Diablo Immortal: un’analisi dello scandalo in casa Blizzard

Il 2 di giugno di questo mese è uscito Diablo Immortal, l’ultimo titolo della serie Diablo, un franchise detenuto dalla Blizzard Entertainment e… wow… la prima cosa che mi viene da dire è “wow”, non si è mai visto un casino del genere.

Il primo record che questo gioco è riuscito a sfondare sono le critiche negative. Attualmente siede su un 0.4/10 user score su metacritic.

A cosa è dovuto questo review-bombing che, tra l’altro non è stato difeso praticamente da nessuno? Semplice: il gioco presenta il più esteso, immenso, predatorio e spudorato sistema di micro-transazioni mai visto nella storia dei videogiochi.

Per riassumere la questione all’osso: non è virtualmente possibile il gioco senza spendere una quantità astronomica di quattrini in… beh, in tutto quello che, di solito, in un videogioco RPG, viene guadagnato dal giocatore giocando normalmente. Avete presente? Armi, punti esperienza, livelli per il nostro personaggio, praticamente tutto cosa soldi veri. E stiamo parlando di molti soldi. Facendo una stima ad occhio parliamo di circa un totale di centomila dollari (poco meno in euro) per ottenere quello che ci serve per finire il gioco… con un solo personaggio (e se vogliamo ricominciare l’avventura da capo? Si riparte).

E’ un misto di questo e anche una (mal)sana spolverata di gioco d’azzardo, visto che alcune delle cose sopracitate si ottengono con il tristemente metodo delle loot-box (funzionano come una slot-machine. Nè più né meno).

Un trattamento simile a un titolo di una serie antica e famosa come Diablo ha ovviamente scatenato un vero tsunami tra boicottaggi, recensioni negative e anche qualche causa legale. Una vera Caporetto per la “cara” Blizzard (la cui reputazione, negli ultimi anni, non era esattamente ai massimi storici).

La mia domanda, dopo aver assistito a questo massacro (che và avanti tutt’ora, anche mentre scrivo) è: Perché?

Le pratiche anti-consumatori e predatorie fanno ora mai parte dell’arsenale della Blizzard, che, probabilmente per ragioni finanziarie, ha deciso che la sua politica deve essere costruita interamente sul massimizzare il profitto economico di ogni singolo prodotto, senza se e senza ma.

Ma assistere a quello che è successo a Diablo… và persino oltre.

Possibile che nessuno alla Blizzard si sia fatto due domande? Come siamo arrivati a questo?

Partiamo da alcuni fattori fondamentali: Negli ultimi anni l’industria dei videogiochi è cresciuta a dismisura, attirando clienti, attenzioni e, sopratutto, investitori. E’ un industria in super-espansione, nonostante le crisi che si sono abbattute sul nostro mondo negli ultimi anni.

Da un po’ di anni, però, si sono sviluppati due “fenomeni” (chiamiamoli così): giochi per smartphone e le micro-transazioni.

I primi sono tutti quei giochini semplici, facili da produrre e da vendere stile Candy Crush, Angry Birds e tutta la loro infinita sfilza di cloni e titoli simili che hanno tutti lo stesso stile alla base: un design elementare e un basso costo di produzione. Si producono a poco e vendono tanto.

Le micro-transazioni sono tutti quei sistemi che mirano a spillare poco per volta soldi extra al giocatore mentre questo gioca (con le scuse più disparate).

Lasciamo un attimo da parte i giochini per smartphone e concentriamoci sulle micro-transazioni.

Questo mercato è entrato al suo apice grazie a Fortnite. C’è da dire che il multimilionario mercato delle micro-transazioni di Fortnite non è derivato da forzare il giocatore a pagare per poter procedere nel gioco (insomma, non è un pay-to-win). E di pay-to-win ce ne erano pure sul mercato, ma erano tutti titoli semi-fallimentari di bassa qualità. Ma dopo aver visto la miniera d’oro che poteva essere un gioco a tripla A (specie dopo un altra hit: Apex Legends) monetizzato, si è cercato di volta in volta di riesumare vecchie serie di videogiochi con lo schema del pay-tow-in, delle loot-box etc… E da qui hanno trovato la loro fine migliaia di famose serie di videogiochi: Dungeon Keeper e Command & Conquer sono un esempio perfetto. Nel momento in cui la monetizzazione

ha toccato questi titoli (unita al formato trasformato come gioco per smartphone), sono finiti in quanto serie attiva. In parte per la rabbia del pubblico, in parte perché sono falliti e basta.

Ciò che rende il caso di Diablo Immortal particolare, però, è il fatto che è un gioco a tripla A a tutti gli effetti, nel senso: sotto la valanga di avvisi e opzioni atte a spillare quattrini, c’è, effettivamente, quello che poteva essere un valido successore alla saga di Diablo. Diablo: Immortal, è un gioco completamente rovinato dalla monetizzazione.

Ma questo non risponde alla domanda: la Blizzard sapeva veramente a cosa andava incontro? A mio parere, in un certo senso, sì.

Comunque il gioco è nato prevalentemente per essere giocato su Android e iOS e questo cosa significa? Che comunque è mirato a un pubblico di giocatori “casual”, giovani e comunque estranei allo standard più etico, cui normalmente i videogiochi si sono conformati negli anni precedenti a quest’era di monetizzazione predatoria.

Il backclash proviene infatti da quella fetta di giocatori esperti, o comunque consapevoli che, questo livello di micro-transazioni non è normale e rasenta la truffa. Nel senso che, potete metterla come volete, ma è gioco d’azzardo con diversi passaggi.

Perché la Blizzard è andata incontro a questo scandalo così a cuor leggero? Perché, tutto sommatto, finora sembra aver funzionato (più o meno). Comunque Diablo Immortal è riuscito a stabilirsi in un modo o nell’altro e, se la base di giocatori paganti, disposti a sborsare, poco a poco, il prezzo di una macchina nuova, è abbastanza ampia, che importa se diverse migliaia cestinano il tuo gioco o scrivono recensioni negative?

Comunque, questo tipo di giocatori non legge le recensioni e non guarda i video di recensione su Youtube, per intenderci. Quindi la Blizzard, dietro le quinte, potrebbe semplicemente scrollarsene le spalle.

Tuttavia, persino mentre scrivo, la rabbia contro Diablo Immortal prosegue, arrivando a interessare elementi anche fuori dall’ambiente video ludico (se è gioco d’azzardo non dichiarato… qualche legge potrebbe essere stata infranta in qualche stato? Vedremo). Quindi forse la Blizzard non ha vinto la sua scommessa: e cioè andare incontro a uno scandalo mostruoso pur di rientrare nelle spese. Una storia triste e poco edificante.

Il mio consiglio su Diablo: Immortal? Non giocateci e se avete dei figli piccoli con un tablet in mano, almeno fate in modo di non lasciargli la carta di credito.

Francesco Viglione

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Appassionato di cinema, teatro, serie televisive e videogiochi fin da quando ha memoria diplomato alla Scuola Holden di Torino, il suo percorso di studi spazia dalla drammaturgia teatrale alla sceneggiatura, passando per la narrativa tradizionale.