Per Anastasio, il cantautore rap doppio disco di platino vincitore di X Factor, è un momento di cambiamento, non solo artistico. Come nel più classico romanzo di formazione i dolori del giovane cantautore originario di Meta, in provincia di Napoli, sono diventati consapevolezze di un un giovane uomo, ormai adulto, che si confronta con la realtà leggendola con il supporto della letteratura e dell’arte spaziando da Charles Bukowski,al lo scrittore marchigiano Massimo Ferretti, passando per Baudelaire e i testi bilblici. Questi sono i temi di Mielemedicina il nuovo album che arriva dopo due anni di silenzio dal precedente disco di debutto “ATTO ZERO” e spariglia le carte utilizzando la metafora del miele sul bordo della tazza da cui bere la medicina del poeta latino Lucrezio per introdurci in un universo sonoro consapevole e costruito a partire dalla dimensione della musica live vantando anche due collaborazioni preziose quella del pianista Stefano Bollani e di Boosta il tastierista dei Subsonica. Ad aprire la strada che ha portato verso “MIELEMEDICINA” è stato il primo singolo “Assurdo”, pezzo in cui la chitarra è protagonista, un brano ricco di riferimenti autobiografici ( e al contempo una finestra sull’approccio alla vita dell’autore.
Il brano, che prende spunto dalla poesia di Charles Bukowski “La tragedia delle foglie” si sviluppa su due binari, due mondi storicamente opposti ma fortemente correlati come l’amore e il dolore mentre Il nuovo singolo “E Invece” risolve quel dissidio interioriore e la bomba inesplosa della rabbia tipica della poetica del rapper che sul palco di Sanremo ha esordito con il brano “Rosso di rabbia”. Noi di Domanipress abbiamo ospitato Anastasio nel nostro Salotto Digitale per parlare con lui di questa nuova evoluzione umana ed artistica con lo sguardo rivolto verso il presente ed il futuro di una generazione che nonostante le avversità non smette di lottare per conquistare la felicità.

Partiamo dalla genesi dell’album “Mielemedicina” anche in questo nuovo capitolo musicale hai lanciato il cuore oltre l’ostacolo con una serie di testi che raccontano di un’intera generazione. Com’è stata un po’ la genesi di questo tuo nuovo lavoro?

«È un album nato in un paio di anni di vissuto intenso. Posso dirti che tutto ha preso forma in maniera autonoma, non l’avevo in mente nella sua forma compiuta. Tutto l’album è un lavoro costruito mettendo insieme e selezionando con cura tutto ciò che ho registrato in un paio d’anni. Mi sono reso conto che “Mielemedicina aveva preso una sua forma organica, quindi non è rimasta una semplice insalata di pezzi ma c’è tutto un filo rosso che lega queste nuove produzioni».

Una delle tematiche ricorrenti che hai portato anche nel tuo primo brano a X-Factor, è la “rabbia interiorizzata” che fa parte di una generazione. Nell’album precedente sulla copertina eri ritratto con un pugno ricevuto in pieno volto. In questo momento si parla molto del famoso pugno di Will Smith. Tu cosa pensi al riguardo?

«Secondo me è un gesto sicuramente da condannare, ma che ha intrattenuto e fatto discutere tutto il mondo. Un gesto esagerato, anche perché trovo che la moglie di Will Smith da pelata stia molto bene, anzi, la trovo bellissima. E soprattutto nessuno si è mai sognato di picchiare qualcuno per una battuta su un uomo calvo, quindi sto dalla parte dei calvi!».

A proposito di gender equity effettivamente, però esiste ancora il tabù della calvizie nel mondo femminile…

«La calvizie femminile è geneticamente più rara. Quelle Non era dovuta per fortuna a una malattia rara, e in fondo Jada Pinkett è bellissima anche senza capelli. Un gesto ridicolo, secondo me, quello del marito. Poi non è una novità che Will Smith sia così impulsivo. Ricordo che aveva sollevato un polverone e in occasione di un tradimento della moglie ha alimentato il gossip piangendo in televisione. Diciamo che la moglie fa esplodere la vena emotiva del caro Will».

La tua vena emotiva invece esplosa con “Rosso di Rabbia” è stata interiorizzata. È cambiato il suo approccio alla vita, si nota anche dai testi…non è così?

