Preview: dall’Orient Express all’Egitto, il ritorno al cinema di Agatha Christe è da brividi

Già famoso per aver interpretato il personaggio di Agatha Christe, Kenneth Branagh (Hamlet, Enrico V, Harry Potter-La camera dei segreti) torna a rivestire i panni del noto ispettore belga Hercule Poirot. Con data da destinarsi (causa Covid19), uscirà prossimamente nelle sale Assassinio sul Nilo (Death on the Nile), diretto ed interpretato da Kenneth Branagh, prodotto da 20th Century Fox e con un cast di eccezione (Gal Gadot, Armie Hammer ed altri).

Dopo tre anni torna la seconda avventura dell’investigatore belga, in cui una elegante vacanza su di un battello a vapore sul Nilo, si trasforma in una ricerca frenetica di un colpevole. Una storia di passioni e gelosie che si sviluppa sullo sfondo sabbioso del deserto d’Egitto. La pellicola si presenta come sequel ad Assassinio sull’Orient Express (Murder on the Orient Express), uscito nei cinema nel 2017 dopo anni di assenza dell’ispettore nel grande schermo (Murder on the Orient Express di Sidney Lumet, 1974). L’opera immortale di Agatha Christie L’attesa della prossima indagine di Poirot al cinema ha riacceso l’interesse per best-seller di Agatha Christie. Una donna diventata ricca grazie alla sua penna, consumata da un miliardo di lettori di ogni epoca ed età che l’hanno consacrata come l’autrice inglese più letta la mondo dopo Shakespeare.

Romanzi gialli in cui i personaggi più tranquilli nascondono oscuri segreti e gli oggetti più innocui diventano armi. In particolare, i romanzi della Christie hanno come vittima prediletta quella società inglese rispettabile, ma ricca di stereotipi, maschilista ed ipocrita della quale l’autrice conosce i meccanismi. Non ci troviamo più nell’Inghilterra vittoriana e razionale di Sherlock Holmes, ma in un’epoca in cui i regimi totalitari si affrontano, in cui la morale traballa e il costume si rinnova. Hercule Poirot è presentato come un ometto bizzarro, un forestiero, un dandy che tiene alle sue “celluline grigie” e ai suoi baffi. Ex funzionario della polizia belga in ritiro, rappresentante della vecchia Europa, anziano, che parla un inglese con accento francese e con una grande pietà per gli assassini. Un personaggio inspirato ai rifugiati del Belgio, visti dalla scrittrice durante la guerra. Un detective geniale come Sherlock Holmes, ma più umano.

Nei romanzi della Christie viene a meno uno dei caposaldi del giallo: la divisione tra bene e male. Nel suo universo regna sovrano il dubbio. Un dubbio che fa parte di una società non più pacificabile e chiusa, ben raffigurata metaforicamente dall’ambiente del treno Orient Express, in cui i colpevoli sono più di uno. Logica e dubbio morale, morale individuale e realtà sociale, sono in conflitto. Assassinio sull’Orient Express In queste atmosfere cupe e chiuse si destreggia Murder on the Orient Express di Branagh che dirige un film corale, con personaggi affidati a volti noti del cinema e sceneggiatura scritta da Michel Green (Logan, Blade Runner 2049). Una pellicola che rispetta il romanzo originale, ma attua dei cambiamenti per collocare l’adattamento nel mondo moderno e rivolgersi ad un pubblico contemporaneo.

L’interpretazione di Branagh appare decisamente più moderna rispetto alla descrizione presente nel romanzo e nel vecchio film di Lumet. Emerge un investigatore più ironico, combattivo e meno dandy dei precedenti. Sebbene il film abbia avuto la maggior parte dei responsi positivi, presenta al suo interno dei difetti. Tra i più notati dalla critica abbiamo la mancata introspezione dei personaggi che viene sacrificata in nome di un lungo minutaggio (114 minuti). Un crogiolo di figure balzachiane che nel libro vengono trattate con acutezza perché concepite come pedine fondamentali per lo scacco finale al caso. Un vero deficit del film che poteva permettersi delle interpretazioni magistrali di attori come Judi Dench, Michelle Pfeiffer, William Dafoe e altri.

L’impostazione del film non regala molti minuti ai personaggi secondari, per far risaltare in maniera eccessiva la figura dell’ometto belga. Un investigatore amante delle soluzioni senza imperfezioni che in questo caso si trova, invece, davanti ad un’ultima cena di figure umane che gli propongono un dubbio amletico. Una scena finale, figlia delle numerose trasposizioni del regista sulle opere shakespeariane, che vuole rimarcare la differenza con gli altri investigatori. Un finale in cui Hercule Poirot mette da parte il suo ruolo da detective per far prevalere l’uomo.

Maria Del Vecchio

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Laureata in Lettere Moderne presso l’università G. D’Annunzio, ha conseguito la seconda laurea in Filologia moderna. Insegnante di lettere e amante dell’arte in tutte le sue declinazioni, ha collaborato nell’allestimento di varie rassegne culturali d’arte e vari progetti editoriali letterari e cinematografici organizzando progetti di rivalutazione artistica del territorio.