Il buio, poi la luce”: Marco Mengoni e il coraggio di smettere di compiacere tutti

Certe volte, la rivoluzione non ha bisogno di slogan. Non arriva con dichiarazioni clamorose o con comunicati stampa. A volte, arriva così: con una parola sussurrata, quasi gettata lì, come se nulla fosse. E invece è tutto.
“Buio.”
Lo ha detto Marco Mengoni, con la voce di chi non vuole spiegare ma solo esistere. Nessun dettaglio. Nessuna giustificazione. Nessun racconto a effetto.
E poi, il silenzio. Quel silenzio pieno, tondo, che sa di verità.

Da quel momento in poi, è stato il pubblico a riempire gli spazi vuoti. Qualcuno ha pensato a un lutto, a una madre perduta troppo presto. Qualcun altro ha parlato di battaglie interiori mai del tutto vinte, di identità, di coming out mai fatto del tutto. Altri ancora hanno visto la stanchezza, quella profonda, che a un certo punto ti afferra quando sei troppo visibile per essere autentico, troppo amato per essere vero.

Ma forse, il buio era un’altra cosa.
Era quel punto preciso in cui smetti di riconoscerti nelle versioni che ti hanno cucito addosso. Quelle che ti stavano anche bene, per carità. Quelle che ti applaudivano tutti. Ma che non eri tu.
E lì succede qualcosa. Non ti trasformi, non ti reinventi.
Ti liberi.

Da quel momento, Mengoni smette di chiedere il permesso. Sale sul palco con un corsetto – non come un gesto provocatorio, ma come un’estensione naturale del corpo. Un corpo che racconta, che non si vergogna più, che non ha paura. Che ha capito, forse per la prima volta, che la bellezza non deve chiedere consenso.
Che il genere, il pudore, le aspettative altrui sono prigioni mentali da cui si può – e si deve – evadere.

C’è chi lo ha accusato di ostentare. Di “esagerare”.
Ma la verità è che non sopportano la sua assenza di paura.
La libertà, quando è piena, fa rumore. E riflette.
Mengoni, oggi, è uno specchio spietato per chi non ha il coraggio di essere sé stesso. Per chi indossa ancora abiti imposti, sorrisi finti, identità che fanno comodo a tutti tranne che a chi le porta.

La sua è una nudità nuova. Non del corpo – quella non fa più scandalo – ma dell’anima. Una nudità emotiva, radicale, politica.
Perché salire su un palco senza difese, in un mondo che ti chiede solo performance, è un atto rivoluzionario.

E allora sì: il buio c’è stato. È passato. Ha scavato, ha tolto, ha fatto male.
Ma ora c’è la luce. Troppa per essere ignorata. Troppa per chiudere ancora gli occhi.
E lui, Marco, non la usa per brillare da solo.
La offre a chi è ancora lì, fermo davanti alla soglia, con le mani tremanti.

Perché la libertà, quando esce dal buio, non torna più indietro.
Non si scusa. Non si traveste. Non si spegne.

Si mette al centro. E canta.

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Stefano Germano, laureato presso l'IULM, è un appassionato di TV e cultura moderna e new media è sempre alla ricerca delle storie più intriganti e delle tendenze culturali del momento.