«Si, ma non c’è stato un cambiamento radicale, anzi direi che è stato lento e graduale. Può darsi che io sia maturato, perché alla fine ho capito che le stesse condizioni si possono esprimere con rabbia ma anche in altre maniere, senza perdere di efficacia. La rabbia è un sentimento tipico dell’adolescenza, lo definirei un sentimento protettivo. A un certo punto però era diventata una posa. In “Rosso di rabbia” denuncio proprio questo. È il pezzo che il pubblico reputa più rabbioso in realtà si scaglia contro certi atteggiamenti lesivi per se stessi e gli altri».

La generazione dei millennials si confronta con problemi inaspettati nel brano correre canti: In quarta elementare m’hanno detto di sognare /Perché il mondo stava pronto per risorgere /E sarebbe stato mio/ dovevo solo correre/Voglio delle scuse ed il rimborso danni. Tra crisi economica, pandemia ed un imminente scontro mondiale non è andata proprio così…

«Sì, ma non c’era bisogno di una pandemia o di una guerra per rendersi conto che esiste un disagio. Non che non ci siano stati momenti difficili per altre generazioni in altre forme, magari non c’è stata una problematica economica: si riusciva a formare famiglia, si costruiva una carriera, però a loro modo hanno affrontato problemi anche le generazioni precedenti. Penso per esempio alla droga e agli anni di piombo che le generazioni di oggi invece conoscono fortunatamente poco. Noi non abbiamo ancora la paura di una bomba. Sicuramente la mia generazione vive ad oggi uno spaesamento e una mancanza di punti di riferimento, ma anche in relazione ai sogni per il futuro, perché ci si arrende con molta facilità».

Quali sono le paure che preoccupano la nuova generazione?

«La paura di non realizzarsi nella propria carriera, perché in Italia non c’è spazio, i posti sono tutti occupati dalle generazioni precedenti. E così l’unica soluzione è emigrare e rivolgere lo sguardo all’estero».

Nel tuo caso invece la carriera musicale è stata una via maestra da seguire…

«Mi sarebbe piaciuto diventare ricercatore, ero iscritto all’università alla facoltà di Agraria ma in fondo, sapevo che sarebbe stato un sogno impossibile, perché avrei avuto uno stipendio da fame. Sarei entrato nell’ambiente universitario a farmi sfruttare da qualche professore appassionato, sempre se mi fosse andata bene. Insomma, l’Italia  è un paese dove si può soltanto aspettare e farsi cullare da questo vento gelido, anzi, lo definirei tiepido, dove tu stai fermo e non devi realizzare niente. Devi lottare intanto per ottenere due spicci per pagare l’affitto. Magari questo spaesamento a livello spirituale ce l’hanno in tutto il mondo, però in Italia abbiamo una mancanza di una prospettiva che è diventata patologica».

La musica quindi per te è stata anche uno strumento per combattere la crisi interiore. Nell’ultimo album “Mielemedicina” c’è un rimando particolare al poeta latino Lucrezio che teorizzava di mettere del miele sul bordo della tazza per assumere la medicina in maniera più agevole. Sulla copertina dell’album sei cosparso di miele…Si stratta di Photoshop?

«No, è stata un’esperienza reale».

Cosa puoi raccontare di quest’esperienza così “gustosa”?

«Non era vero miele, prima di tutto, ma sciroppo di glucosio che ha la stessa consistenza del miele. È molto più facile da pulire e soprattutto è molto più economico. Se fosse stato vero miele, sarebbe stato un vero spreco: le povere api si sono industrializzate per donarci un simile tesoro….mi sembrava irrispettoso utilizzarlo in quel modo. È stata comunque un’esperienza interessante, poi con una doccia è venuto via tutto».

In questo momento storico qual è il miele che ci viene propinato per poi ingoiare la medicina amara?

«La metafora per me è soltanto musicale. Il miele è la medicina in sé, visto che ha un potere antinfiammatorio. Io a volte lo assumo puro per curare il maldigola. E poi aiuta anche a sopportate la medicina amara. Il miele metaforicamente per me è la musica che riesce a essere un veicolo privilegiato, riesce a traghettare un messaggio amaro. A volte anche senza che l’ascoltatore se ne accorga».

