Il palcoscenico è un cerchio magico in cui solo le cose più vere possono accadere, un territorio neutrale dove passato e presente dialogano tra di loro per riflettere i pregi e i difetti della nostra natura umana. Lella Costa, uno dei volti più conosciuti del panorama del teatro italiano su quel palco, dove è da sempre di casa, ci è tornata, dopo il periodo di chiusura a causa pandemia, con l’occasione di celebrare il settecentesimo anno dalla morte del Sommo Poeta Dante Alighieri con un progetto culturale multiforme e ambizioso realizzato con Gabriele Vacis intitolato Intelletto d’amore, Dante e le donne” che si sviluppa attraverso un podcast (già on air da marzo), uno spettacolo, una trasmissione televisiva e un libro in cui si indaga il rapporto di Dante con le donne della sua vita e della sua opera, partendo dalle biografie per poi immaginare sviluppi possibili e impossibili con riferimenti ai temi del presente e letture trasversali tra corsi e ricorsi storici che, oltre un primo istintivo moto di simpatia, ci consegnano spunti di riflessione ironici e talvolta dissacranti con la leggerezza e il pensiero critico a cui la Costa ci ha abituati. Ma non è tutto l’attrice milanese dopo aver attraversato con intelligenza e delicatezza rara tutte le sfumature dello spettacolo, dal cinema, alla tv, alla radio, al teatro, non deponendo mai il suo impegno civile e sociale, curerà la direzione artistica insieme a Maurizia Sinigallia dello storico Teatro Carcano di Milano. Noi di Domanipress abbiamo avuto l’onore di ospitare Lella Costa in questa Video Intervista nel nostro salotto virtuale per parlare con lei di Divina Commedia, retoriche da scardinare e relazioni umane da recuperare oltre la schermata blu dei social networks.

Nel tuo ultimo spettacolo prendono vita le donne di Dante Aligheri attraverso un lavoro che ce le fa conoscere da vicino, scardinando qualche luogo comune in un dialogo che parte dalla veridicità storica per giungere a nuove ipotesi di lettura. Com’è stato il tuo laboratorio di scrittura?

«Ho preso in analisi quattro personaggi femminili che si riferiscono ai tre cantici della Commedia: inferno, paradiso e purgatorio, pur avendo come compendio la “Vita nova” per riferimenti storici e politici. Il titolo è ripreso proprio da questo testo e si rifà al famoso verso: “Donne ch’avete intelletto d’amore,i’ vo’ con voi de la mia donna dire” che Dante Alighieri strategicamente aveva scelto come incipit rivolgendosi al pubblico femminile, come se ci volesse dire che quando si parla d’amore solo le donne sono capaci di una sensibilità profonda che riesce a comprendere appieno le dinamiche amorose ed il loro reale valore».

Nello spettacolo dici che Dante Alighieri che parla alle donne e per le donne, in un mondo in cui c’era una visione prevalentemente maschilista, è stata un’operazione di marketing ante litteram…

«Questo riconoscimento dell’intesa sentimentale femminile, scritto alla fine del duecento, epoca in cui la condizione della donna non era certamente quella moderna, sicuramente è un atto rivoluzionario da parte di Dante Alighieri ed una lezione che può esserci utile ancora oggi. L’incipit aveva anche il ruolo di interessare il lettore e di fargli comprendere in poche righe i temi trattati senza anticipare troppo, e in questo Dante ha preferito catturare l’attenzione delle donne maggiormente dedite alla comprensione dei versi d’amore. Durante i miei spettacoli spesso sottolineo che gli uomini soffrono di una forma di analfabetismo sentimentale…questo aspetto non lo reputo una colpa del genere maschile ma è piuttosto il risultato del sistema culturale ed educativo, anche sostenuto da alcune donne, che negli anni non ha istruito all’educazione dei sentimenti in virtù di un machismo che ha allontanato l’uomo dal sentimento. Dante Alighieri era arrivato a questa consapevolezza molti anni fa e questa intuizione così progressista è stato lo spunto per me e per Gabriele Vacis di celebrare i settecento anni della sua morte con una chiave di lettura ironica, diversa dal solito, lontana dai soliti modelli stereotipati a cui siamo abituati».

