Nell’immaginare un futuro prossimo post pandemia, ci sono due temi che riguardano il modo di vivere e produrre ricchezza sul nostro pianeta, la rivoluzione digitale, recentemente ribattezzata transizione 4.0., che ha già cambiato le nostre vite ed il new green deal che promuove un uso intelligente delle risorse adottando modelli di economia circolare al fine di garantire un sistema più equo e inclusivo. Questi due obiettivi non vanno intesi però come delle realtà singole, al contrario si sta assistendo ad un approccio sempre più integrato tra le policy mondiali ed europee e gli obiettivi di sviluppo sostenibile definiti nell’ambito dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Investire in tecnologie rispettose dell’ambiente e favorire un modo di vivere insieme centrato sulla qualità delle relazioni e dei processi, anziché sul consumo e sulle cose è uno dei nuovi focus che il Prof. Luciano Floridi,una delle voci più autorevoli della filosofia contemporanea professore ordinario di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford fotografa attraverso l’accostamento di due colori che costituiscono i titolo al suo nuovo libro edito da Raffaello Cortina Editore “Il verde e il blu, idee ingenue per migliorare la politica”. Quelle di Floridi sono idee definibili come ingenue in senso positivo, perché rivendicano una visione altruistica, cosmopolitica e ambientalista del mondo. Le stesse che hanno attirato l’attenzione del pubblico italiano che ha premiato il filosofo italiano che per primo ha parlato di fake news con serate sold out al Teatro Parenti e rimandi ai suoi neologismi diventati virali, come infosfera, quarta rivoluzione, iperstoria, e onlife che sono rientrati nell’utilizzo linguistico quotidiano. Noi di Domanipress abbiamo avuto il piacere di ospitare nel nostro salotto virtuale il Prof. Luciano Floridi e di parlare con lui di sostenibilità, tecnologia scienza e prerogative umane utopiche e visionarie.
* È possibile ascoltare e guardare l’intervista sul canale Live del Salotto di Domanipress, su Youtube e sul Podcast in calce all’intervista disponibile su Spotify, Google ed Apple Podcast.

Nel suo ultimo libro “Il verde e il blu, idee ingenue per migliorare la politica” si traccia un’unione tra il verde della nostro ambiente e la rivoluzione digitale in atto. Digital e green deal sono due concetti che possono comunicare tra di loro?

«È così, avendo qualche capello bianco ormai è da un po’ di tempo che mi occupo di che avvicinare questi due elementi apparentemente lontani: c’è il verde, che non è solo quello naturale ma anche quello urbano, sociale, della famiglia, dove noi viviamo, il nostro habitat ed il blu del digitale con l’intelligenza artificiale, le banche dati e la telefonia mobile solo per citarne alcune declinazioni. Sono due vasi comunicanti che possono aiutarci a pensare ad un futuro maggiormente sostenibile e che è tempo di pensare come un unicum.
Se noi abbiamo una visione “ambientalista” del digitale possiamo intendere le problematiche dell’ ambiente dall’ingiustizia sociale del nostro piccolo centro urbano e familiare fino ai pressanti global warming e climate change, si parla infondo di due facce della stessa medaglia. Il verde e il blu sono due componenti complementari».

Lei ha creduto nella rivoluzione digitale e ha parlato di questione ambientale sin dagli inizi degli anni ’90 quando ancora non era di moda…

«Si, è da tanto che mi sono avviato su questa strada perché già negli anni 80’ avevo immaginato che la tecnologia sarebbe stata nostro alleato per la tutela ambientale. Nel decennio passato si pensava che il digitale fosse due cose: strumentazione, ovvero che servisse per fare qualcosa, oppure che fosse comunicazione, cioè evoluzione della televisione, della radio, della telefonia mobile e dei social media.
Queste non sono linee sbagliate ma marginali».

La Digital Transformation invece è entrata prepotentemente nelle nostre vite sfuocando i confini tra ciò che è tangibile e ciò che non lo è; ma in questo cambiamento ci stiamo perdendo qualcosa?

«L’aspetto più importante da non sottovalutare del digitale è che rappresenta un nuovo ambiente in cui vivere. Certamente c’è la comunicazione, i tools, strumentazione, ma soprattutto ci siamo noi ed il nostro spazio all’interno del quale sviluppiamo noi stessi, in cui è possibile maturare delle consapevolezze».

Tutto questo spazio necessita anche di regole e di strumenti per svilupparne il protezionale, così come accade nella vita offline…

«Certo, è necessario anche adottare misure politiche per rendere questo spazio gradevole e proficuo per lo sviluppo, ma se non lo si comprende e continuiamo ad avvicinarlo come se non avessimo capito metà del problema difficilmente potremmo cogliere tutte le sfumature di questo grande cambiamento».

