Recensione: “Mentre Los Angeles brucia” resta solo la verità; abbiamo ascoltato il disco più sincero di Fabri Fibra

C’è un momento, nella vita di ogni artista, in cui smetti di cercare il colpo di scena e cominci a raccontare ciò che è rimasto in piedi tra le macerie. È quello che fa Fabri Fibra nel suo nuovo disco, Mentre Los Angeles brucia, un lavoro intimo, spoglio, quasi testuale, che si presenta come una resa non alla vita, ma al rumore. E nel silenzio che ne resta, la sua voce suona più chiara che mai.

Dimenticate le punchline, le provocazioni, i banger da playlist. Qui non c’è niente che cerchi di piacere. Anzi, c’è molto che volutamente respinge. Dopo vent’anni passati a lottare con le parole, i pregiudizi, i colleghi, il mercato, Fabri Fibra firma il suo disco più vulnerabile, più doloroso e più coraggioso. Non grida più: sussurra, e ogni parola pesa.

Un requiem personale, non un addio

Mentre Los Angeles brucia è un testamento emotivo in tempo reale, un disco scritto “dopo la fine”, quando non c’è più nulla da spiegare e neanche da giustificare. È la cronaca di un uomo che ha vissuto l’intera parabola artistica, dall’underground più cupo al mainstream più luminoso, e che oggi non cerca più luce, ma ombra. Non cerca pubblico, cerca pace.

Il titolo dell’album nasce da una frase ascoltata per caso in un notiziario: “Mentre Los Angeles brucia, è morto David Lynch”. Una citazione paradossale, che mette in dialogo il collasso del reale con l’indifferenza dell’informazione, ma che racchiude perfettamente il tono del disco: tragico, distaccato, visivo. Un mondo che finisce mentre il mondo guarda altrove.

I padri, i figli e il fallimento emotivo

Nel brano Mio padre, Fibra affronta l’assenza come unica eredità ricevuta, il peso di una figura paterna mai conosciuta davvero, ma sempre presente come mancanza. “Mio padre è morto, non l’ho mai visto sorridere”: una frase che non si dimentica, che suona come una ferita esposta, più che una rima. È il simbolo di tutte le catene che l’artista ha provato a spezzare, senza mai riuscirci del tutto.

In Figlio, invece, scrive al figlio che non avrà mai. Ed è qui che l’album raggiunge il suo picco emotivo. Non c’è retorica, solo l’accettazione nuda di non poter trasmettere nulla di buono. È una confessione, ma anche un gesto d’onestà disarmante: “Tieniti lontano dall’alcol, ti renderà più lento e stupido come me in questo momento”. Una frase che non cerca perdono, ma lascia spazio al vuoto.

Il suono dell’abbandono

Anche musicalmente, Mentre Los Angeles brucia è un lavoro che rifugge l’estetica dell’impatto. La produzione (curata da Marz & Zef) è minimalista, elettronica, a tratti ambient. Tutto è svuotato, ridotto all’osso. Non c’è niente che avanza, niente che sovrasta, solo beat rarefatti che lasciano spazio alla voce stanca di Fibra. Una voce che non vuole dominare, ma sopravvivere al beat.

Spiccano i campionamenti, scelti con cura quasi maniacale: Piano Joint (This Kind of Love) di Robert Glasper in Mio padre, una citazione da The Road in Figlio, e l’incredibile L’avvelenata di Guccini rielaborata in chiave personale, rabbiosa ma mai isterica. È il Fibra più letterario di sempre, quello che non ha più bisogno di attaccare per farsi ascoltare.

Le collaborazioni come riflessi, non specchi

I featuring non sono funzionali al mercato, ma strumenti narrativi. Tredici Pietro in Che gusto c’è è lo specchio di una generazione che non conosce il peso della guerra combattuta da Fibra. Massimo Pericolo e Gaia in Salsa piccante rappresentano il cortocircuito tra pop e disagio, mentre Joan Thiele in Milano Baby è l’eco di una città che non perdona, non consola. L’unico ritorno alle origini è con Noyz Narcos in Sbang, ma dura poco, come un colpo di tosse in una notte d’estate.

Verso altri lidi, ancora

Il disco si chiude con una nuova versione di Verso altri lidi, brano storico del 2002. È una chiusura circolare, quasi una lettera a se stesso. Il ragazzino incazzato di ieri e l’uomo esausto di oggi si parlano per la prima – e forse unica – volta. E quello che si dicono non è consolatorio, ma vero: nessuno dei due ha vinto. Ma entrambi hanno detto quello che dovevano dire.

Cosa resta dopo Fibra?

La domanda che aleggia lungo tutto il disco è: che ne sarà del rap italiano dopo di lui? La risposta è amara. Non perché manchino talenti, ma perché Fibra è uno dei pochi che ha avuto il coraggio di dire la verità fino in fondo. Una verità scomoda, a volte indigesta, ma necessaria. Non è questione di tecnica – che qui è ancora altissima – ma di scelte. Di silenzi. Di dignità.

Mentre Los Angeles brucia è un disco che non vuole essere compreso, ma ascoltato nel silenzio giusto. È un lavoro che si prende il rischio più grande: non piacere. Non compiacere. Ma restare, come restano le parole scritte con il sangue e non con l’inchiostro. Fabri Fibra si toglie la maschera, e sotto non c’è uno shock, ma una malinconia feroce, che brucia più di qualsiasi punchline.

È un album finale, nel senso più nobile del termine. Non definitivo, ma autentico. Come una confessione detta all’alba, quando ormai non c’è più tempo per mentire. E chi resta in piedi, tra le ceneri, ha il dovere di raccontarlo.

Tracklist

  1. L’Avvelenata (Pretesto)
  2. Che gusto c’è feat. Tredici Pietro
  3. Salsa piccante feat. Gaia e Massimo Pericolo
  4. Karma ok
  5. Milano Baby feat. Joan Thiele
  6. Come finirà?
  7. Tutti pazzi
  8. Tossico
  9. Sbang feat. Noyz Narcos
  10. Stupidi feat. Papa V & Nerissima Serpe
  11. Tutto andrà bene
  12. Mio padre
  13. Vivo
  14. Figlio
  15. Cometa
  16. Mentre Los Angeles brucia
  17. Verso altri lidi
RASSEGNA PANORAMICA
Recensione - Fabri Fibra: "Quando Los Angeles brucia"
Articolo precedenteIl mare è stanco di noi: l’abbiamo trasformato in una discoteca a cielo aperto
Articolo successivoGiorgio Armani assente, giovani in passerella e la città in fiamme: Milano inaugura una Fashion Week Uomo tra eredità e rivoluzione
Stefano Germano, laureato presso l'IULM, è un appassionato di TV e cultura moderna e new media è sempre alla ricerca delle storie più intriganti e delle tendenze culturali del momento.
recensione-mentre-los-angeles-brucia-resta-solo-la-verita-abbiamo-ascoltato-il-disco-piu-sincero-di-fabri-fibraMentre Los Angeles brucia è un disco che non vuole essere compreso, ma ascoltato nel silenzio giusto. È un lavoro che si prende il rischio più grande: non piacere. Non compiacere. Ma restare, come restano le parole scritte con il sangue e non con l’inchiostro. Fabri Fibra si toglie la maschera, e sotto non c’è uno shock, ma una malinconia feroce, che brucia più di qualsiasi punchline