Mario Venuti è uno dei cantautori più ecclettici della scena musica musicale italiana. La sua produzione dagli esordi con i Denovo fino alla sua luminosa carriera solista è da sempre un crocevia di suoni e suggestioni che intrecciano la cultura nostrana con suoni esotici che guardano, anche in maniera inconscia, al Brasile e al Sudamerica sublimandone gli intenti. Questa consapevolezza maturata nel tempo si fa protagonista nel nuovo album “Tropitalia“, una raccolta di cover di successi che hanno segnato la storia della musica italiana dagli anni trenta ai duemila reinterpretandoli con atmosfere tropicali. Brani iconinici come “Ma che freddo fa” ed altri più divertenti come “Non ho l’eta (per amarti)” diventano dei quadri indipendenti dalla loro storia in cui l’autore di “Fortuna” e “Crudele” non arretra nel ruolo di comparsa ma diventa protagonista di una nuova lettura che rende omaggio al originale rendendolo attuale ed internazionale. Noi di Domanipress abbiamo avuto il piacere di ospitare nel nostro salotto virtuale Mario Venuti per parlare con lui del nuovo progetto e del suo rapporto con il suo storico produttore e maestro Franco Battiato scoprendo dettagli inediti ed emozioni senza frontiere.

Il tuo nuovo progetto discografico Tropitalia spazia nel repertorio italiano nazionale proponendo delle cover che ridisegnano i canoni classici della canzone italiana. Com’è avvenuta la scelta dei brani?

«Sono partito dalla suggestione di brani che amo particolarmente, non c’è stato un criterio razionale ma mi sono lasciato guidare dall’ istinto e non ponendomi limiti temporali e mi sono trovato a pescare un mare magnum di canzoni; è stato un lavoro complesso ma ho iniziato a registrare andando a tentativi. La regola  aurea che ci siamo dati è che i brani scelti dovevano necessariamente appartenere all’universo della musica leggera quindi ho archiviato tutta la canzone d’autore ed ho messo da parte De Andrè, Fossati e Guccini…».

Come mai hai deciso di evitare questi grandi nomi?

«Ovviamente non ho niente contro, anzi, mi inchino di fronte alla loro grandezza però per Tropitalia la canzone d’autore non rientrava nell’intento di riproporre musica di consumo che conosciamo tutti, volevo presentarla con una veste nuova con lo sguardo rivolto verso orizzonti lontani».

Da sempre la tua produzione è contaminata dalla saudade brasiliana e da atmosfere esotiche che coesistono con una scrittura vicina al cantautorato…

«Si, oltre alla saudade che citi giustamente tu la musica brasiliana è costruita anche su una componente ritmicamente molto rilevante che mi piace contaminare ed ascoltare».

Come mai sei così attratto da queste sonorità?

«Mi piace questo tipo di  musica perché mi corrisponde, concilia in un unicum allegria e tristezza e penso che questa sia una caratteristica in cui mi ritrovo e che comunque fa parte del sentimento umano più profondo. Se ci pensi non siamo mai né completamente felici nè completamente tristi ma sempre un po’ in bilico. Durante la nostra vita attraversiamo stadi diversi in cui cambiamo inclinazioni e preferenze, passiamo velocemente da un estremo all’altro in un continuo groviglio inestricabile di cose belle ed altre magari meno piacevoli».

L’incontro con il Brasile quando è avvenuto?

«La musica brasiliana l’ho scoperta all’inizio degli anni 90 e me ne sono perdutamente innamorato, è accaduto dopo la mia esperienza con i Denovo in cui esploravo atmosfere più marcatamente pop-rock di stampo anglosassone».

La tua produzione artistica è comunque eterogenea…da dove parte questa urgenza di cambiamento?

«Sono prima di tutto un ottimo ascoltatore, ho approfondito stili diversi, soprattutto del nostro passato, e questo approccio mi è rimasto addosso anche quando ho sperimentato sonorità differenti. Di natura tendo ad annoiarmi della routine e preferisco esplorare nuovi territori per non annoiare me e quindi di conseguenza anche il pubblico. Questo è un aspetto del mio carattere che inconsciamente è rimasto sottotraccia nel mio modo di cantare, come un fiume carsico sotterraneo che comunque di tanto in tanto riemerge».

Dai tuoi esordi ad oggi cosa è cambiato?

«Rispetto agli inizi credo di aver maturato una maggiore consapevolezza, affronto le nuove sfide anche con un atteggiamento più da purista. Ad esempio prima l’influenza brasiliana la mescolavo ad altro come se fosse un crossover, adesso ho inserito pienamente tutti gli elementi di questa  cultura nel mio background. Nel nuovo disco mi avvicino a questo universo grazie alla complicità di Tony Canto che come produttore ha realizzato un arrangiamento molto fedele alle atmosfere tropicali, la musica brasiliana è esplorata con una consapevolezza matura e con suoni molto fedeli a quel tipo di tradizione però la materia musicale resta italiana, i brani fanno parte della nostra cultura. Il gioco è stato far riabbracciare due paesi che  seppur distanti hanno comunque degli elementi in comune».

