Il Maestro Giovanni Allevi è un esempio di rara unicità nel panorama della musica italiana che coniuga in uno stile personale ed inedito una genialità dirompente ed ineffabile, quella tipica dei sognatori più incurabili sotto il fuoco della vita quotidiana, capace di illuminare le nostre vite e le vie dell’Arte scardinando i luoghi comuni, portando nel godimento stesso dell’ascolto un linguaggio universale, ricco di emozioni, rappresentativo dell’esistenza in sé,  dei suoi sogni, dei suoi moti segreti ed i suoi bagliori più nascosti. Forte di questa sensibilità che ha portato il compositore ascolano ad incantare i migliori teatri del mondo dal Blue Note di New York passando per HKAPA Concert Hall di Hong Kong, giunge l’ ultimo album intitolato programmaticamente “Estasi“, un lavoro frutto di una ricerca carica di scrittura introspettiva, di sperimentazioni ed originali intuizioni melodiche e ritmiche sviluppate in undici tracce in cui l’ascoltatore è condotto per mano attraverso le molteplici emozioni dell’essere umano, fino alla più sublime: l’estasi. Ma non è tutto il compositore recentemente nominato ambasciatore dell’Earth Day European Network, firma della colonna sonora del COP26 di Glasgow con il brano “Our future” per la sensibilizzazione della tutela ambientale, è anche approdato in libreria con il nuovo saggio edito da Solferino intitolato: “Le regole del pianoforte. 33 note di musica e filosofia per una vita fuori dall’ordinario” in cui partendo dai concetti più semplici che hanno a che fare con lo studio della musica si elabora  un sistema di spunti e di consigli, utili per conoscersi meglio e per vivere meglio. Noi di Domanipress abbiamo avuto il piacere di ospitare Giovanni Allevi nel nostro Salotto Digitale per un’Intervista Esclusiva ricca di emozioni e di riflessioni sul presente, scoprendo senza filtri l’animo dell’artista, audace e fuori dagli schemi per necessità e istinto.

Partiamo dal titolo del tuo ultimo album, la poetessa Alda Merini affermava che per raggiungere l’estasi è necessario mettersi a nudo per conoscere il mondo..

«Mi interessa molto questo concetto, esaminiamo la parola èxstasis in greco antico significa letteralmente “stare fuori”,  uscire fuori dalla nostra dimensione per osservare in prospettiva. Durante la pandemia siamo stati tutti portati ad un allargamento degli orizzonti mentali verso nuovi orizzonti, passioni inesplorate ed intuizioni particolarmente distanti dal nostro quotidiano. A seguito di questa osservazione penso che il tema dell’estasi dovrebbe tornare nell’immaginario collettivo come un un argomento che vale la pena di approfondire, una dimensione dello spirito condivisa dalla collettività, proprio perché fisicamente siamo stati costretti da un’esperienza opposta e contraria. Siamo stati tutti reclusi senza possibilità di comunicare, muoverci ad abbracciarci. In questo stato non ti resta che elevarti ed immaginare…».

In uno stato di immobilità è possibile esercitarsi al raggiungimento di qualcosa di spiritualmente importante.

L’estasi è la fase più sublime dello stato dello spirito ma per raggiungerla dobbiamo esserne particolarmente predisposti e pronti per accoglierla».

Tu hai provato sulla tua pelle questa esperienza partendo dall’osservazione della statua di Santa Teresa D’Avila del Bernini  a seguito di un viaggio a Roma…Cosa ricordi di questa esperienza?

«Posso dirti che ho vissuto un episodio di quella che viene definita la sindrome di Stendhal, un profondo turbamento a seguito della visione di un’opera d’arte che comunica particolari emozioni. Ricordo che un anno fa intrapresi un viaggio verso Roma, colto da un intento puramente turistico e casualmente mi sono imbattuto nel opera di Santa Teresa D’Avila del Bernini introdotto da Padre Giuseppe che con estrema cura mi ha spiegato i significati nascosti che l’autore ci voleva comunicare. La statua come tutti sappiamo ritrae la giovane  Santa Teresa che è stata appena trafitta da  una lancia sostenuta da un un angelo e nel volto della santa è possibile osservare un’ espressione mista tra il  dolore, il piacere e lo smarrimento mentre l’angelo le sorride beffardo quasi a volerle dire che è impossibile essere immune dall’ amore. Queste sono riflessioni molto profonde che riguardano la nostra natura umana… Se ci pensi quante volte mettiamo da parte l’amore e non lasciamo che ci travolga perché abbiamo paura di perdere il controllo?».