Ritornando al colore verde quale pensa possa essere il ruolo delle tecnologie digitali rispetto al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità?

«Le tecnologie che avranno maggiore impatto positivo sull’ambiente saranno composte dall’integrazione dei big data e dell’intelligenza artificiale.
Oggi possiamo fare un salto qualitativo, cioè porrei dei cambiamenti in termini di produzione industriale e consumo e quindi di capitalismo nel senso più ampio del termine perché il digitale ci consente di avere enormi quantità di dati da sfruttare tramite l‘intelligenza artificiale. L’idea è abbastanza semplice da attuare ma è il paradigma e l’abitudine ad essere difficile da cambiare. Il vecchio modello analogico della produzione industriale considera il mondo come un’enorme riserva di risorse che si possono utilizzare in un modo più o meno efficiente; è un un ciclo semplicemente produco, elimino gli scarti e ricomincio. Immagini il petrolio… i combustibili fossili tanto cari ai processi industriali, sono il punto di partenza dell’economia lineare per la produzione. Il digitale non considera “il mondo” come una risorsa e sfrutta come materia prima i dati che noi produciamo e può creare un prodotto finito partendo anche da uno scarto».

Gli effetti derivati dall’ impoverimento delle risorse sono devastanti, sia per l’ambiente che per le popolazioni, per lo più indigene, che vivono nei territori più ricchi di materie prime….L’economia circolare potrà porre fine al prosciugamento del nostro rigoglioso pianeta per scopi puramente commerciali?

«Questa inversione di tendenza, ad essere positivi, sta già accadendo. Per esempio, recentemente, a Novembre, un’azienda molto importante attraverso l’utilizzo della tecnologia ha annunciato che sfrutterà l’atomo di carbonio nell’anidride carbonica per produrre diamanti che come sappiamo sono a base di carbonio. Il prossimo anno potremmo comprare un diamante di 2 carati da un attività produttiva che consuma circa l’equivalente di sette anni di impatto ambientale di un individuo in Italia. Immagini un individuo di trent’anni con settant’anni di vita che decide di comprare sette diamanti, il suo impatto ambientale sarebbe ripagato».

Tutto questo è merito della tecnologia…Ma tutto questo sarà alla portata di tutti? Possiamo pensare ad una green economy di massa?

«Non so quanto costeranno questi diamanti, ma cos’è che permette questa trasformazione dell’anidride carbonica che noi pensiamo essere un mero scarto e che non sappiamo dove smaltire? Le nuove tecnologie integrate con l’intelligenza artificiale.
Un’ altro esempio potrebbe essere quello del settore tessile: oggi possiamo produrre prodotti simili al cuoio utilizzando la buccia delle mele. Ecco perchè abbiamo bisogno di innovazione, intelligenza e tanta tecnologia. Di questi esempi ce ne sono a migliaia.
Attraverso lo sfruttamento dei dati e dell’intelligenza artificiale noi riusciremo a produrre di più sprecando meno risorse. Pensi alla rivoluzione che hanno comportato qualche anno fa i led, se utilizzassi delle candele dovrei averne duecento intorno per illuminare una stanza. Questo è il mondo del XXI secolo dove occorre continuare ad investire».

La rivoluzione digitale ha re-ontologizzato la nostra realtà, modificandola nel profondo…in un futuro non molto lontano l’intelligenza artificiale ci imporrà una riflessione attenta su suoi usi etici…a proposito di occupazione la robotica, l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione destano ancora qualche preoccupazione, lei cosa ne pensa?

«Come sottolinea ci sono dei limiti che non si dovrebbero prevaricare ma non dobbiamo lasciarci intimorire; in larga parte i dati che noi utilizziamo non sono personali. L’industria automobilistica ad esempio utilizza l’intelligenza artificiale, la robotica e il machine learning con dati funzionali e non personali e questo accade anche nell’industria dello smaltimento dei rifiuti.Ci sono però molte aree, come quella medica, in cui abbiamo bisogno di sfruttare i dati personali. Ovviamente quando si trattano queste informazioni è bene ricordare che sono protette dal GDPR; ci sono parametri, vincoli e limiti che ci garantiscono dove far subentrare l’anonimizzazione, la possibilità di de anonimizzare, i fini di utilizzo di dati e se c’è un’estensione illegale del motivo per cui i dati sono stati raccolti ci possono essere delle sanzioni anche gravi. Le faccio un esempio riguardo il mondo dei dati: se guardiamo le analisi della condivisione dei dati emerge che se chiediamo alle donne con il cancro al seno se possiamo usare i loro dati per curare altre donne con lo stesso male potremmo registrare una buona risposta alla domanda. Se chiedessimo invece: “possiamo utilizzarli per il cancro in generale?” in generale il consenso scenderebbe.
Se dicessimo invece: “Possiamo utilizzarli?” la risposta sarebbe: “No, perché non so la motivazione.” La persona si sente più vicino a chi condivide lo stesso problema e questo potrebbe dare un valore diverso al dolore e al sacrificio, ci sono ragioni anche umane e psicologiche che lo spiegano, più la motivazione si allontana dal nostro volere e meno si è portati a condividere. Ci sono vincoli non solo etici, ma legali molto robusti e lo diverranno sempre di più. In Europa siamo molto attenti a questo aspetto».

