Nel nuovo film di Luca Guadagnino, presentato in anteprima al Festival di Cannes tutto sembra ruotare attorno al desiderio. Eppure, dietro lo sguardo languido di Daniel Craig, dietro le luci febbrili del Messico degli anni ’40, “Queer” nasconde molto di più: un messaggio sommesso, quasi segreto, che parla di identità, potere e trasformazione.
Adattamento dell’omonimo romanzo postumo di William S. Burroughs, il film non è semplicemente un viaggio nella sessualità non conforme. Guadagnino — con la sua estetica da stilista dell’anima — lo trasforma in una riflessione profonda su cosa significhi essere “fuori norma” in un mondo che non perdona fragilità. Ecco dove si cela il significato nascosto: il vero tema non è l’amore queer, ma la solitudine del desiderio.
Craig, nel ruolo del tormentato protagonista Lee, abbandona i panni dell’agente segreto per calarsi in un personaggio che spia, insegue, idealizza. Lo fa con una vulnerabilità che disarma, in bilico tra la fame d’amore e l’ossessione. Accanto a lui, Drew Starkey, che interpreta Allerton, giovane militare sfuggente, oggetto di un amore mai pienamente ricambiato. Ma il film non si limita alla storia tra i due: è uno sguardo crudo sull’invisibilità, sulla tensione tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere.
Guadagnino, come sempre, mette la pelle a nudo — ma questa volta non si ferma al corpo. Ci parla di ciò che resta dopo, quando l’oggetto del desiderio svanisce e non resta che la voce interiore, a tratti crudele, a tratti tenera. E lo fa con un’estetica ipnotica, fatta di ombre, sudore e silenzi taglienti come lame.
“Queer” è un titolo che abbraccia e destabilizza. Ma la sua verità più profonda è che essere queer non è solo una questione di orientamento sessuale. È un modo di stare al mondo. Di sentire troppo, di non appartenere mai del tutto. Di cercare una casa in corpi che non sono i nostri.
Ed è lì, tra le crepe della narrazione, che Guadagnino lascia il suo messaggio più intimo: forse siamo tutti queer, nel senso più autentico del termine. Estranei, eppure in cerca di connessione. Un sussurro che arriva dritto al cuore, senza mai urlare.