Ci sono dischi che chiedono di essere ascoltati, e altri che ti chiedono di cambiare prospettiva. Orbit Orbit, il nono album di Caparezza, appartiene senza dubbio alla seconda categoria. È un lavoro che non si limita a raccontare un percorso artistico, ma lo ingloba, lo supera e lo mette in discussione.
Dopo la prigionia di Prisoner 709 e la fuga esistenziale di Exuvia, qui Caparezza punta verso l’alto: vuole la libertà, o almeno la sua illusione più pura. Ma come sempre nel suo universo, la conquista non è mai lineare.
L’artista pugliese si muove in un cosmo sonoro densissimo, dove la sperimentazione si intreccia con la fragilità. Orbit Orbit è infatti figlio di un trauma – quello della perdita parziale dell’udito – e al tempo stesso della rinascita creativa che ne è seguita. Il risultato è un disco che fluttua tra introspezione e fantascienza, tra filosofia e ironia, dove ogni traccia diventa una piccola orbita in un sistema complesso ma coerente.
Musicalmente, Caparezza gioca con la space music anni ’70 e ’80, omaggiando i Kraftwerk, i Rockets e i pionieri della musica cosmica. L’elettronica domina, ma non soffoca: convive con il rap, il teatro e una scrittura che resta inconfondibile, pur avendo perso parte dei vecchi giochi linguistici.
La voce è più diretta, meno caricaturale. Le rime più umane. È come se Caparezza, dopo anni passati dietro maschere e alter ego, avesse deciso di parlare finalmente a viso aperto — anche quando la verità non suona comoda.
Il progetto dialoga con l’omonimo fumetto, disegnato da nove illustratori, che accompagna e amplifica la dimensione narrativa del disco. L’ascolto ideale, infatti, è immersivo: cuffie, luci soffuse e tempo da dedicare. Perché Orbit Orbit non è un album “da passare in sottofondo”. È un lavoro che pretende attenzione e, in cambio, regala profondità.
Tra i momenti più forti, “A Comic Book Saved My Life” spicca per sincerità: è la confessione di un uomo che si è salvato rifugiandosi nella fantasia. “Il pianeta delle idee” e “Autovorbit” mostrano invece l’anima più concettuale e labirintica del disco, mentre “Perlificat”, con le sue 76 voci corali, chiude con una visione quasi collettiva della creazione artistica.
Non tutto, però, convince fino in fondo: alcune tracce perdono tensione, e l’ossessione per il dettaglio rischia a tratti di soffocare l’emozione. Orbit Orbit è un album che brilla di intelligenza, ma talvolta manca di calore.
Caparezza resta comunque un caso unico nella musica italiana: un pensatore che rappa, un filosofo che gioca con i bit, un autore che si concede la libertà di fallire pur di non ripetersi.
Non è un disco perfetto, ma è un disco necessario — per lui e, in parte, anche per noi.
DA ASCOLTARE SUBITO: A Comic Book Saved My Life, Curiosity (Oltre il bagliore), Perlificat
DA SKIPPARE: Gli occhi della mente
SCORE: ★★★☆☆ — 7,3 / 10
“Orbit Orbit” è la prova che, anche nel silenzio, Caparezza trova il modo di far rumore. Forse non tutto è perfetto, ma in un mondo che chiede solo canzoni da algoritmo, questo viaggio interstellare è un atto di libertà pura.





