Ohana vuol dire famiglia. E famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato. Mai.
Quella che, nei primi anni Duemila, era una semplice battuta di un film d’animazione – bellissima, certo, ma pur sempre parte di un cartone per bambini – oggi si è trasformata nel cuore pulsante della nuova scommessa Disney: il live action di Lilo & Stitch. E non è un caso.
Nel momento forse più fragile della sua storia recente, schiacciata da flop al botteghino, sequel forzati e una crisi creativa che pare non dare tregua, la Disney ha deciso di puntare tutto su un titolo che, nel 2002, sembrava solo un’anomalia gentile nel mondo delle principesse. A fronte di un budget monstre da 350 milioni di dollari, il colosso di Burbank non ha scelto un castello incantato o un remake sfarzoso, ma una piccola casa hawaiana abitata da una bambina scontrosa, una sorella troppo giovane per essere madre, e un alieno blu dal cuore tenero. Eppure, Lilo & Stitch potrebbe essere il titolo giusto al momento giusto.
La forza del film, allora come oggi, non sta nei laser o nelle astronavi, ma nella definizione di “ohana” che attraversa ogni scena come una spina dorsale invisibile: ohana vuol dire famiglia. E famiglia vuol dire che nessuno viene lasciato indietro. Una famiglia non perfetta, ma reale. Una famiglia che litiga, cade a pezzi, viene giudicata, ma che resiste. E resiste non per magia, ma per scelta. Ogni giorno.
A dare volto e anima a questa nuova versione ci sono Maia Kealoha nei panni di Lilo e Sydney Elizebeth Agudong in quelli della sorella maggiore Nani. Due attrici giovani, intense, radicate nella cultura hawaiana che il film ha il coraggio – e la grazia – di rappresentare con rispetto e autenticità. E poi c’è Stitch, ovviamente. Ricreato in CGI ma ancora capace di rubare la scena con un solo sguardo obliquo o un urlo disperato. Ma il punto non è l’alieno. Il punto è il messaggio.
Nel 2025, in un mondo che continua a spezzare legami, a dividere invece che unire, a rendere ogni relazione un campo minato, la Disney rispolvera il concetto di famiglia scelta, imperfetta e inclusiva. Quella che non ha bisogno del DNA per definirsi. Che può essere fatta di sorelle, amici, peluche rotti, mostri intergalattici e genitori assenti. Ma che, comunque, funziona. Perché tiene.
Non è una fiaba tradizionale, questa. È un’ode alla resilienza. È una carezza a chi ha perso qualcuno, a chi cresce un fratello da solo, a chi non si sente mai abbastanza. E a chi, nel silenzio delle sue giornate storte, si ripete che forse non è adatto a niente. Lilo, Nani e Stitch rispondono: sei adatto a noi. Questo è ohana.
Nel mare agitato in cui naviga la Disney di oggi, Lilo & Stitch è un’àncora. Un ritorno a quell’emozione sincera, profonda, che ha fatto innamorare generazioni intere di spettatori. È un messaggio più potente di qualsiasi incantesimo: nessuno viene abbandonato. Mai. E in un’epoca in cui tutti, prima o poi, ci sentiamo fuori posto, è proprio questa la magia che può salvare il cinema. E forse, anche noi.