Restando sul piano etico,il Machine Learning attraverso l’ elaborazione di parametri biometrici, potrà diventare un surrogato che sostituirà i rapporti umani?

«Questa è una bella domanda, penso che le strumentalizzazioni negative dell’ intelligenza artificiale potranno esacerbare o a estremizzare tendenze già presenti. Se sono una persona socievole lo rimango, se sono schivo tendo a giocare con l’intelligenza artificiale piuttosto che con altre persone. Ho l’impressione che si tenda alla polarizzazione, all’estremizzazione di un qualcosa di già presente. Se il genere di estremizzazione che potrebbe avvenire potrebbe diventare un pericolo potremmo aggiungere qualcosa in più in termini di educazione. Nel 2018 l’Unione Europea aveva già pubblicato le sue linee guida per garantire un approccio etico all’intelligenza artificiale. L’iniziativa venne lanciata con la creazione di un gruppo di lavoro e con una consultazione pubblica, alla quale hanno preso parte anche i cittadini, oltre che i ricercatori e le istituzioni».

Oggi il dibattito è ancora aperto…

«Certo, pensi ai sistemi di intelligenza artificiale per i “recommended system”, quelli che ti consigliano su film o gli acquisti. Sono utili ma vogliamo porre un limite? Vogliamo renderlo disponibile a qualunque età? Ad oggi ci sono profilazioni anche rivolte ai minori.
Io credo che ci debbano essere dei momenti di protezione e che dovrebbero essere esercitati, così come accade per la pornografia. Potremmo aver bisogno di simili provvedimenti anche per altri utilizzi del digitale che riteniamo non adeguate allo sviluppo dell’individuo, ma questo lo valuteremo nel tempo».

C’è qualche paese che in merito a questo si sta adeguando meglio degli altri e che potrebbe essere un faro guida o siamo tutti sullo stesso livello?

«Se c’è un punto guida, un faro è l’Unione Europea anche se i paesi al suo interno variano molto quindi è difficile scegliere il migliore. C’è chi fa meglio nella protezione dei dati ma poi fa troppo nella protezione del copyright come ad esempio la Germania. La legislazione tedesca è molto più presente sul blocco del copyright, magari esagerando, dall’altra parte però è molto ferma, nel senso buono, sulla protezione dei dati personali.
Le questioni etiche digitali sono tanti capitoli di un libro ampio. Per me è più semplice dare una risposta in termini di sistema Europa anche perché è la legislazione europea che fa la differenza. In UE siamo messi meglio per la discussione sui dati personali: abbiamo insegnato al mondo come farlo bene e secondo me anche oggi stiamo arrivando prima della Cina e degli Stati Uniti sul versante dell’intelligenza artificiale.
Potremmo letteralmente avere gli USA molto diversi nel giro di pochi giorni a causa del doppio ticket Biden-Harris. Se decidessero di fare sul serio potrebbero riprenderci velocemente. Immagini se la nuova amministrazione decidesse di fare sul serio sull’antitrust e decidesse che Facebook deve vendere WhatsApp e che Google deve vendere YouTube, sarebbe un mondo diverso non crede?».

Nel libro si parla di “100 idee ingenue”…la politica può esserlo?

«La politica dovrebbe tornare ad esserlo. Questo aspetto è importante perché l‘ingenuità di cui parlo nel libro è di ritorno, non di partenza».

E qual è la differenza?

«L’ingenuità di partenza appartiene a chi si fa illusioni, è tipica di chi osserva tutto superficialmente e pone domande semplici e basilari, invece quella di ritorno si acquisisce con tanta fatica, studiando, pensando, confrontandosi, ascoltando altre persone e facendo le domande fondamentali da una prospettiva e con una ricchezza ben diverse.
Prendiamo ad esempio Ulisse prima e dopo Troia: lui parte e torna da Itaca ma non è lo stesso uomo. Essere in grado di tornare a fare politica sul serio pensando che sia uno strumento ad uso è consumo della società a lungo termine e non un mezzo per essere rieletti. Dovrebbe essere lungimirante, competente ed altruista. Preferisco passare da ingenuo di ritorno piuttosto che da furbo».