Tu invece difronte a quella statua il controllo lo hai perso davvero…

«Ho iniziato a suggestionarmi anche a partire da queste considerazioni, ho avvertito un forte capogiro, il respiro che mi mancava e poi mentre tornavo in hotel ripensando a quel momento ho imboccato una strada in discesa ma  già sentivo quasi di non toccare terra…sono svenuto e l’ultima immagine che ricordo è quella di una giovane donna che sul marciapiede mi ha chiesto l’elemosina in inglese. Le mie capacità mentali erano già compromesse ho preso il portafoglio e le ho dato tutto quello che avevo comprese le ricevute dei taxi ma oltre questo non ricordo nient’altro. Ho riaperto gli occhi e mi sono ritrovato al centro di piazza Barberini sdraiato per terra su di un fianco con una costola rotta e dei passanti, a cui sono grato, che cercavano di aiutarmi a risollevarmi. Ero per terra in preda a delle visioni e non riuscivo a riprendere il controllo della realtà circostante. Era tutto surreale, è stata un’esperienza inaspettata che mi ha segnato».

Anche quando suoni al pianoforte l’impressione che restituisci è quella di un profondo distacco dalla realtà…questa volta perchè è stato tutto così diverso?

«Si, è vero sul palco vivo la musica con grande trasporto ma fortunatamente non in maniera così intensa da procurarmi  così di lei una frattura! (sorride) Il mio medico mi ha spiegato che son caduto sul mio stesso gomito e questo ha fratturato la  costola anche se non ho avvertito immediatamente dolore; il nostro corpo è una macchina meravigliosa, in quel momento sapeva di dover salvaguardare la respirazione quindi per evitare che che il dolore avrebbe bloccato la respirazione mi ha tutelato rilasciando delle endorfine che agiscono da anestetico naturale. Qualche minuto dopo il dolore è diventato lancinante».

Dal dolore è nata l’esigenza di trasformare un accadimento realmente accaduto in musica ed arte 

Sono sempre interessato alla realtà e partire da questo aspetto mi consente di essere me stesso mentre compongo, mi interessa poter offrire al pubblico un messaggio puro e sincero».

Di messaggi importanti in questo album ce ne sono diversi; il brano “Our Future” scelto come colonna sonora mondiale del ‘Earth Day Network  a Glasgow riflette sul destino del nostro pianeta…Per un mondo più equo e sostenibile quali sono i piccoli gesti che tutti noi dovremmo compiere nel nostro quotidiano?

«Ti ringrazio per questa domanda, sono stato davvero onorato di essere stato nominato ambasciatore dell’Earth Day European Network. I giovani attivisti hanno accolto con entusiasmo il brano e questo mi inorgoglisce. Secondo me non dovremmo però partire dalle piccole cose ma dalle grandi idee perché è necessario operare una rivoluzione culturale in grado di  scardinare una mentalità arretrata che ha messo il profitto a tutti i costi in cima alla scala dei valori dimenticando l’ambiente in cui viviamo; cambiata questa mentalità le piccole cose diventano una conseguenza naturale. Il nostro mondo iper tecnologico ed avanzato di cui tutti andiamo veramente sicuramente fieri  ci porta dei benefici ma è evidente che pone su ognuno di noi una una bolla di vetro e questo ci impedisce il contatto profondo con delle forze ataviche e direi quasi divine che da sempre percorrono come un brivido il cuore dell’umanità. I popoli antichi erano più saggi di noi perché creavano un contatto diretto con queste forze per il tramite della natura. Noi oggi dobbiamo fare dobbiamo scoperchiare questo, questa cappa e ritrovare quel rapporto con il nostro mondo che ci è stato sottratto, solo i bambini riescono ad essere ancora in connessione con questo tipo di approccio e non è un caso che a Glasgow così come nel resto del mondo siano state le nuove generazioni a farsi portatrici di un messaggio  ecologista che io ho voluto riassumere da un punto di vista  filosofico e artistico».