Una delle protagoniste del tuo spettacolo è Gemma Donati, la moglie di Dante Alighieri. Di questo personaggio si racconta sempre poco, molti tendono a confonderla con l’amore platonico Beatrice ed anche il silenzio del Sommo Poeta che non ha mai parlato di lei non aiuta…

«Si, Gemma Donati da vera fiorentina l’abbiamo immaginata in un dialogo diretto con il pubblico. Si presenta finalmente davanti al pubblico che conosce la Divina Commedia, luogo eletto per la narrazione d’amore, e ci ricorda che Dante non ha dedicato uno spazio nè a lei nè ai suoi quattro figli, Pietro, Iacopo, Antonio Giovanni tanto da farci ipotizzare che probabilmente l’ultimo non sia mai esistito. Quella di convivere con l’ideale amoroso del proprio marito non è una condizione distante da alcune dinamiche del presente che vivono anche le donne di oggi… A Beatrice il sommo poeta ha dedicato un intero romanzo autobiografico, la Vita Nova, la sua presenza si intravede già nelle varie rime precedenti la Divina Commedia ed è per lei che Dante ha il coraggio di attraversare la selva oscura della sua esistenza e di compiere un viaggio ultraterreno che lo porterà ad incontrarla, tutto questo accade mentre alla moglie non è dedicato nemmeno un rigo».

Come mai Dante Alighieri dimentica volutamente di parlarci della madre dei suoi figli?

«Questo non è un’aspetto che sorprende; c’era in Dante una sorta di dicotomia, una schizofrenia elettiva che divideva il componimento, la vita interiore e la sfera artistica dalla vita reale che è stata totalmente rimossa. Questo accade a molti artisti, non solo al Sommo poeta, ed è stato divertente far dialogare questi due universi paralleli e farli emergere… ».

Gemma Donati ci sorprende lasciando intendere che la scrittura della Divina Commedia è opera anche sua…

«Ci siamo divertiti a far dire a Gemma Donati che la Commedia alla fine è stata scritta a quattro mani…perché altrimenti il vero marito di Beatrice, nella vita reale Bice Portinari coniugata Bardi, avrebbe mai tollerato che un poeta gli stolkerizzasse la moglie scrivendole dichiarazioni d’amore pubbliche? Noi ci abbiamo giocato, ma se ci pensi non è un ipotesi così irreale. Gemma Donati ha sposato Dante quando lui era solamente un giovane di belle promesse mentre lei aveva già in famiglia un cugino poeta. Aveva sicuramente frequentato la poesia sin da piccola, è possibile che avesse un talento tale da aver voluto affiancare il marito per la stesura della Divina Commedia. Mi piace pensarla così e darle questo riscatto, molto probabilmente hanno lavorato a lungo insieme…».

Tutte le donne dello spettacolo sono onniscienti rispetto ai temi del presente e dialogano con noi tranne Beatrice…

«Si, Teide la racconto partendo da un verso che la riguarda, Francesca da Rimini e Gemma Donati dialogano con me e raccontano la loro vita mentre Beatrice prende la scena dall’inizio alla fine senza interruzione. Con Gabriele Vacis l’abbiamo immaginata mentre eterea ci racconta la sua storia senza interruzioni, dal paradiso. Abbiamo alcune informazioni importanti sulla sua vita terrena, ci raccontano le cronache che è morta di parto quando era molto giovane, a ventiquattro anni e che vissuto un’esistenza anche intensa ma il personaggio che conosciamo è quella bambina che Dante incontra all’età di nove anni e dieci mesi».

