È passato più di un secolo dalla scoperta dei primi scheletri e trent’anni dal primo Jurassic Park, ma la verità è che i dinosauri non ci hanno mai mollato. Anzi, sembrano più vivi che mai. Li vediamo ovunque: al cinema in reboot infiniti, nelle serie tv animate per bambini, nei videogiochi dove scappiamo da velociraptor pixelati, nei documentari che cercano di ricostruire il loro mondo con una precisione maniacale. E poi ci sono i parchi a tema che promettono di farci sentire come se fossimo davvero in mezzo a un branco di triceratopi. Ma perché questa ossessione collettiva non accenna a morire?
Una risposta potrebbe essere la nostalgia. Chi non ha ancora in mente il T-Rex che ruggisce sotto la pioggia nel film di Spielberg? Quell’immagine è diventata un’icona pop che si è incollata nella nostra memoria collettiva, un momento che ha segnato una generazione. Ma non è solo questione di ricordi. I dinosauri toccano corde profonde. Sono creature gigantesche, misteriose, mai viste davvero in vita, che ci ricordano quanto sia fragile la nostra esistenza su questo pianeta. In un’epoca in cui parliamo di crisi climatica ogni giorno, sapere che una specie dominante sia sparita in un attimo per colpa di un cataclisma cosmico fa un po’ paura, ma anche riflettere su quanto potremmo essere vulnerabili noi.
C’è anche un lato psicologico: i dinosauri ci permettono di confrontarci con l’ignoto. Sono l’emblema di un mondo che non ci appartiene, ma che in qualche modo possiamo ricostruire pezzo dopo pezzo grazie ai fossili, alla paleontologia e all’immaginazione. È un esercizio di potere e di fantasia: possiamo immaginare com’erano, possiamo persino “riportarli in vita” con la tecnologia digitale, ma sappiamo che in realtà non li controlleremo mai.
E poi c’è l’intrattenimento puro: i dinosauri sono semplicemente cool. Sono mostri veri, non inventati, che ci danno l’illusione di poter esplorare un passato in cui l’umanità non contava nulla. Dai documentari BBC ultra-realistici fino a Jurassic World, passando per serie come Prehistoric Planet, ogni volta che un diplodoco appare sullo schermo torniamo bambini, con gli occhi spalancati e il cuore che batte più forte.
E mentre Hollywood continua a sfornare sequel e spin-off, l’industria del divertimento non resta a guardare. I parchi a tema come quelli di Universal cavalcano l’onda con attrazioni sempre più immersive: montagne russe che ti sparano via mentre un T-Rex ti insegue, esperienze VR che ti fanno camminare tra stegosauri e pterodattili, laboratori di fossili per far giocare i bambini (e gli adulti con la sindrome di Peter Pan). E poi c’è la valanga di gadget: magliette, action figure, Lego, libri pop-up, collezioni di figurine e persino linee di makeup ispirate ai dinosauri.
Ma i dinosauri non sono solo intrattenimento, sono anche cultura pop e scienza intrecciate in un modo unico. La loro presenza costante alimenta una curiosità scientifica che spinge milioni di persone nei musei di storia naturale. Ogni nuova scoperta – come un piumaggio inaspettato o un comportamento sociale complesso – finisce subito sulle prime pagine dei giornali e nei feed dei social. E non dimentichiamo il fascino dell’ipotesi che li lega agli uccelli di oggi: ogni passero che vediamo potrebbe essere, in un certo senso, un parente lontano del T-Rex.
Insomma, i dinosauri sono un mix perfetto di nostalgia, paura, meraviglia e business. Rappresentano l’ignoto che ci affascina, ma anche la catastrofe che ci spaventa. Sono creature che non possiamo vedere dal vivo ma che conosciamo nei minimi dettagli grazie alla scienza e ai media, e questo paradosso li rende ancora più magnetici. Ci ricordano che il mondo non è stato sempre come lo conosciamo, e che potrebbe cambiare di nuovo in modi che non possiamo prevedere.
Finché continueremo a sognare di vederli camminare davanti a noi – senza essere sbranati – l’industria dell’intrattenimento non smetterà mai di resuscitarli. E, a giudicare dall’hype che ogni nuova uscita riesce a generare, non possiamo che ammetterlo: i dinosauri hanno ancora un potere primordiale su di noi. Un potere che attraversa i decenni e ci spinge, ancora oggi, a pagare un biglietto per sentirci minuscoli davanti a un gigantesco predatore che non esiste più.