L’arte può anche essere uno strumento per non perdere questa sensibilità squisitamente umana…

«Certo soprattutto gli artisti e i poeti possono essere una guida per riappropriarsi di questa dimensione. Penso ad esempio ad Emily Dickinson, una bellissima ragazza di famiglia agiata che ha  passato tutta la vita in solitudine a contatto con la natura perché quello era l’habitat che ispirava la sua arte. Una sua poesia recita: “Scrivimi quante sono le note nell’estasi pettirosso nuovo  trai rami incantati quanti passetti fa la tartaruga quante coppe di rugiada beve l’ape viziosa”. Il poeta è colui che per definizione ci può raccontare di un infinito rispetto per il macrocosmo naturale che vibra di energia mentre l’uomo del progresso trascina i popoli nelle guerre oppure saccheggia e violenta il suo habitat dominato da sete di potere e di ricchezza».

Nel futuro c’è tutta la speranza dei giovani che possono sovvertire questo disequilibrio…sei fiducioso?

«A Glasgow abbiamo iniziato ad invertire la rotta, abbiamo messo un mattoncino e speriamo che questo diventi poi veramente un muro, guardando le nuove generazioni non posso non essere ottimista».

Nel percorso circolare del tuo ultimo album si arriva nell’antro dell’inferno con “Lucifer” il lato oscuro che alberga in tutti noi e che spesso è necessario affrontare con coraggio. Tu cosa hai scoperto guardando dentro il tuo “lato oscuro”?

«Ho ricevuto diversi commenti relativi al nuovo album e molti di questi sono dedicati proprio a “Lucifer” il più bello degli angeli che però ha perso il suo status ed è caduto dal cielo…spesso intorno a noi c’è la desolazione, una cieca impossibilità nel realizzare i progetti che contano, c’è il giudizio senza analisi, il pregiudizio e la cattiveria e spesso lottiamo per quella scintilla divina interiore che non si spegne mai. In realtà il dramma di Lucifero è quello di tutti noi ma qui subentra l’elemento sovversivo dell’album estasi che invece rappresenta la volontà di reagire e guardare oltre».

Quali sono gli strumenti per reagire?

«In questo momento siamo tutti soggiogati perché portati ad uniformarci a stereotipi piatti e banali, perseguiamo ideali di ricchezza, potere e successo sono tutti elementi a cui noi attenerci, questo avviene anche con l’ostentazione fine a se stessa dei social. Quando riusciamo a rompere questo meccanismo spezzando le catene dell’omologazione che torniamo ad essere semplicemente noi stessi ma questo è un lusso a cui si arriva con la consapevolezza e la conoscenza».

Nel tuo libro “Le regole del pianoforte” edito da Solferino parli del tuo rapporto con il successo e della tua capacità di non lasciarti sopraffare restando sempre coi piedi per terra. Come riesci ad avere una visione così lucidamente concreta anche dopo aver raggiunto traguardi di importanza mondiale?

«In realtà per me è un evoluzione naturale, dopo quasi trent’anni di carriera mi sono reso conto che esistono due tipi di successo il successo quello di chi è bravo a dare al mondo quello che il mondo andando incontro alle aspettative degli altri e quello di chi riesce a dare al mondo ciò di cui il mondo non sa ancora di aver bisogno. A me interessa più questo secondo obiettivo e penso alla grandezza del filosofo Nietzsche che scrisse i suoi testi più importanti chiuso in una camera di una pensione completamente sconosciuto da tutti, dimenticato senza che nessuno volesse minimamente interessarsi alla sua opera. Eppure parliamo di un genio della filosofia che ha anticipato i tempi, ha sorpassato le mode superando la moda del momento prendendosi il rischio di finire dimenticato in isolamento. Questa per me è la vera arte, la filosofia e il pensiero che davvero scavalca i secoli, tutto il resto è moda  che si arrotola su se stessa che crea dei grandi clamori ma  dopo una settimana già ci siamo tutti dimenticati il suo valore effimero. Nel libro scrivo che la prima strada è leggermente più comoda ma invito a seguire la seconda molto più complessa perché  è una strada in salita, una porta stretta che però conduce a qualcosa di immensamente più importante».