Beatrice rappresenta il primo amore, quello che non si scorda mai…

«Ho voluto sottolineare che Beatrice parla di primo amore come una condizione che alberga prevalentemente nella nostra mente, gli diamo un nome perché fa parte della nostra memoria, è una parte nascosta dell’io più segreto. Lo stesso Dante scrisse: “Mi apparve per la prima volta la donna della mia mente” e non della mia vita…».

In questo voler puntualizzare che si tratta di un semplice amore platonico e spirituale sembra volersi togliere una responsabilità che dura da secoli…

«Si, abbiamo caratterizzato Beatrice con un velo di tenerezza…lei ci dice: “Davvero credete che tutta questa produzione poetica sia frutto di uno sguardo ad una bambina di nove anni? Io non mi chiamo nemmeno Beatrice! Io sono Bice Portinari!”».

In questa parte dello spettacolo ci sono diversi riferimenti al cinema, la filosofia e la letteratura moderna…

«Abbiamo citato Joseph Conrad, e la sua linea d’ombra passando per il film “Stand by me” me e il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante. Sono tutti dei riferimenti che traducono in chiave moderna i temi dei versi danteschi e che si riferiscono al primo amore… ».

Il personaggio di Francesca da Rimini invece sorprende per l’audacia. Lei rappresenta la passione…».

«Francesca da Rimini è nell’anticamera dell’inferno in compagnia di Paolo nel quinto canto, in cui ci sono i peccatori carnali che la ragione sottendono al talento. Per Francesca da Rimini abbiamo cercato di dipingere una donna moderna, romagnola, che continua a godere dei piaceri della carne, con la tramontana a favore che rinfresca dalle fiamme dell’inferno in un luogo non troppo ostile, lontano dall’antro. Dante li ha collocati qui perché infondo anche lui era uno di loro.».

Lo spettacolo è stato scritto a quattro mani con il regista Gabriele Vacis con cui hai avuto modo di collaborare per spettacoli che hanno costruito la tua carriera come “Stanca di guerra”. Com’ è stato collaborare di nuovo insieme?

«Con Gabriele Vacis ci conosciamo da molti anni, abbiamo lavorato insieme per progetti importanti per la mia carriera. Ogni volta è come se si creasse una magia speciale; ci accomuna un senso teatrale pedagogico, ci piace fornire a chi ascolta alcuni strumenti utili per decifrare i classici e rileggerli da un punto di vista diverso. Per affrontare i testi del passato è necessario avere sempre a portata di mano una bussola che ti accompagni per non perdere gli aspetti più preziosi».

A proposito di questo, quale può essere un metodo efficace ed interessante per insegnare la Divina Commedia nelle scuole?

«Non mi permetterei mai di suggerire agli studiosi e agli insegnati un giusto metodo per rendere Dante Alighieri attraente per le nuove generazioni ma posso dirti che io sono della scuola di Borges e penso come lui che sia fondamentale la lettura ad alta voce; quella del Sommo poeta è una produzione che va fatta ascoltare e suonare. Non occorre analizzare tutto, fondamentale sarebbe leggere con attenzione alcuni passaggi, soprattutto quelli che ci sono utili per decodificare il presente».

Personalmente come ti poni difronte alla lettura dei classici?

«Ho un rapporto confidenziale con i classici, ma anche di grande rispetto. Oggi occorre educare soprattutto i più giovani a conoscere i grandi testi del passato in maniera vissuta, concreta e cosciente non serve che diventino aforismi da sfoggiare per fare una bella figura in società….la vera ricchezza è godere di quella bellezza che ha superato il tempo e lo spazio».

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtude e caunoscenza” eppure il Covid ci ha allontanato per un lungo periodo dalla musica dal vivo, dal cinema e dal teatro. Il digitale può essere l’unico canale per continuare a diffondere cultura?

