and Sacrifice o non ne ha e quando ci sono risultano ridondanti. Quindi, perché è stato scelto questo sistema, chiaramente limitante? Boh. Mistero.

E la magia? Segue lo stesso schema delle armi. Scegliamo un catalizzatore e siamo limitati alle opzioni che quello lì ci dà e fine. Niente scelta complessa di incantesimi multipli da adattare al nostro stile.

Passiamo a un problema relativo a come il gioco gestisce le pozioni di cura. Sono importanti, credetemi.

In un Souls-like comune abbiamo un numero fisso di pozioni di cura che, ogni volta che “riposiamo” a un checkpoint si ricaricano. Il numero di pozioni che possiamo trasportare, mano a mano che saliamo di livello o progrediamo nel gioco può essere aumentato. Perché è importante? Perché non importa quante volte moriamo, ogni volta che ripartiamo da capo saremo pronti per ripartire alla carica senza passaggi intermedi.

E cosa succede in Salt and Sacrifice? Se vogliamo più pozioni di cura dobbiamo andare in giro per la mappa, raccogliere delle “bacche” e poi tornare a un checkpoint e riconvertirle in pozioni di cura. Quindi cosa succede se usate tutte le vostre pozioni di cura in un livello o contro un boss difficile? Dovete tornare indietro, fare la “spesa” e poi fermarvi a un Checkpoint e solo allora riprovare di nuovo. E’ un sistema la cui deficienza si fa davvero sentire verso la fine del gioco, cosa che fa salire di colpo la curva di difficoltà e ci costringe a tediose sessione di “grinding”.

E’ un sistema preso da Bloodborne, un titolo di grande successo della From Softweare. E pur essendo un titolo da dieci su dieci, questo sistema è stato additato come l’unico vero difetto. E infatti non è stato ripreso da nessun altro gioco perché… non è buono. Punto.

Perché è stato scelto per essere implementato in Salt and Sacrifice? Un altro mistero.

Ah, e lo stesso sistema si usa per i materiali per potenziare le armi. Perché? Raccoglierle dai nemici sconfitti come in Salt and Sacrifice non andava bene? Mah.

Ora veniamo al level design. Sapete qual’è un punto di forza dei Souls-like e dei Medroidvania? Il mondo di gioco è interconnesso e pieno di passaggi secondari. Un sistema che favorisce esplorazione e immersione. Mentre in Salt and Sacrifice sono zone compatte e separate tra di esse. Inoltre, già in Salt and Sanctuary, il platform non era proprio perfetto e, anche per come sono strutturati i combattimenti, con i nemici capaci di scagliarci molti metri indietro, i danni da caduta rimanevano la causa di morte primaria. Non era un problema insormontabile e comunque la precisione non proprio chirurgica dei segmenti platform poteva essere compensata con un po’ di pratica e una dose di pazienza. In Salt and Sacrifice il problema si ripresenta in modo esacerbato. Davvero frustrante. E no, non è una questione di “difficoltà” del titolo, è un problema di design.

Ora, sinceramente ci sono un bel po’ di altri problemi che vorrei esporre (Boss poco creativi e talvolta che si ripetono, un sistema di statistiche e parametri inutilmente complicato e poco spiegato, falle nel sistema di combattimento, l’assenza di una mappa e qualche altro dettaglio minore), ma credo non ci sia bisogno di andare avanti. Mi limiterò a un ultimo problema di tipo stilistico che davvero mi ha colpito, considerando che stiamo parlando degli stessi sviluppatori: ovvero l’atmosfera.

Salt and Sanctuary, proprio come la già citata saga dalla quale ha preso tanta ispirazione, ci porta in un mondo oscuro, bizzarro, ostile… una dimensione quasi onirica. Il tema e il tono sono due aspetti fondamentali per un buon Souls-Like. Combattere contro avversità soverchianti, avventurarsi in un mondo che cade a pezzi, un violento ma solenne pellegrinaggio verso quella che potrebbe essere salvezza o dannazione eterna. Una malinconica metafora aperta a molte interpretazioni.

In questo Salt and Sanctuary ci riusciva più che bene: l’ambientazione, la colonna sonora, lo stile che e a tratti poteva anche essere capace di spaventare, o perlomeno di intimorire. Non con la potenza dei nemici, ma con lo stile delle sue ambientazioni e dei suoi nemici.

Salt and Sacrifice… non che non ci provi, ma tutto sommato se dovessi definire la storia o l’ambientazione, se pur carina, mi viene da dire “insipido”. Ha poco mordente, non mi viene in mente nessun momento memorabile. E la storia? Bah… non c’è molto da dire. E’ un restilying che mi ha ricordato a tratti la trama dei Dark Souls ma senza niente di memorabile. E il finale è arrivato piatto e senza nessun climax.

Certo, non è un “cattivo gioco”. Può essere comunque goduto, ma questo ne peggiora la posizione, perché alla fine cade in una grigia zona di mediocrità. Secondo me il problema nello sviluppo di Salt and Sacrifice non và ricercato nell’apparato tecnico e nemmeno nello storytelling, questo è un gioco i cui problemi vanno ricercati a monte, sul tavolo di progettazione e nelle sessioni di brain-storming. E’ un peccato, era un sequel molto atteso che avyeva tutte le carte per farcela, e invece è arrivato corto.

Certo, se fosse il primo capitolo di una saga il mio giudizio sarebbe certamente più indulgente. Ma questa è la maledizione dei sequel: riempire a dovere i panni del proprio predecessore.

Francesco Viglione

RASSEGNA PANORAMICA
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Appassionato di cinema, teatro, serie televisive e videogiochi fin da quando ha memoria diplomato alla Scuola Holden di Torino, il suo percorso di studi spazia dalla drammaturgia teatrale alla sceneggiatura, passando per la narrativa tradizionale.
recensione-salt-and-sacrifice-storia-di-un-sequel-che-non-ce-lha-fattaSalt and Sacrifice è un gioco che aveva dell'ottimo potenziale, ma una sfilza di decisioni sbagliate in termini di design lo azzoppano, condannandolo al limbo della mediocrità. Il mio consiglio è: di base lasciate perdere, sennò, in ogni caso, prima provate il suo predecessore, Salt and Sanctuary, un titolo immensamente superiore sotto ogni aspetto, poi valutare voi. Se proprio siete degli specialisti del genere, buttatevi pure se vi sentite convinti, ma non aspettatevi grandi cose.