Tu hai perseguito la seconda strada costruendo una carriera solida che non è solo popolarità ma soprattutto contenuto. Quale consiglio ti senti di dare a chi si dirige su questa strada così difficoltosa?

«Vorrei abbracciare tutti gli incompresi, chi per via di una ricerca spasmodica  interiore ancora più profonda si allontana dalla superficialità che la società conformista ci chiede. C’è chi è relegato all’incomprensione e pensa che la mancanza di un riscontro numerico sia equivalente a una mancanza di valore ma non è assolutamente cosi. Oggi mi sentirei di dire: Viva gli incompresi! Ho supportato molti artisti di strada durante un programma di Raiplay intitolato “Allevi in the Jungle”, tra musicisti, giocolieri, clown e circensi, mi sono divertito a girare per le città più belle d’Italia, con l’intento di dimostrare che l’arte e il talento si nascondono dietro l’angolo».

A proposito di luoghi, tu sei stato protagonista sui palchi di tutto il mondo ma qual’è quello che ti è rimasto nel cuore?

«Non posso dimenticare il mio primo concerto a Napoli, il giorno del mio ventunesimo compleanno, davanti a un pubblico di cinque persone. Quella è stata un’esperienza che mi ha  profondamente segnato perché ho capito che la musica non è questione di numeri e grazie all’entusiasmo che ho ricevuto da quel pubblico così esiguo ho capito che un individuo è unico e irripetibile e a suo modo infinito. Oltre a questo non posso dimenticare un concerto tenuto  poco prima della pandemia nell’auditorium di Jiinan una città dove ho suonato per un pubblico costituito da soli bambini, è stato molto coinvolgente, quando suonavo dei passaggi ritmici più aggressivi loro si agitavano e li sentivo mentre quando suonavo pianissimo diventavano proprio silenziosi e attenti; poco prima che finisse il concerto si sono accalcati per scrutare le mie mani da vicino. Riuscire a entrare in contatto con il cuore dei bambini attraverso un concerto di un’ora e mezza di pianoforte mi è sembrato un regalo che la vita mi ha fatto e probabilmente tornerò in quel luogo…d’altronde si dice che si ritorna sempre dove si è stati bene».

A proposito di giovinezza, qualche anno fa sulle pagine di Domanipress ti sei raccontato in una confessione sulla tua adolescenza difficile, ci hai parlato di tuo padre così avverso alla tua passione per la musica. Oggi a fronte di tutti i  tuoi successi quella resistenza così forte è stata anche positiva?

«Ogni forma d’arte, ma anche in ogni forma di sviluppo del pensiero, è sempre un parricidio intellettuale siamo spesso chiamati a prendere le distanze da qualcosa che che per noi ha rappresentato qualcosa di importante. Ad esempio in filosofia questo coraggio puo’ essere rappresentato dal coraggio di Platone che ha creato una spaccatura nell’essere tra il mondo reale il mondo delle idee prendendo le distanze da Parmenide che era il suo maestro. I nostri genitori sono i nostri grandi miti, i nostri maestri ma noi per trovare la nostra strada dobbiamo avere il coraggio comunque di prendere le distanze e questa  frattura certe volte può essere anche abbastanza turbolenta ma necessaria. A chi si trova nella mia stessa condizione consiglio di percorrerla con coraggio, ne vale sempre la pena».

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani” Giovanni Allevi quali sono le tue speranze e le tue paure?

«Stiamo entrando in una nuova era, in un mondo più luminoso dove i protagonisti saranno “il femminile”, principio tenuto da parte per millenni e la natura. Per capire il mondo del Domani c’è un modo bellissimo, dobbiamo osservare il nostro universo attraverso gli occhi dei bambini».

Intervista Esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.