«Non sempre questo può accadere. Mi sono rifiutata di realizzare progetti unicamente in streaming. Temo che queste modalità possano impoverire e togliere qualità al nostro mestiere che ha necessità di addetti ai lavori, di luci ed amplificazioni giuste e soprattutto di professionalità. Inoltre spostarsi in un luogo fisico rende tutto questo un’esperienza totalizzante che profuma di libertà. Oggi vedo nel pubblico che viene a vedermi a teatro la gioia di potersi riprendere, con tutte le tutele di caso, un pezzo di vita»

Questa ritrovata normalità però è stata negata a chi non dispone, per scelta o per necessità della certificazione greenpass…La cultura può essere ancora di tutti?

«Non vorrei urtare la sensibilità di nessuno ma penso che sia azzardato parlare di limitazione di libertà e di tirannia. Si tratta semplicemente di salvaguardare la salute di tutti e di ridarci la possibilità di una vita che abbia una parvenza di normalità. Bisognerebbe chiedere a chi deve fornici la certificazione un accesso di modalità più semplice e accessibile a tutti».

Qual è stato l’impatto delle limitazioni imposte dalla pandemia sulla nostra vita?

«Il covid ha stravolto il mondo, ci ha radicalmente cambiati, il vaccino è una sperimentazione ma gli studi avevano un pregresso che ad oggi ci ha consentito di essere pronti. L’ accelerazione è stata favorita dalla volontà mondiale di agire contro il nemico…Posso capire le perplessità di chi non si è ancora vaccinato, ma oggi proteggere gli altri è diventato un dovere morale verso se stessi e verso gli altri a cui non ci si può sottrare».

A proposto di relazioni e dialogo, non sei presente sui social network…Come mai?

«Non critico chi utilizza i social ma personalmente non sono uno strumento in cui mi riconosco e ne temo le ricadute anche psicologiche su chi gli utilizza. Spesso ho avuto modo di confrontarmi con colleghi distrutti dalle critiche ricevute tramite mezzo social e anche nella nostra vita quotidiana questo approccio così feroce non ci fa dal bene. Il mio lavoro esige un’incontro fisico. Ciò che penso posso dirlo durante le interviste. Per me i social sono un terreno minato che non ho volontà di affrontare, vedo delle derive preoccupanti che sarebbe bene regolamentare».

SE NON POSSO BALLARE…Ispirato a IL CATALOGO DELLE DONNE VALOROSE di Serena Dandini

Le relazioni umane sono sempre più sublimate dall’interlocuzione tecnologica…Quali possono essere i rischi?

«Ho la sensazione che le tecnologie ed i social network possano diventare dei fini in sé e non strumenti utili per raggiungere degli obiettivi secondo cui è importante esserci a tutti i costi. I social possono diventare delle armi e non è detto che tutti sappiamo utilizzarle bene».

Dopo Dante Alighieri quali sono i tuoi prossimi impegni a teatro?

«Inizierò tra pochi giorni a lavorare per la direzione del Teatro Carcano di Milano, questo è un incarico che mi riempie di orgoglio, e poi spero di tornare sul palco con lo spettacolo “Se non posso ballare non è la mia rivoluzione”, fulminanti ritratti di donne che hanno scritto la storia del mondo ispirato a “Il catalogo delle donne” di Serena Dandini».

In questo spettacolo riesci a dare voce ad una donna al minuto…

C’è Martha Graham che fece scendere dalle punte e Pina Bausch che descrisse la vita danzando, Maria Callas con la sua voce immortale come immortale è il canto poetico di Emily Dickinson, Angela Davis che lottò per i diritti civili degli afroamericani, la fotoreporter laria Alpi,Marie Curie e tante altre. Entrano nel gran salone da ballo ciarlando e muovendo le vesti. Si aggirano come fossero, finalmente, felici tutte, per dirla con Elsa Morante che è lì con loro».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Lella Costa quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Pensare al Domani dopo questo periodo difficile che abbiamo attraversato è già un segno formidabile. Spero che si riesca a ridare un senso alle parole e ai gesti e che si riesca a ripensare positivo. Mi auguro che tutta la condizione di disagio, sofferenza e malattia che abbiamo provato diventi memoria e ricchezza di un patrimonio comune da non dimenticare».

Intervista Esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.