Italia vs Brasile cosa ci unisce e cosa ci allontana?

«Prima di tutto sia l’Italia che il Brasile sono due paesi caldi, con uno spirito anarchico e poi noi siamo come loro, sanguigni e  passionali. Secondo me questo è un matrimonio che funziona, non credi?. Ho avuto la fortuna di visitare quei luoghi più volte e spero di tornarci in concerto per presentare questo nuovo progetto, la musica italiana, soprattutto quella degli anni 60 aveva un’importante diffusione a livello mondiale… ».

Oltre il brasile c’è la  tua amata Sicilia e Milano dove risiedi per lavoro…Tra tutti universi differenti qual è il tuo luogo dell’anima?

«Non mi sono mai veramente allontanato dalla Sicilia, ci sono nato e sono profondamente legato alla mia terra, mi piace guardare il mondo da qui, da provinciale, che però possiede anche uno sguardo aperto sul mondo».

Negli anni 90 in Sicilia c’era qualcosa di speciale; tu sei stato anche capostipite di un nuovo modo di fare musica e poi dopo di te ci sono stati altri che sono partiti dall’isola alla conquista delle charts…Adesso con i grandi ritorni e nomi come Carmen Consoli Colapesce e Dimartino o Levante sembra quasi che ci sia anche un ritorno di quel fermento artistico positivo…

«Sicuramente i tempi sono cambiati, devo riconoscere che Palermo ultimamente rispetto a Catania ha percorso una strada più prolifica penso a “La rappresentante di Lista” oppure a  Dimartino e Colapesce anche se lui appartiene a Siracusa e quindi è della costa est».

In Sicilia ci sono delle distinzioni nette tra un luogo e l’altro? 

«Bhe si, funziona come in America c’è la east coast e la west coast (ride), però non credo poi tanto alla scuole cittadine che si formano, ci sono i talenti che magari si ritrovano collaborano insieme ma il luogo specifico è frutto del caso. In questi ultimi anni Catania non ha prodotto nomi che hanno   riscosso un successo nazionale, ad ogni modo  che sia Catania Palermo o Solarino o qualsiasi paese sperduto dall’entroterra della Sicilia l’importante è che ci sia sempre qualcuno che emerge con delle buone idee poi io credo comunque che sia importante la personalità del singolo. Un buon album oggi può venir  fuori anche in una stanzetta e  non necessariamente in un humus cittadino, magari un giovane ragazzo nel chiuso della sua cameretta può produrre qualcosa di interessante e poi naturalmente  le sue proposte possono far brillare anche il luogo in cui le ha prodotte…ci sono in giro molte menti geniali e fertili ma bisogna prestargli attenzione».

La proposta della musica contemporanea però è piuttosto imperitura e non resiste oltre una stagione di playlist su Spotify…

«Direi che oggi c’è una tendenza diffusa all’usa e getta, il modo in cui nascono le canzoni è costruito a tavolino per cavalcare l’onda del momento e non per creare qualcosa di solido. Questo atteggiamento “ruffiano” con il tempo si paga, il pubblico percepisce quando c’è un’ispirazione genuina, un’urgenza comunicativa che ha qualcosa da dire.. la musica leggera permette anche dei livelli di lettura più profondi che se ci sono la fanno durare a lungo…».

Alcuni talent show ti volevano ingaggiare nel ruolo di giudice ma hai sempre rifiutato l’offerta, come mai?

«Sarò sincero, credo che  la maggior parte dei giudici che scelgono di accettare l’offerta lo fanno perché sono pagati bene. Questo non accade in tutti i reality ovviamente ma noto spesso che i concorrenti sono trattati come carne da macello, qualche personalità miracolosamente riesce magari a sopravvivere al frullatore e viene fuori perché ha una sua dote specifica ma non per il percorso che ha fatto in tv; e poi c’è un altro aspetto che un po’ mi frena dall’idea di fare il giudice, la presunzione di sapere cosa è giusto cosa non lo è. Ognuno è libero di esprimere il proprio parere personale ma io sono sempre molto cauto quando alcuni musicisti mi sottopongo  loro composizioni, nessuno può possedere gli strumenti per capire se qualcosa funziona o meno. Ci sono artisti che come ascoltatore ho ignorato e poi hanno venduto centinaia di milioni copie».

Della nuova generazione quale artista ti appassiona particolarmente?

