C’è un filo azzurro che unisce le onde del Mediterraneo, le alture di Bogliasco e la voce impastata di malinconia di Bresh. Un filo che non si spezza, ma si tende e si rafforza disco dopo disco. E in questo terzo lavoro, semplicemente intitolato “Mediterraneo”, il cantautore genovese trova forse la sua sintesi più matura e coerente, chiudendo una trilogia – dopo Che io mi aiuti (2020) e Oro blu (2022) – che sa di acqua salata, affetti ostinati e radici profonde.
In un’epoca musicale dominata da strategie e algoritmi, Mediterraneo è l’opposto: un disco controcorrente, che scava nella propria identità piuttosto che piegarsi alle regole del gioco. È un atto di fedeltà, verso se stessi e verso un territorio – la Liguria – che non è mai semplice cartolina, ma luogo dell’anima, scrigno di voci, fatica e bellezza.
Lo conferma l’apertura affidata a “Rotta maggiore”, brano che ha il sapore delle partenze consapevoli, quelle che si fanno guardando il mare senza il bisogno di gridare. Ed è solo l’inizio. L’album si dipana tra momenti riflessivi (Umore marea, Il limite feat. Achille Lauro) e altri più spensierati ma mai superficiali, come Erica con Sayf, divertissement amoroso tra il popolare e il tragicomico, o la sanremese La tana del granchio, che su un palco come quello dell’Ariston ha portato lo iodio e la poesia del Levante ligure.
Ma il vero colpo di teatro, se così si può chiamare, arriva con Aia che tia, brano interamente in genovese, un omaggio esplicito a Fabrizio De André e alla sua Creuza de mä. Non è un caso che Bresh abbia riportato quella stessa canzone sul palco di Sanremo 2025, in duetto con Cristiano De André, contribuendo – forse senza volerlo – a renderla virale su TikTok. È il paradosso più felice di Mediterraneo: un disco che non cerca hype eppure lo crea, non insegue trend ma li genera.
Lungo le 16 tracce, si naviga tra onde emotive, passaggi lirici e suoni che intrecciano strumenti etnici, richiami mediterranei e produzioni curate (tra gli altri da Shune, Zef, Greg Willen). Il tappeto sonoro è elegante e coerente, anche se in alcuni punti si sarebbe potuto osare di più, uscire dal porto sicuro. Ma è una scelta deliberata, perché qui non si cerca lo shock, si cerca il racconto. E in questo, Bresh eccelle.
C’è anche spazio per l’inno calcistico travestito da ballata: Guasto d’amore, nata per il Genoa e diventata un mantra da stadio. E poi Altezza cielo, con un Kid Yugi in stato di grazia, che alza l’asticella concettuale verso una spiritualità laica, intima. In Kamala e Capo Horn (con l’amico e sodale Tedua) si avverte la voglia di navigare oltre i confini della canzone classica, sperimentando strutture e atmosfere nuove. Ma l’elemento più forte resta la coerenza narrativa: ogni brano è un tassello di un viaggio, una tappa in una mappa che è anche mentale.
“Mediterraneo” è un album che, come il mare da cui prende il nome, non si lascia subito afferrare. Richiede ascolto, richiede tempo. Ma se ci si lascia andare, si viene ricompensati: non con la leggerezza, ma con la profondità. Bresh non fa rap nel senso stretto del termine, non è nemmeno un cantautore tradizionale. È un narratore di storie che profumano di basilico, fumo e vento.
E mentre tutto il mercato cerca di catturare l’attimo, lui costruisce un tempo più lento. Un tempo che sa di verità, di facce senza filtri, di amori stonati, di partenze senza arrivi. È questo, forse, il vero coraggio artistico oggi.
TRACKLIST:
- Rotta maggiore (Partenza)
- Umore marea
- Capo Horn (feat. Tedua)
- Kamala
- La tana del granchio
- Altezza cielo (feat. Kid Yugi)
- Agave
- Popolo della notte
- Aia che tia
- Dai che fai
- Guasto D’Amore
- Tarantola
- Erica (feat. Sayf)
- Il limite (feat. Achille Lauro)
- Torcida
- Altamente Mia