Anche lei si sta impegnando attivamente in politica affiancando Marco Bentivogli nel movimento “Base” quali sono i vostri obiettivi?

«Ci stiamo organizzando e siamo ancora in dialogo per l’identificazione più precisa delle idee e dell’agenda, personalmente non vorrei parlare come presidente dell’associazione ma come Luciano Floridi. Mi piacerebbe cercare di spingere la politica verso una visone competente, lungimirante ed altruista e lavorare per la società per il lungo termine,
partendo dal basso pensando una progettualità locale che in modo reticolare si metta a sistema, non in modo meccanicistico, ma con tanti nodi che possono creare una rete robusta, concreta e reale che parte dai problemi vissuti del paesino della provincia alla grande metropoli. Tutti problemi molto diversi:
Si deve partire però da una localizzazione che faccia rete altrimenti il locale non passa la soglia della differenza. Se lei spinge l’auto che non parte, poi torna a casa, poi vengo io a spingerla e poi un’altra persona la macchina non riuscirà mai a muoversi: dobbiamo andare tutti insieme nella stessa direzione a spingerla. C’è una soglia sotto la quale lo sforzo individuale è zero. Questo secondo me è quello che dobbiamo fare: mettere insieme gli sforzi per fare la differenza. Secondo me si può fare perché c’è tanta buona volontà, capacità e pratica che non stiamo mettendo a sistema, anzi la gente si è distaccata dalla politica non interessa più partecipare».

La politica secondo lei dovrebbe ritornare a scendere nelle piazze o è possibile agire riprendendo un suo neologismo “on life”?

«Va fatta in tutti e due i modi e nel miglior modo possibile, ci si può organizzare, vedersi in piazza per poi ritrovarsi nuovamente online: ad abbattere il muro tra digitale e l’analogico è l’online».

In un recente articolo ha esaminato le campagne elettorali sui social e le preferenze populiste dell’elettorato….

«Per me la politica online è quella che serve oggi, perché un po’ alla pancia bisogna parlare , non sono così intellettualoide da pensare che si debba parlare solo al cervello. Bisogna parlare a tutto.
Quando ero ragazzo c’era una seria inflazione che veniva intesa come la bestia nera, bisognava abbatterla. Oggi sappiamo che un po’ di inflazione fa bene al sistema, come il colesterolo buono o un po’ di sale o il bicchiere di vino, ma attenzione a non eccedere.
Un po’ di populismo fa bene al sistema perché è quel poco che ti fa dire che sto ascoltando quel che sta strillando per strada: “Non ne posso più”. Quello non è populismo, è anche ascoltare la gente. A me dispiace sentire discorsi nero-bianco, intellettualoidi, scervellamenti sofisticatissimi che fanno tornare ad una politica dall’alto verso il basso. Capiremo dove fa male è il primo compito del medico, bisogna anche ascoltare la pancia. Se serve il 2% di inflazione anche un 2% di populismo fa bene al sistema».

Tutto ciò che conosciamo come tradizione ,prima di esserlo, era l’innovazione di molti anni fa, ma nonostante tutto la nostalgia del passato è insita nella natura umana…Lei di cosa ha nostalgia?

«Personalmente rimpiango l’enorme flessibilità di tempo che avevo quando ero più giovane. Anche lei si sarà accorto che la sua agenda con il passar del tempo si fa sempre più stretta e vincolata. Tutto questo non è per colpa delle tecnologie, ma fa parte dell’esistenza umana: se si ha successo e si hanno interessi il tempo si fa sempre più vincolato, se avessi la bacchetta magica chiederei di avere un tempo più flessibile, manca la flessibilità di dire oggi faccio questo piuttosto che quest’altro.
Quando ero giovane studente o ricercatore, con la paura di restare disoccupato, avevo la flessibilità di rimanere una settimana a studiare un problema se volevo, oggi devo scavalcare i paletti. Come dico ai miei studenti via via che si diventa più anziani bisogna tenere gli occhi sulla palla, sempre. C’è chi si perde e chi a un certo punto inizia a girare intorno. Si deve tornare sempre alla T come nel tennis. È una fatica perché via via le esigenze ti trascinano a fare cose, a tornare su quell’articolo che stai studiando, quel problema che stai leggendo, ci vuole grande forza di determinazione altrimenti il mondo ti trascina».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Luciano Floridi quali sono le sue speranze e le sue paure?

«Da qualunque prospettiva lo si voglia guardare mi auguro che il Domani sia “riempibile”. Non mi interessa se il bicchiere sarà mezzo pieno o mezzo vuoto , mi auguro solo che il futuro sia sempre un contenitore da riempire».

Intervista Esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.