Un’interruzione di pochi minuti può compromettere mesi di lavoro, per questo la continuità operativa non è più un’opzione: è un imperativo strategico. Attacchi ransomware, guasti infrastrutturali, errori umani, eventi naturali. Gli scenari di crisi sono tanti, e spesso imprevedibili. È qui che entra in gioco il Disaster Recovery Plan (DRP): non solo una semplice procedura tecnica, ma una vera e propria ancora di salvezza per ogni organizzazione che voglia tutelare il proprio patrimonio informativo e garantire resilienza.
Ma cosa rende un piano di disaster recovery realmente efficace? E perché sempre più aziende italiane – dalle PMI ai grandi gruppi – lo considerano un investimento prioritario in ottica di business continuity? Scopriamo insieme di più a riguardo.
Cos’è un Disaster Recovery Plan (DRP)
Un Disaster Recovery Plan è un documento strategico e operativo che definisce in modo chiaro e dettagliato come un’azienda può ripristinare sistemi IT, infrastrutture e dati in seguito a un evento critico che ne compromette la funzionalità. L’obiettivo è ridurre al minimo i tempi di inattività e le perdite economiche, garantendo la continuità delle operazioni e la tutela degli asset aziendali più sensibili.
Non si tratta di un semplice elenco di procedure tecniche, ma di un vero e proprio piano d’azione multidisciplinare che coinvolge tecnologia, risorse umane, governance e processi. Il DRP è un pilastro fondamentale della più ampia strategia di Business Continuity Management (BCM).
Le componenti essenziali di un DRP efficace
Per essere realmente utile, un piano di disaster recovery deve essere costruito su basi solide. L’analisi del rischio e l’identificazione delle minacce sono il primo passo: serve capire cosa può andare storto, in quali condizioni e con quali impatti. Da qui si passa alla definizione degli asset critici (dati, server, applicazioni, servizi), per stabilire le priorità di intervento.
Il cuore del DRP è la strategia di risposta: come vengono gestiti l’interruzione e il recupero dei sistemi, con indicazione di responsabilità, tempi obiettivo di ripristino (RTO) e tolleranza alla perdita di dati (RPO). Seguono i protocolli di comunicazione, le procedure di escalation, il coinvolgimento di fornitori esterni e, soprattutto, la predisposizione delle risorse necessarie – server di backup, soluzioni cloud, copie offsite.
Cosa copre un Disaster Recovery Plan
Un DRP ben progettato prende in considerazione una vasta gamma di scenari di crisi, dai più frequenti ai meno probabili. Si va dai classici attacchi informatici, come malware, ransomware e data breach, ai guasti hardware o software improvvisi, fino a eventi fisici come incendi, allagamenti, blackout elettrici o disastri naturali. Non mancano le situazioni causate da errore umano o da una gestione inadeguata delle risorse IT.
Un piano efficace è in grado di attivare contromisure adeguate in tempi rapidi, indipendentemente dall’origine della minaccia.
Backup e Disaster Recovery: non sono la stessa cosa
È fondamentale chiarire un equivoco diffuso: il backup non è un piano di disaster recovery. Il backup consiste nella copia e conservazione di dati e configurazioni, mentre il DRP stabilisce come e in quanto tempo quei dati saranno ripristinati e resi operativi in caso di interruzione.
Un’azienda può avere backup impeccabili ma non essere in grado di rispondere in modo efficace a un disastro, se non ha previsto una strategia di recupero completa, testata e scalabile.
Perché ogni azienda dovrebbe avere un DRP
I vantaggi di un Disaster Recovery Plan sono concreti e misurabili. Innanzitutto, permette di limitare l’impatto economico di un’interruzione, evitando perdite di fatturato, danni reputazionali o sanzioni legate al mancato rispetto delle normative (come il GDPR). In secondo luogo, aumenta la fiducia degli stakeholder, dai clienti ai partner, che riconoscono nell’azienda un’organizzazione solida, resiliente e affidabile.
In un contesto competitivo e ad alta dipendenza digitale, avere un DRP è una forma di vantaggio competitivo: permette di riprendere le attività prima degli altri, mantenendo continuità nei servizi e nella produzione.
Come strutturare e implementare un DRP efficace
La creazione di un Disaster Recovery Plan parte da un’analisi approfondita dell’infrastruttura IT e dei processi aziendali. Va condotta una Business Impact Analysis (BIA) per identificare i servizi essenziali e definire le soglie di tolleranza.
Segue la progettazione tecnica, che include la definizione delle strategie di backup, failover e replica, la scelta delle tecnologie più adatte e la predisposizione delle risorse (on-premise, cloud, ibride). È cruciale coinvolgere anche il personale: ogni ruolo deve essere consapevole delle proprie responsabilità e dei flussi di comunicazione da attivare in caso di emergenza.
L’implementazione finale prevede la redazione formale del piano, l’approvazione da parte del top management e la distribuzione controllata, per assicurare accesso e consapevolezza solo a chi necessario.
Un piano vivo: test e aggiornamento continuo
Un DRP non è mai un documento statico. Per essere efficace, deve essere testato, rivisto e aggiornato regolarmente. I test – sia simulati che reali – servono a verificare i tempi di risposta, l’efficacia delle procedure e la coerenza tra teoria e pratica.
Allo stesso modo, ogni modifica all’infrastruttura IT, ai processi aziendali o all’organigramma deve riflettersi nel DRP. Solo così si può garantire che il piano resti aderente alla realtà operativa e pronto a entrare in azione quando serve davvero.
Conclusione
In un’epoca dove l’imprevisto è la nuova normalità, dotarsi di un Disaster Recovery Plan non è un lusso, ma una necessità. La resilienza digitale non si improvvisa: si progetta, si struttura e si allena. Perché la continuità operativa non si basa sulla fortuna, ma su una strategia solida e consapevole.
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