«Sono in un periodo di grande generosità espressiva, nel senso che dico ciò che penso senza pormi limiti fregandomene se do fastidio a qualcuno» mentre parliamo Teresa De Sio, una delle artiste italiane di cui andare più fieri, che ha superato le convenzioni e delle logiche discografiche in nome dell’arte, è un fiume in piena e si racconta senza falsi buonismi, che non le sono mai appartenuti. La cantante di “Voglia ‘e turnà” è una delle cantautrici più importanti della musica italiana con oltre mezzo milione di dischi venduti ed uno stile unico che unisce la canzone napoletana popolare a sonorità jazz fusion, folk e suoni della world music, perseguendo un percorso artistico che rifugge la ricerca del successo facile trattando temi di denuncia sociale ed accostandosi a collaborazioni prestigiose come quella con Brian Eno, Pino Daniele e Fabrizio De Andrè. Il nuovo disco intitolato “Puro Desiderio“segna il passaggio in una nuova era della creatività dell’artista che scava, parla di sentimento e suona contemporaneo. Realizzato col giovane produttore, compositore e arrangiatore Francesco Santalucia, il nuovo lavoro è un mix di ritmi acustici che a tratti sfiorano l’elettronica, dove le splendide orchestrazioni si fondono con percussioni, strumenti etnici e chitarre steel, in cui il suono profondo e caldo delle registrazioni analogiche spazia in universi musicali diversi dal rock al pop d’autore diventando quasi lisergico e progressive, senza mai tradire la scrittura diretta ed evocativa di testi intimi e profondi. Noi di Domanipress abbiamo avuto l’onore di ospitare nel nostro salotto virtuale Teresa De Sio e di parlare con lei di musica italiana e di nuovi slanci esistenziali.
Il tuo ultimo album “Puro desiderio” è il primo dopo tanti anni di carriera in cui parli unicamente di te stessa e non solo di denuncia sociale…Come mai ci sono voluti così tanti anni per affrontare questo momento di introspezione?
«C’è voluto tanto perché sono una lumaca e ci metto tempo, ma ci arrivo! (ride). In realtà questo disco è frutto di un periodo della mia vita particolarmente difficile in cui ho subito una serie di perdite molto gravi e dolorose che hanno condizionato inevitabilmente anche la scrittura. Nel giro di poco tempo è morta mia madre e dopo qualche mese mi ha abbandonato anche la produttrice storica e socia, con cui abbiamo lavorato insieme per trent’anni, lei per me era un punto di riferimento, una di famiglia che mi ha sempre difeso e supportato. Ma non è tutto, siccome si sa che le disgrazie non vengono mai da sole ho anche affrontato un abbandono amoroso e vissuto un periodo di profonda depressione, pur essendo una persona poco incline a perdere la gioia e l’interesse per la vita perché non è nella la mia natura abbandonarmi alla tristezza…Sai come si dice a Napoli? “Dalli e dalli se scassano pure li metall” che tradotto significa che a forza di insistere si rompe anche il metallo ed è davvero così…tutti noi abbiamo sotto la corazza una parte fragile. Ne ho subite tante tutte insieme e qualcosa si è rotto».
La depressione è un male oscuro che colpisce indistintamente…Come si esce dal dolore?
«Accade così: una mattina spalanchi la finestra, ti guardi allo specchio e dici “La vita può essere ancora bella, perché soffrire? Io posso trovare la mia forza, sono forte. Ma ci devi credere veramente».
A proposito di affetti familiari, anche tua sorella Giuliana ha scelto di seguire l’arte…cosa avete in comune?
«Io e mia sorella Giuliana abbiamo avuto in comune un’ infanzia bella, ma di certo non facile, che ci ha forgiate e che ci ha fatto desiderare la libertà e l’indipendenza. Io sin da piccola ho visto nell’arte tutta la mia storia futura come in un flash. A soli tre anni i miei genitori mi hanno regalato un tutù ed ho promesso a me stessa che il palcoscenico sarebbe stato tutta la mia vita, lo ricordo ancora come se fosse ieri. Da quel momento in poi ho lavorato sodo impegnandomi al massimo per realizzare il mio obiettivo e già a cinque anni ero ballerina presso la scuola di danza classica del San Carlo. A undici anni smisi la danza per seguire il teatro recitando in piccole compagnie locali e a diciassette anni, appena finita la scuola, ho preso la valigia e mi sono trasferita a Roma ed è qui che ho tentato di frequentare l’Accademia di Arte Drammatica cercando una borsa di studio per potermi finanziare».