Oltre alla metafora mutata da Lucrezio nell’album ci sono diversi riferimenti letterari da Charles Bukowski, Massimo Ferretti, passando per Baudelaire e i testi biblici; Nel brano “Babele”, parli della lingua e delle parole: la nostra è una lingua che si presta a sfumature  musicali diverse…

«L’italiano è una lingua che suona bene, è musicale nel parlato. Presenta però una serie di problemi nella musica perché dal punto di vista metrico: abbiamo una sovrabbondanza di parole piane, cioè con l’accento sulla penultima, mentre in musica servono le parole tronche, ovvero, con l’accento sull’ultima come per esempio pietà e verità. Ecco il motivo per cui nella musica italiana ascolti spesso io e te, tu e me, perché, tu senza un perché e io con te, tu con me. Si presenta proprio come un’esigenza. Comunque, detto questo, la musica italiana è la mia arma quindi mi impongo di  utilizzarla in maniera efficace, più che in modo grammaticalmente corretto. Se posso, preferisco commettere un errore di grammatica, ma esprimere qualcosa di più a livello di emozione. Non sono un purista della lingua Italiana, però ritengo che sia  una lingua da preservare  in altre sedi, ma non in campo musicale. Io non sono l’Accademia della Crusca, per quanto rispetti il loro lavoro e per quanto provi a parlare l’italiano nel modo più corretto possibile mi prendo la libertà di concedermi delle licenze».

Nel testo di “Babele” si riscontra una mancanza di comunicazione. Ultimamente è come se le parole  avessero perso di significato, come se si fossero svuotate…

«Questo è un discorso di livello più alto, io posso anche parlare un italiano perfetto grammaticalmente e poi non riuscire a comunicare in maniera rilevante, perché le mie parole sono vuote e perché non ci sono intenzione e magia. In questo caso le parole sono state trasformate in rigidi gusci, con cui esprimere  concetti in cui neanche ci si crede. Così i fonemi diventano degli idoli, degli spettri di quella Babele. La parola spettro di qualcosa, una volta corrispondeva al reale. Ad esempio dicevo la parola “albero” e lo indicavo. Oggi invece ci sono mille parole astratte che creano a loro volta delle piccole realtà, ma non sono realtà tangibili in carne e ossa: non sono neanche pura idea, ma sono fantasmi impalpabili…».

A proposito di libri, qual è il tuo romanzo preferito? 

«Ce ne sono diversi non saprei segnalartene uno solo. il libro che mi ha accompagnato di più e che ho riletto in varie fasi della mia vita è “Opinioni di un clown” di Böll, perché mi ha insegnato cosa vuol dire essere un ribelle dell’anima, un disadattato, figlio di borghesi che sceglie di fare il clown in una Berlino del Dopoguerra. Il suo essere clown fa emergere tutte le ipocrisie della società ed è ancora oggi un tema molto attuale».

L’ultimo libro che hai letto invece?

«Da poco ho letto un librone incredibile che è Shantaram di Gregory David Roberts. Si tratta di un viaggio, un’avventura di mille pagine. Io nella mia vita non ho letto molta narrativa, anche se mi piace. Questo libro mi ha davvero colpito tantissimo».

Torniamo alla tua produzione artistica. Dopo X Factor sei stato travolto da dinamiche intense e dal successo del grande pubblico…Quanto ti ha cambiato? Hai mai avuto la sensazione di esserti tradito in favore dei riflettori?

«Mi ha plasmato anche involontariamente perché ogni dettaglio che accade nella vita alla fine cambia qualcosa di me. Da qui invece a dire che mi sono tradito, allora penso proprio di no. Continuo a scrivere musica con lo stesso obiettivo. Poi, ovviamente, incontrando un grande pubblico e avendo anche l’umana esigenza di capitalizzare qualcosa, magari mi sono anche più sciolto, per esempio, sulla melodia. Ma non è una cosa di cui vergognarmi, anzi credo che abbia dato valore aggiunto al mio stile».

Il Talent show è stato la chiave di questo cambiamento?

«Si sono arrivato  a questa consapevolezza dopo x factor, ma magari l’avrei maturata ugualmente anche senza parteciparvi. Espormi televisivamente mi ha dato più occasioni che altro. Le differenze non sono tanto nelle mie scelte, ma nelle persone che ho conosciuto, nelle influenze che ho ricevuto».

 A proposito di scelte, influenze e decisioni, qual è stato l’evento che ti ha fatto comprende che la musica doveva essere la tua strada e che volevi essere un cantautore?

