C’era una volta il club Divinae Follie. E un Paese che ballava come se il futuro non dovesse mai arrivare

Il libro di Lucio Palazzo racconta l’epopea del tempio pugliese dell’house music. Ma intorno a quel mito, un’Italia intera si specchiava nel rito della notte. E oggi quei luoghi giacciono abbandonati come cattedrali di un tempo perduto.

Erano templi, non locali. Cattedrali laiche costruite per celebrare l’unico vero culto di un’intera generazione: la notte. E a officiarla c’era un Sud visionario, che non aveva nulla da invidiare alla riviera romagnola. Lì, a Bisceglie, il Divinae Follie non era solo una discoteca. Era un sogno architettonico tra velluti, marmi, specchi e corpi in trance. Ora quel sogno torna a vivere tra le pagine di “Divinae Follie – Storia della generazione che ballava negli anni Novanta” (Castelvecchi), il libro di Lucio Palazzo che, in pochi giorni, ha conquistato le classifiche Amazon.

Non è solo nostalgia. È un documento culturale. Una radiografia di un’Italia che si specchiava nella notte per sentirsi finalmente libera. Prima dei telefoni, prima dei like. Quando le relazioni si consumavano su un divano di pelle sintetica al privè, e non su un’app. Quando bastava un deejay e una strobo per credere di esistere.

Eppure, mentre questo libro riporta alla luce il mito del Divinae Follie, molti di quei templi della notte oggi giacciono abbandonati, come rovine post-industriali di un’epoca che non ha avuto il coraggio di salvarsi.

Il Cocoricò di Riccione, icona assoluta, dopo anni di splendore e battaglie legali, ha riaperto. Ma molti altri sono finiti nel dimenticatoio. Il Cybernella di Collazzone, in Umbria, oggi è un relitto sommerso dal silenzio. Il Jaiss di Empoli — leggendaria macchina da guerra della techno toscana — è diventato una distesa di polvere e ricordi. Il Prego di Taranto, il Carruba a Reggio Calabria, il Makkaroni Club nel bolognese: nomi che per anni hanno definito una geografia parallela dell’Italia che ballava.

Luoghi che, come scrive Lucio Palazzo, erano «palcoscenici di carne e luci», dove si provava a essere qualcosa di più di ciò che il giorno ci permetteva di essere. E oggi invece sono spesso ridotti a scheletri in cemento armato, invasi dalle erbacce, visitati solo da urban explorer e fotografi nostalgici.

Il libro di Palazzo, però, fa qualcosa di raro: ridà dignità a quel mondo. Racconta le vite, le famiglie, le ambizioni e le ferite dietro una consolle. A partire dalla storia di Vito Mastrogiacomo, imprenditore visionario che dopo un viaggio a Londra importò a Bisceglie l’idea di clubbing internazionale. Con i figli Titti e Leo costruì un sogno. E lo ricostruì perfino dopo una bomba.

Il risultato? Una narrazione che non idealizza ma non condanna. Anzi, invita a riflettere: perché l’Italia ha lasciato morire questi luoghi? Perché abbiamo rimosso i templi della notte come fossero colpe? Forse perché parlavano di libertà. Di corpi. Di diversità. Di desideri.

E oggi, nell’epoca del controllo e della performance permanente, quella libertà fa paura.


Prossimi appuntamenti con l’autore:

  • 12 luglioFestival del Libro Possibile, Polignano a Mare
  • 15 luglioFeltrinelli, Bari
  • 29 luglioOgnissantino, Trani
  • 30 agostoLibri nel Borgo Antico, Bisceglie

Lucio Palazzo, giornalista e autore Rai, racconta con delicatezza e precisione chirurgica l’ultima generazione cresciuta senza internet, dove il contatto era reale e il buio aveva un suo sacro potere. Dopo aver scritto dei Negramaro e di Gino Paoli, oggi riaccende le luci su chi siamo stati. E su ciò che abbiamo dimenticato troppo in fretta.

Perché c’erano una volta le discoteche, sì. Ma erano molto più che posti dove ballare.
Erano luoghi dove si diventava se stessi.

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