Ma l’Accademia non era nel tuo destino…
«Si, proprio mentre cercavo disperatamente di sopravvivere nella capitale, ho incontrato il mio primo vero datore di lavoro, un capocomico di una compagnia romana che mi ha offerto di recitare con loro…».
Dopo la recitazione però è arrivata la musica, come sei approdata in questo universo?
«Tutto è nato per caso, ho incontrato a Roma Eugenio Bennato che mi ha sentito cantare, lui lavorava per un gruppo chiamato Musicanova attorno al quale si sono ritrovati alcuni tra i migliori interpreti della musica folk napoletana. Quando mi propose di collaborare con lui io all’inizio opposi qualche resistenza perché mi piaceva molto recitare e non mi sentivo ancora pronta per il mondo musicale e allora lui mi disse le paroline magiche per convincermi: “Ma io ti pago”, a quel punto visto che non vivevo una situazione economica particolarmente positiva accettai con qualche riserva ma dopo la prima esibizione ho iniziato a capire qual era la mia vera strada…La musica si è letteralmente impossessata di me e me ne sono innamorata follemente, proprio come un colpo di fulmine».
Avevi già dei riferimenti stilistici?
«Non conoscevo la musica popolare, ai tempi ero solo una ragazzetta punk rock che amava la musica inglese ed americana, non pensavo di poter essere una cantante ed invece mi si è aperto tutto un orizzonte che mi ha cambiato come persona profondamente».
Uno dei brani più celebri della tua discografia è “Vogli e’ turnà”…Ma poi a Napoli ci sei ritornata?
«Ogni tanto a Napoli ci torno per davvero, ma a dir la verità sempre meno, perché oggi non ho più nessuno a Napoli e non ho casa. Quando posso ci torno in albergo e conciliare insieme tutti gli impegni diventa sempre molto difficile».
Tornando c’è un locus animae a cui sei particolarmente legata?
«Non c’è un luogo particolare, ma ti dico che ciò che mi lega particolarmente a Napoli è il mare…Il mio nuovo disco comincia con la strofa: “Sarebbe bellissimo potersi svegliare tutte le mattine davanti al mare”».
La title track di “Puro Desiderio” si apre con il brano “Sarebbe bellissimo” dove racconti la volontà di tornare indietro nel tempo rispetto agli errori fatti…Hai qualche rimpianto?
«Non ho rimpianti nella vita perché lo ritengo inutile ma conservo qualche rimorso. Ognuno nel corso della sua esistenza può commettere degli errori, nessuno è perfetto diversamente sarebbe una noia mortale vivere non è vero? La perfezione è un luogo oscuro abitato da pochissime persone dove non incontri mai nessuno che conosci…Alcuni errori sono necessari, fanno parte dell’impasto esistenziale e contribuiscono a farci essere ciò che siamo, altri invece sono proprio come le buche di Roma e se ci entri con il motorino puoi non uscirne più…Bisogna saper scegliere quali errori cancellare con una spugna e quali tenere».
E tu quale errore hai deciso di tenere con te?
«Io mi sono tenuta l’errore di voler fare sempre di testa mia!».
Un errore che può considerarsi un lusso…
«Si, mi è costato molto, sopratutto in termini economici e di carriera, però mi ha liberato a livello umano ed artistico. Se non avessi scelto di essere indipendente non sarei la donna e l’artista, se mi è consentito usare questo termine per nominarmi, che sono oggi».
Un tuo collega, Erico Ruggeri ha recentemente affermato che la buona musica la possono fare solo i ricchi…Sei d’accordo con questa affermazione?
«Tutto questo è molto triste ma sono d’accordo con lui, Ruggeri si riferiva alle nuove leve che, pur essendo piene di talento, se non hanno una produzione forte e ricca alla spalle non vanno da nessuna parte. Per chi come noi ha una storia solida e consolidata l’aspetto economico non è al primo posto, pur essendo importante perché in questo periodo per fare musica di sacrifici se ne fanno tanti. Ciò che mi fa male e che spesso si apprezzano maggiormente le produzione estere sviluppate su mercati e budget molto più corposi del nostro…Anche io potrei fare molto di più se ne avessi la possibilità e l’opportunità. Lancio un’appello: apprezziamo di più la musica e gli artisti italiani, finiamola di invitare ai festival musicali solo i nomi stranieri ricchi e potenti che non pagano le tasse nel nostro paese e che rubano risorse e lo spazio vitale agli artisti nostrani. Questo non è un discorso da confondere con quelli salviniani ma è un dato di fatto. Anche la lingua italiana dovrebbe essere rivalutata perché ha una storia da preservare così come alcuni dei nostri luoghi storici. Giunta alla mia età sono in un periodo di grande generosità espressiva, nel senso che dico ciò che penso senza pormi limiti, e ti dico che secondo me dovrebbero essere gli artisti internazionali a pagare per suonare nei nostri anfiteatri, penso ad esempio a contesti meravigliosi come l’anfiteatro greco di Taormina o le Terme di Caracalla. Io stessa che mi auto-produco e sono continuamente preoccupata di pagare i musicisti ed i tecnici mi sono ritrovata in concorrenza con eventi di questa portata che rubano la platea a noi artisti italiani che già facciamo un immensa fatica per andare avanti…Ti pare giusto?».