«Mi piacciono molto Colapesce e Dimartino anche se loro sono ormai degli artisti rodati. Premetto che non sono più sul pezzo, non ascolto la radio da tempo e non seguo le novità, ci sono troppe produzioni quindi è veramente difficile stare al passo anche per una questione anagrafica generazionale. Ci sono dei linguaggi che non mi appartengono. Alcuni non riesco ad accoglierli perché parlano un slang che non è il mio e che è pensato per i  più giovani….con questo non voglio criticarli, è giusto che tutto cambi, però io mi tolgo fuori da questo sistema e continuo a fare il mio lavoro ,tiro dritto per la mia strada, faccio quello che so fare onestamente come so farlo io».

Le mode non sembrano interessarti troppo…

«Se ci pensi non sono mai stato alla moda né mai lo sarò e quindi non mi pongo il problema o l’ansia di essere moderno, non posso competere con i ragazzini sul loro terreno sui loro linguaggi, mi sembrerebbe patetico, loro sono molto più bravi di me a cantare la trap ed è giusto che ognuno sia nel suo universo anche se non è difficile per me che io sia in sintonia con loro».

Se ne dovessi scegliere uno?

«Sicuramente ti direi Ghali, in lui c’è la sintesi di una nuova generazione figlia di immigrati che mi sembra un’evoluzione naturale della società italiana che diventa sempre più multietnica e mi piace questo perché avverto l’influenza del maghreb nella sua composizione».

A proposito di ispirazioni e di maestri il tuo era il grande Franco Battiato che ti ha prodotto quando eri nel gruppo dei Denovo…Spesso quando si parla di lui si pensa ad una figura saggia e ieratica, quasi ultraterrena, invece chi l’ha vissuto da vicino racconta di una persona ironica ed aperta al dialogo

«Ho perso un amico ed un importante punto di riferimento. Ho conosciuto Franco alla fine degli anni ’80 quando tornò a vivere stabilmente in Sicilia dopo gli anni milanesi. Con la sua scomparsa ho perso un grande punto di riferimento. Ricordo che Franco  aveva notato i Denovo in tv e voleva conoscerci per produrre un album. Posso dirti che lavorare con lui è stata una bella esperienza, ricordo anche con affetto il recente riadattamento dei Persiani di Eschilo, nel cast cera il meglio della scena teatrale italiana tra cui anche Toni servillo e Iaia Forte. Sono stato molto fortunato».

Oltre al lavoro che rapporto c’era tra di voi?

«Nel corso del tempo ci siamo incontrati diverse volte per il piacere di farlo, lui è stato così gentile da partecipare a due brani della mia discografia, Franco era un uomo molto generoso e prodigo di consigli; nella nell’intimità  sapeva essere molto accogliente».

Dall’esterno la sua sembra essere una figura solitaria, sacrale e particolarmente riflessiva…

«Si ma Franco era anche ironico, questa immagine del filosofo mistico lui la riservava alla sua esperienza personale e ai suoi studi però nel rapporto con gli altri era molto terreno, cordiale e umano».

Un aspetto che per chi non lo conosceva può risultare inedito…

«Gli piaceva raccontare aneddoti e barzellette, c’era un lato di Battiato umano sorprendente diverso dalla sua immagine pubblica».

A proposito di consigli, hai ricevuto un feedback dagli interpreti delle cover che hai scelto per Tropitalia?

«Si, ho ricevuto diversi complimenti che mi hanno riempito d’orgoglio. Primo fra tutti ricordo Nada che ho incontrato per i 25 anni di carriera di Carmen Consoli e poi mi ha scritto il fan club di Loretta Goggi che ha apprezzato particolarmente la mia versione di maledetta primavera».

Son tutti brani che appartengono ad un epoca analogica costituita da nastri e dischi…Oggi qual è il tuo rapporto con il digitale?

«Non sono particolarmente nostalgico, credo che il suono digitale sia arrivato ad un livello che non fa rimpiangere il classico vinile. Ci sono ancora dei musicisti che per ottenere dei suoni particolari si dedicano alla registrazioni su nastri tradizionali ma credo che sia eccessivo perché da uomo pragmatico preferisco la praticità della registrazione digitale che può essere arricchita anche con  un buon mix tra passato e futuro. La tecnologia ci permette di replicare anche dei suoni dal sapore analogico o di utilizzare una tecnica ibrida».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Mario Venuti quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Pensando al Domani non riesco ad essere totalizzante. Cerco di mantenere sempre un pensiero ottimista ma talvolta mi scontro con il mio lato più negativo che prefigura un futuro apocalittico. La nostra soglia d’attenzione si è abbassata e il consumismo bulimico rischia di farci perdere il vero senso della vita. Mi auguro una rinascita ed una presa di consapevolezza, intanto affronto il presente con curiosità ed entusiasmo».

Intervista Esclusiva a cura di Simone Intermite

 

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.