Gen Z, le nuove dipendenze invisibili: pillole, like e adrenalina digitale. Dentro la generazione che cerca sollievo istantaneo

Non servono più bottiglie o sigarette per riconoscere una dipendenza. Oggi, tra gli adolescenti e i ventenni della Generazione Z, le catene sono spesso invisibili: un click, un’app, una boccata di vapore alla menta. Un mondo dove l’ansia si placa con un “tap” e il silenzio viene riempito da una playlist infinita.

Secondo gli ultimi report nazionali sul benessere giovanile, cresce il numero di ragazzi che fa uso di psicofarmaci senza prescrizione, che gioca d’azzardo online o che svapa compulsivamente credendo di aver smesso di fumare. È la fotografia di un disagio nuovo: non esplosivo, ma continuo, che si muove nel perimetro del controllo e dell’apparenza.

“Le nuove dipendenze non fanno rumore,” spiega lo psicologo comportamentale Riccardo Ferri, autore di uno studio sulle condotte compulsive digitali. “Si manifestano come gesti piccoli, rituali quotidiani: una sigaretta elettronica dopo la scuola, una puntata sullo smartphone, una goccia di ansiolitico per dormire. È l’illusione di calmarsi mentre ci si disconnette da sé stessi.”

Psicofarmaci “fai-da-te”: il sollievo rapido che anestetizza

Dalla tachicardia all’ansia da prestazione, fino all’insonnia: cresce la tentazione di curarsi da soli. Compresse condivise “in prestito”, gocce ereditate da un parente, consigli trovati su TikTok. È il nuovo autocontrollo chimico, dove la sofferenza viene silenziata prima di essere capita.
“L’errore — racconta Ferri — è credere che la serenità sia un interruttore. Ma ogni volta che si spegne un sintomo senza ascoltarlo, si perde un pezzo della propria bussola emotiva.”

L’azzardo travestito da intrattenimento

Non ci sono più solo casinò o sale slot. Oggi l’azzardo entra in tasca, camuffato da app e giochi interattivi. Fantasy sport, micro-scommesse, roulette virtuali con grafica accattivante: il rischio diventa parte del divertimento.
“Non è il denaro a creare dipendenza, ma il senso di controllo che si crede di avere,” spiega Ferri. “Un click che promette di farti vincere qualcosa quando, in realtà, ti fa solo perdere la percezione del tempo.”

Lo svapo come accessorio di identità

Per molti adolescenti, la sigaretta elettronica non è una dipendenza, ma uno status: un oggetto da mostrare, da fotografare, da condividere. È discreta, aromatica, “pulita” — ma resta una forma di assuefazione.
“Lo svapo è l’abbraccio invisibile dell’ansia. È estetico, socialmente accettabile e persino profumato. Ma dietro quel vapore resta lo stesso schema di dipendenza: respirare per allontanare la tensione.”

Le dipendenze senza sostanza: like, gaming e controllo

C’è poi la frontiera più subdola: quella digitale. La Gen Z vive costantemente connessa e per molti il confine tra passatempo e ossessione si dissolve. Ore a scorrere video, sfide su TikTok, gaming notturno, messaggi compulsivi.
“Ogni notifica è una micro-dose di dopamina. È un sistema di ricompense perfetto: non devi pagare, ma offri il tuo tempo e la tua attenzione. La mente si abitua a cercare lo stimolo, e quando manca, arriva il vuoto.”

La dipendenza come linguaggio del tempo

Perché tutto questo accade adesso? Perché il mondo adulto è diventato una palestra di performance. Genitori stressati, insegnanti sovraccarichi, social che impongono una felicità permanente. I ragazzi reagiscono così: cercano scorciatoie per non sentire la fatica di vivere.
“La vera emergenza non è la sostanza, ma la solitudine,” conclude Ferri. “Quando nessuno ti insegna a gestire l’ansia, impari a sopprimerla. Ma il dolore ignorato torna sempre, solo con un nome diverso.”

Oltre il giudizio: la cura dell’ascolto

Uscire dalle nuove dipendenze non significa proibire, ma educare all’attesa. Riappropriarsi del tempo, imparare a tollerare l’incertezza, riscoprire la noia come spazio creativo.

“Non serve togliere lo smartphone o bandire lo svapo,” dice Ferri. “Serve restituire ai ragazzi un linguaggio emotivo, un luogo dove le fragilità non siano vergogne ma strumenti di conoscenza. Solo allora la dipendenza perde fascino.”

Dietro ogni rituale compulsivo della Gen Z non c’è solo debolezza, ma una richiesta di contatto, un bisogno disperato di sentirsi vivi. E forse, per guarire davvero, non servono nuove regole: serve una nuova gentilezza.

Articolo precedenteGardaland Resort protagonista del nuovo film di Alessandro Genovesi: una favola “sottosopra” tra emozioni, risate e magia
Articolo successivoIva Zanicchi tra orgoglio e leggerezza la confessione a Domanipress ”Sono una pigra vera, il mio corpo lo è ma la mente no!”
Slovena d'origine ma Milanese d'adozione, ama tutto ciò che è letteratura e gioca con le parole e le emozioni. Laureata in lingue e culture internazionali i libri ed un bicchiere di vino rosso sono la sua migliore compagnia.