Tu una mano alle nuove leve della musica italiana l’hai data collaborando con il rapper Ghemon nel brano “Soffio di vento” che sembra essere una richiesta di aiuto in un mondo dove si comunica poco…
«Sembra che ognuno, in questo periodo storico, sia chiuso in se stesso come in guerra, ma se poi ci diamo tutti una mano magari uno spiraglio di luce si riesce ancora a trovare. In quest’ultimo disco c’è uno sguardo negativo sull’oggi ma in contrapposizione c’è una possibilità di speranza che risiede nell’amore, la fratellanza ed il prendersi per mano. Ghemon è un’artista eccellente, di estrema sensibilità, intelligenza e talento. La nostra è una collaborazione sincera nata da un incontro personale».
Nella musica napoletana da Ghemon all’intramontabile Pino Daniele, tuo amico storico, passando per la compagnia di Canto Popolare ed Eugenio Bennato c’è sempre una contaminazione che guarda oltre i confini del mediterraneo. Come mai voi napoletani siete così portati alla contaminazione?
«Ognuno ha la sua storia, ma noi napoletani abbiamo nel nostro DNA una cultura che si è formata stratificandosi attraverso domini eterogenei dagli svevi agli arabi passando per i francesi ,gli spagnoli e per ultimi gli americani. I nostri antenati hanno avuto l’intelligenza di non buttare via il bambino con l’acqua sporca trattenendo ciò che di culturalmente forte arrivava da queste dominazioni. La musica partenopea è ricca e contaminata dal resto del mondo e forse per questo detiene alcuni primati. Noi italiani siamo conosciuti nel mondo per la musica napoletana e per il melodramma. Gli artisti noti della musica leggera sono un discorso a parte perché appiattiti su un modello unico globale che non è portatore di una realtà territoriale».
Tu stessa nel 1985 hai pubblicato l’album “Africana” un progetto visionario e sperimentale prodotto da Brian Eno che univa alle radici mediterranee suoni elettronici e sottili dissonanze…non è da tutti disattendere le attese e liberarsi dagli stereotipi non è vero?
«Si e devo dirti che Con Brian Eno c’ è stato un lavoro meraviglioso da cui è nata un’amicizia che continua ancora oggi. Quando viene in Italia ci incontriamo ed è come se il tempo non fosse mai passato. L’album non fu accolto bene dalla critica perché non è stato visto di buon occhio che un’artista che ha sempre fatto musica popolare lavorasse con Brian Eno considerato nordico, freddo ed intellettuale…Io risposi alle critiche dicendo: “Venite a vederci in studio come siamo e poi capite perché stiamo tanto bene insieme!”. Nella mia carriera ho avuto modo di collaborare con grandi nomi della musica e questo mi appaga moltissimo, non ho avuto paura di sperimentare ma l’ho fatto accompagnandomi con artisti come Eugenio Bennato, Pino Daniele e Fabrizio De Andrè, cambiando spesso genere e contaminandomi».
Con Fabrizio De André hai sperimentato l’universo cantautorale…cosa ricordi dei momenti trascorsi con lui?
«Quando il grande Fabbrizio De Andrè decise di collaborare con me non riuscivo a crederci. Tutti mi dicevano che era un uomo durissimo, poco incline a raccontarsi,e dovevo stare molto attenta a come mi comportavo. Quando ci siamo incontrati la prima volta ho avuto quasi paura a parlargli invece ho trovato una persona splendida, umana e sempre pronta al dialogo e al confronto…anche con lui è nata un’amicizia che porto nel cuore e che non dimenticherò mai. Erano davvero bei tempi…».
Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Teresa De Sio, quali sono le tue speranze e le tue paure?
«Io vedo il Domani denso di pericoli incombenti ma che possiamo facilmente evitare perché per superarli ci basterà l’intelligenza e l’amore».
Simone Intermite
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