Recensione: “Nitrito”: Nada e il suo grido selvaggio, tra blues, poesia e furia femminile

C’è qualcosa di profondamente anarchico e necessario nella musica di Nada, qualcosa che – pur ripercorrendo territori già battuti – non perde mai la carica di urgenza, né l’autenticità feroce che la distingue da decenni. Il nuovo album, Nitrito, prodotto come i due precedenti dal fedelissimo John Parish, segna un ulteriore scatto creativo per l’artista toscana, che continua a dimostrare come l’età anagrafica possa essere irrilevante quando l’ispirazione è viva e pulsante.

Dimenticate le nostalgie Sixties che talvolta sbucavano nei lavori degli anni Dieci. Qui siamo decisamente in un altro territorio: un suono asciutto, spigoloso, a tratti brutale, in linea con quel minimalismo ruvido che Parish ha saputo affilare fin da Tutto l’amore che mi manca (2004). Una tavolozza sonora che guarda più ai C.S.I. che al pop, e che gioca con atmosfere blues, rock e spoken word in una commistione sempre calibrata ma mai compiaciuta.

Si parte con Bella più bella, dichiarazione d’intenti in forma di ballata autobiografica e collettiva, che disarticola le strofe in un flusso libero, quasi poetico, mentre il video realizzato da Davide Barbafiera rende omaggio alle donne iconiche e invisibili delle strade di Pisa. Segue il blues stanco e sornione di Ghiaccio, dove Nada dichiara di non avere più nulla da regalare, salvo poi contraddirsi con l’ironia e la forza di Sempre migliore, in cui la sua voce brilla tra tremolii di chitarra e una tromba lontana come una memoria che ritorna.

Ma è con Un giorno da regalare che l’album tocca uno dei suoi vertici: una lista obliqua e personalissima, tra amori, oggetti e stati d’animo, con ritmiche sghembe e una dizione che si fa percussione. Un brano che riecheggia il tono visionario della Nota di Ginsberg a Urlo, aggiornandolo a una sensibilità contemporanea e femminile.

Poi c’è Uovo, episodio dichiaratamente ironico e bizzarro, una sferzata femminista e sboccata, spiazzante quanto basta per spezzare la tensione emotiva del disco. In Primitiva, Nada torna a mordere con una dichiarazione d’identità ruvida e fiera, mentre Primo è un piccolo capolavoro di ritratto al maschile, una critica tagliente al conformismo e ai ruoli imposti, con un indie-rock che sembra flirtare con il twist.

Il finale, con Una notte che arriva e Che giornata, è un doppio sorriso amaro: tra blues notturni e passeggiate feline, Nada canta la bellezza della vita anche quando “il giornale dà notizie disastrose”. Ma dietro quel sorriso, ci dice, c’è “un vulcano”.

Nitrito è l’ennesima prova di come Nada riesca a essere coerente senza mai ripetersi, intensa senza diventare pesante, graffiante e dolce insieme. Una voce che – più che cantare – incide, a colpi di parole e di verità. A 72 anni, si conferma come una delle pochissime voci veramente libere della musica italiana.

Il “nitrito” del titolo? Forse è proprio il suo: non un verso debole, ma un grido indomito, che continua a fendere l’aria. E a risuonare.

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