«Io ho vinto X-Factor, ma non volevo fare musica nella vita o almeno in quel momento non era il mio obiettivo primario e la vittoria mi ha fatto cambiare idea. Facevo musica e mi piaceva, augurandomi anche un successo, prima o poi, ma intanto studiavo e volevo seguire altre strade. Sono una persona molto prudente, quindi non avevo il coraggio di  proiettarmi al cento per cento su questo sogno che da una parte poteva andare bene, ma dall’altra anche fallire. È stato il riscontro del pubblico a farmi scegliere la strada della musica, ho capito che potevo veramente realizzare qualcosa che potesse piacere agli altri. Questo mi ha dato la motivazione per realizzare questo sogno e di poter vivere della mia passione».

Ci sei riuscito, tanto da ottenere un contratto con una Major,scalare le classifiche e proporre il tuo modo di essere. Nel tuo ultimo singolo canti di fuggire da un dolore assurdo. Ma alla fine qual è questo dolore da cui tenti di liberarti?

«Fuggo da qualsiasi dolore, non posso distinguerne uno in particolare. Il dolore è sempre assurdo, può essere la sofferenza per un amore, la solitudine, ma anche qualsiasi altro dissidio esistenziale. Non importa quale sia, l’importanza è che si innesca sempre una reazione di fronte al dolore. Spesso si decide di fuggire, però il prezzo da pagare è sempre alto, perché annullare un dolore significa scegliere il vuoto invece della vita. Il vuoto ha effetti collaterali e finisce per uccidere anche l’amore».

E tu oggi da cosa ti senti di fuggire?

«Non saprei, a volte, ci sono delle situazioni e degli errori che ho commesso e che mi mettono con le spalle al muro, di fronte ai quali io vorrei solo scappare, ma oggi posso dirti di essermi fermato. “Assurdo” è un pezzo che ho scritto a posteriori, non avrei mai potuto scriverlo prima di aver provato a riprendermi il cuore».

A proposito di cuore e di colori è in uscita anche il vinile di “Mielemedicina” corredata da una  copertina è creata da un maestro fumettista. Che rapporto hai con il supporto analogico?

«Posso dirti che non sono un collezionista di vinili, perché non possiedo un giradischi, visto che sono sempre in giro ed è un oggetto molto pesante da portarsi dietro e lo trovo poco pratico. Però, sicuramente mi affascina molto e quindi credo che a breve rimedierò».

Nell’album racconti di te stesso in maniera diretta. Se  dovessi scegliere un solo brano che fotografa esattamente il momento in cui ti trovi adesso, quale sceglieresti? 

«Sono tutti dei pezzi attuali in questo momento. Non li sento distanti. Forse ti direi che la canzone “Magari” mi rappresenta più delle altre».

 Perché  proprio “Magari”?

«Fotografa un po’ la mia situazione, perché è un pezzo che si relaziona molto alla società attuale. Anche se non sembra, nel pezzo c’è un po’ di denuncia rispetto ad alcune tematiche a cui tengo molto».

Sei pronto a partire in tour: cosa possiamo aspettarci da Anastasio live 2022?

«Partirò in tour con la band. Sarà un live molto suonato e poi io cercherò ovviamente di portare qualcosa in più. Di stabilire una connessione con il pubblico, non solo seguendo i brani che tutti conoscono, ma regalando qualcosa che ovviamente non svelerò fino alla fine…».

Cosa puoi anticiparci?

«Sto preparando un inedito. Un regalino, diciamo così, a cui tengo molto

Come ultima domanda parafrasiamo sempre il titolo del nostro magazine e chiediamo come vede il “Domani”  Anastasio quali sono le sue speranze e le sue paure?

«Il Domani recente probabilmente sarà problematico, però nel futuro prossimo credo che prima o poi si dovranno risvegliare i cuori e i cervelli. Sono entusiasta del futuro dell’umanità, sono forse meno entusiasta del mio futuro ma ritengo che non tutti i mali vengono per nuocere. Sono convinto che prima o poi assisteremo ad una rinascita, lo auguro per me e per tutti».

Intervista Esclusiva a cura di Simone Intermite

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Direttore editoriale del portale Domanipress.it Laureato in lettere, specializzato in filologia moderna con esperienza nel settore del giornalismo radiotelevisivo e web si occupa di eventi culturali e marketing. Iscritto all’albo dei giornalisti dal 2010 lavora nel campo della comunicazione e cura svariate produzioni reportistiche nazionali.