Maurzio Cattelan è uno degli artisti italiani più famosi al mondo, un genio provocatore dotato di una cifra stilistica riconoscibile nella sua controversa lettura della realtà capace di conquistare il mondo con azioni considerate spesso provocatorie e irriverenti sviluppate come manifestazioni dello spirito umano dove idee, pensieri, convinzioni, arte e politica si intrecciano e si catturano vicendevolmente. Dal famoso “dito” di Piazza degli Affari a Milano al meteorite che opprime il Papa Karol Wojtyla passando per la banana valutata 120mila dollari all’Art Basel di Miami Beach, i cavalli imbalsamati e il WC d’oro esposto all’ America al Guggenheim di New York,  le performance artistiche di Maurizio Cattelan irridono il populismo estetico e nella loro geniale regia atipicamente suscitano scandalo e stupore animando il dibattito dell’opinione pubblica per generare audaci riflessioni. Dopo oltre dieci anni l’artista padovano è tornato a Milano, nello spazio espositivo Pirelli HangarBicocca, per una nuova mostra personale, che sta già facendo discutere addetti ai lavori e amanti dell’arte moderna,  intolata “Breath Ghosts Blind” un percorso orizzontale basato su una visione della storia collettiva e personale che si sviluppa in una sequenza di atti distinti che affrontano temi e concetti esistenziali come la fragilità della vita, la memoria e il senso di perdita individuale e comunitario. Noi di Domanipress abbiamo avuto l’onore di ospitare nel nostro salotto virtuale Maurizio Cattelan per parlare con lui in questa Intervista Esclusiva del valore dell’arte nella società moderna e per indagare il suo animo multiforme ed imprevedibile oltre il genio artistico e la fragile attitudine umana.

Sei tornato a Milano con una mostra intitolata Breath Ghosts Blind nella cornice dell’HangarBicocca…Post covid è cambiato il tuo approccio all’espressione artistica? La sofferenza è portatrice d’ispirazione?

«Anche se questo progetto nasce ben prima di due anni fa, credo sia impensabile non considerare l’impatto su questa mostra di quello che, a volte, sembra un gigantesco esperimento sociale sull’umanità. Siamo delle macchine che vanno ad emozioni, il cui eco risuona in quello che facciamo e, guardando anche alle mie opere precedenti, mi convinco sempre più di essere un autentico parco giochi per psicologi!

Restando a Milano una delle tue opere più amate è L.O.V.E., comunemente nota come “Il Dito” è diventata simbolo di libertà…Togliamoci un dubbio, quel dito medio è indirizzato dal palazzo delle Borsa al mondo o viceversa?

«Ma no, non lo è mai stato! Se provi a immaginarla con tutte le dita, capirai che non c’è luogo più perfetto per lei di quella piazza, splendido esempio dell’estetica identitaria di un regime passato. Le dita sono state amputate, la tracotanza virile è diventata ridicola: è una cartolina con su scritto “un caro saluto a tutti i regimi”.

Qualche anno fa gli attivisti di Greenpeace hanno coperto il dito con un guanto verde per chiedere all’industria una maggiore attenzione ai temi ambientalisti…Oggi si parla di transizione ecologica e di economia circolare…Anche l’arte può o dovrebbe essere sostenibile?

«Troppe opere, troppi viaggi, troppe mostre: prima che la pandemia mettesse tutto in stand by, non si era (o voleva?) davvero essere consapevoli di quanto il sistema dell’arte fosse poco sostenibile. Forse alcune cose che abbiamo sperimentato resteranno, ma sono curioso di vedere che succederà quando si premerà di nuovo il pulsante play».

 In un momento storico in cui si parla di meritocrazia il tuo curriculum sembra essere un esempio; la tua era una famiglia umile e prima di dedicarti all’arte hai svolto lavori come il giardiniere, l’elettricista e il commesso della lavanderia. Questo background quanto ha influito sul tuo spirito ironico e dissacratorio? Artisti si nasce o si diventa?

