Nel silenzio ovattato dei padiglioni del Salone del Mobile 2025, la luce non solo torna protagonista: detta il ritmo, scrive lo spazio, scolpisce l’atmosfera. È tornata Euroluce, la biennale che reinventa il modo in cui vediamo – e sentiamo – gli ambienti che abitiamo. Ma dimenticatevi l’idea di una semplice esposizione: quello che accade qui è un viaggio sensoriale nel futuro della luce come linguaggio, come gesto, come emozione.
Immersi volutamente nell’oscurità, i visitatori si muovono tra installazioni che brillano come costellazioni: veri e propri teatri di luce, dove la scenografia non è che l’eco della tecnologia più evoluta. A guidare il percorso non è la vista, ma la meraviglia. Le nuove soluzioni sono modulari, spesso minimali, pensate per sparire nella struttura o per emergere con eleganza assoluta. Il messaggio è chiaro: “less is more”, ma solo se quel “less” sa accendere la poesia.
C’è una parola che domina su tutte: sostenibilità. Nei materiali – vetri riciclati, legni rigenerati, metalli rifusi – quanto nei concetti. Il design non è più ornamento, ma sostanza, principio originario. E poi c’è la tecnologia invisibile: sensori, sistemi domotici, scenari programmabili che si adattano ai gesti, agli orari, persino agli umori. La personalizzazione non è un plus, ma un diritto: si può regolare l’intensità, scegliere i colori, seguire i ritmi del giorno e della notte. La luce non è più un’interruttore: è benessere, cura, presenza empatica.
E non mancano le grandi firme. Le riedizioni fanno sognare: Gae Aulenti, Ernesto Gismondi, Vico Magistretti, Ettore Sottsass, Tobia Scarpa, Joe Colombo. I loro nomi tornano a illuminare la scena, ma con occhi nuovi. Le loro icone si ripresentano come esercizi di geometria poetica, dove forme pure si scompongono e si ricompongono in costellazioni luminose. Le superfici riflettono, i piani si moltiplicano, ogni pezzo è un piccolo universo.
Poi c’è chi scrive nuove pagine. Come Michael Anastassiades, che con Linked per Flos crea un sistema in vetro ispirato alle catene viste in una chiesa siciliana: si monta con un gesto, si accende con un’idea. O Erwan Bouroullec, che con Maap plasma una lampada che respira: il rivestimento in Tyvek si piega, si stropiccia, si modella. È organico, sempre diverso, sempre vivo.
E la magia non finisce qui. Con Grammoluce di Martinelli Luce, basta appoggiare una pallina di vetro su un telo elastico per accendere l’incanto: la luce si attiva, si modula, danza. O come la stele vitrea di Arnaldo Pomodoro per Venini, che si erge come un monolite di luce e memoria. Un’opera d’arte, più che un elemento d’arredo.
In mezzo a tutto questo, la poesia del vetro muranese torna a vibrare con Barovier&Toso, mentre Lasvit ci porta “Soaked in Light”: un’installazione sensoriale in cui luce e acqua dialogano, si rincorrono, si fondono. Splash di Martin Gallo evoca stagni, piogge, fiumi. Un’immersione liquida nel concetto stesso di benessere visivo.
E l’outdoor? Anche lì la rivoluzione è silenziosa ma radicale: le nuove luci non invadono, si mimetizzano, diventano parte del paesaggio. Parlano il linguaggio della natura, ne seguono il respiro.
Euroluce 2025 non è una mostra: è un’esperienza di connessione emotiva tra design, tecnologia e umanità. Una promessa: ogni raggio può diventare racconto, ogni riflesso un’emozione. E in un mondo sempre più veloce, questa luce ci chiede una sola cosa: fermarci, e guardare.