C’è stato un momento in cui tutto si è fermato. Abiti da gala, miliardari della Silicon Valley, champagne francese, pareti di orchidee bianche e una luce calda che accarezzava il mare. Poi, il silenzio. E la voce. Quella voce.
Durante il matrimonio blindatissimo di Jeff Bezos e Lauren Sánchez, tra star hollywoodiane e personalità del potere mondiale, a incantare gli ospiti è stato Matteo Bocelli, classe 1997, che ha portato il cuore dell’Italia in una delle cerimonie più esclusive dell’anno.
Non un’esibizione di maniera. Ma un gesto preciso, simbolico, come se quel canto sussurrasse: sono qui, e questa è la mia voce. Non quella di mio padre, ma la mia.
E in effetti, nonostante il cognome pesi come una sinfonia, Matteo ha deciso da tempo di suonare la sua propria partitura. In una video-intervista a Domanipress, racconta con sincerità il momento della scelta:
«Sì, c’è stato un momento determinante in cui ho scelto di intraprendere la carriera musicale come mia decisione personale. È stata una scelta basata sulla mia volontà ferma e una profonda passione per la musica».
Il suo primo album, “Matteo”, è una dichiarazione d’identità. Dodici brani – di cui sette in inglese – che raccontano un giovane uomo in cerca di equilibrio tra il bel canto che ha respirato in casa e le influenze internazionali che ha scelto di abbracciare.
Un lavoro raffinato, prodotto tra Londra, Los Angeles e Roma, che include collaborazioni di altissimo profilo, tra cui Ed Sheeran:
«La mia collaborazione con Ed è un esempio tangibile di come ho cercato di fondere la mia visione artistica con quella di artisti straordinari. Mi ritengo molto fortunato per aver avuto queste opportunità di crescita non solo artistica».
Il timbro è delicato, mai forzato. Le melodie si muovono tra pop orchestrale, ballate romantiche, incursioni nel soul e nel cantautorato. Matteo non urla, non esibisce: racconta, accompagna, emoziona.
È l’anti-popstar in un’epoca in cui l’eccesso è la regola.
E poi c’è lui, il gigante silenzioso che gli ha insegnato la grazia: Andrea Bocelli.
«Mio padre è una fonte inesauribile di ispirazione e sostegno sia nella mia vita personale che nella mia carriera musicale. Lavorare con lui è un privilegio, e ho avuto la fortuna di apprendere da lui non solo come artista ma anche come uomo. La sua presenza nella mia vita ha influenzato profondamente la mia passione per la musica e la mia dedizione all’arte», confessa con tenerezza.
Ma nonostante l’amore e il rispetto, Matteo non vive di eredità. Vive di scelta. Di una libertà guadagnata con lavoro, studio, pazienza e la volontà – rarissima – di non cercare scorciatoie.
Anche per questo, l’invito a cantare al matrimonio di uno degli uomini più ricchi del pianeta, non è solo una vetrina, ma un simbolo.
Quella voce ha attraversato oceani, ma affonda le radici nella campagna toscana, tra ulivi, silenzi, partiture e albe di provincia.
Oggi Matteo è in tour, ha una fanbase in crescita, progetti cinematografici in vista e un piede in due mondi: quello della musica colta e quello della contemporaneità più autentica. È ancora all’inizio, ma già proiettato in una dimensione globale.
Non urla. Non si impone. Ma canta. E lo fa da uomo libero, come lui stesso afferma nel titolo dell’intervista:
“La musica è il mio atto rivoluzionario di libertà.”
E in fondo, forse, non c’è dichiarazione d’amore più bella.