«La verità è che tra noi e il nostro futuro ci siamo solo noi, e a volte, come nel mio caso, non è nemmeno una bella compagnia! Non voglio fare il guru dell’automotivazione, ma penso che l’unico futuro che abbiamo a disposizione è quello della nostra immaginazione. Io ho sperimentato tante vie, ogni volta andando alla scoperta di un nuovo me che probabilmente non mi sarebbe stato simpatico! Artista? In fondo è una definizione come un’altra, e io sono sempre stato allergico a quello che gli altri ti dicono di essere. La vera domanda forse è un’altra. A scuola ti dicono che se non studi resti somaro: somari si nasce o si diventa? E lo si può restare tutta la vita? ».

Nella famosa cornice dell’opera “Lessico famigliare” c’è un giovane Cattelan dentro un tuo autoscatto con il segno del cuore sul petto indicato con le mani…Cosa ti manca della giovinezza?

«Perché voltarsi indietro quando ti stai divertendo? Francamente è sempre meglio guardare in avanti, perché se ti volti troppo o ti prendono per uno con le manie di persecuzione, o vai a sbattere a un palo. Il passato è un archivio polveroso di cui ho perso la chiave, non credo esistano tracce di me prima dei vent’anni. Forse non sono nemmeno mai esistito…io di certo non me lo ricordo».

Da sempre politica ed arte comunicano tra di loro seguendo due vie: quella di compiacere attraverso il mecenatismo il potere e poi c’è quella nata per sovvertire il presente, prendere posizione e mettere in atto delle concrete azioni in risposta a temi sociali Negli anni 90 una tua locandina tuonava: “il voto è prezioso, TIENITELO”. Oggi è un messaggio ancora valido? L’arte è politica?

«Se l’arte parla della vita allora è per forza politica, perché la vita è politica, fatta di tensione al cambiamento, di ricerca di nuove forme di convivenza, di potere esercitato e di rivoluzione. Io penso che sia necessario dire delle cose, avere opinioni, esprimere punti di vista, ma a volte temo di essere troppo metaforico. Mi preoccupa però questa tensione tossica all’omogeneità della società contemporanea, meglio opporvi la pratica depurativa del cambiamento e dell’accoglienza del diverso».

 Oggi agli ambienti reali si sovrappongono quelli digitali dei social network…Si può fare arte anche su instagram? Com’è il tuo rapporto con il digitale?

«I social senza una vita da caricarci, cessano di avere senso. Mi interessava avere un profilo instagram capace di scardinare questa dinamica della archiviazione ossessiva di sè stessi. Il vuoto diventava contenuto dove il pieno non lo era più. La digitalizzazione della realtà che stiamo vivendo però, potrebbe regalarci nuovi modi di pensare».

“Art for all” è da sempre un tuo slogan…cosa pensi di chi difronte ad un’opera d’arte moderna esclama: “Questo lo poteva realizzare chiunque?”: ti interessa maggiormente il parere del pubblico o quello della critica specializzata?

«Ma è vero che questo lo poteva realizzare chiunque! Non ti capita mai di vedere qualcosa e pensare “cavoli sono arrivati prima”? ».

 Quindi…dove e quando nascono le buone idee?

«Le idee sono figlie dei tempi, sono ovunque, aspettano solo che qualcuno le veda e spesso non siamo noi! Non sono molto interessato ai pareri, io mi sento come un operaio, e se compri un mio lavoro, voglio sperare per te che tu gli riconosca un valore».

Dal papa abbattuto da un meteorite, ai bambini appesi ad un albero, hai spesso espresso la tua inquietudine attraverso l’arte…Oggi che le tue azioni sono altamente quotate e sei apprezzato in tutto il mondo percepisci ancora quell’irrefrenabile irrequietezza? Il successo, il denaro e la maturità ti hanno cambiato?

«Il problema del successo è che spesso amplifica processi già inesorabili, è come correre su un tapis roulant sempre più veloce, o dimenticare una cosa in forno. Lo sappiamo tutti che fine faremo, con o senza successo, io tenderei però a procrastinare il più possibile, quindi me la tengo cara la mia irrequietezza, è il miglior antidoto che ho».

 Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Maurizio Cattelan quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Avete notato come l’impossibilità di fare progetti per il futuro, portata dalla pandemia, abbia reso difficile immaginare il domani? Quello che abbiamo è un oggi in continuo divenire, bombardato di informazioni. Vorrei avere in serbo delle banalità di alto livello da sfoderare a questo punto, ma la mia speranza è che alla fine troveremo il modo di digerire anche tutto questo!».

Intervista Esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.