Carmen Consoli come Rosa Balistreri: ribelle, vera, scomoda. Ecco perché la musica italiana non sa gestire la libertà delle donne

C’è un filo rosso che brucia e unisce due voci che non si sono mai piegate: quella di Rosa Balistreri, la cantastorie di Licata che cantava la miseria e la rabbia della Sicilia, e quella di Carmen Consoli, la cantautrice catanese che da sempre sfugge ai cliché e ai compromessi commerciali. Oggi, in un’Italia musicale dominata da logiche di streaming e tormentoni, la cantantessa alza la testa e dice: Siamo tutte figlie di Rosa. Io la amo.

Il pretesto è L’amore che ho, il film di Paolo Licata tratto dal romanzo di Luca Torregrossa (nipote di Rosa), che porta al cinema la storia di una delle figure più potenti, scomode e dimenticate della musica italiana. Un’opera che non edulcora, che non romanza, ma che racconta la verità nuda e cruda di una donna che ha trasformato la sofferenza in arte.

Ma perché oggi, proprio Carmen Consoli, è la sola voce credibile per raccogliere quella pesantissima eredità?

Perché come Rosa, anche Carmen non ha mai cercato l’approvazione. Non ha mai ammiccato alle mode. Non ha mai cantato quello che “funziona”. Ha preferito il dialetto all’inglese, le storie vere alle hit usa-e-getta, il palco dei teatri ai riflettori delle playlist. Entrambe hanno fatto della Sicilia non un colore folkloristico, ma una radice politica, culturale, sonora. Entrambe hanno parlato delle donne da donne, con rabbia, con dolcezza, con la ferocia dell’onestà.

Rosa cantava i carcerati, la violenza, la fame. Carmen canta le madri, la solitudine, la lotta silenziosa. Non è pop: è rivoluzione.

Eppure, mentre gli uomini che fanno lo stesso vengono celebrati come “poeti maledetti”, le donne così vengono spesso lasciate ai margini. “Difficili”, “intense”, “poco radiofoniche”. Ma chi ha detto che un’artista debba essere comoda?

In un panorama musicale che premia l’omologazione, la presenza di voci come quella di Carmen Consoli è un atto politico. E il fatto che oggi sia proprio lei a rilanciare l’eredità di Rosa Balistreri dovrebbe farci riflettere su quanto la musica italiana — ancora oggi — fatichi ad accettare le donne quando non stanno al loro posto.

“L’amore che ho” non è solo un film. È un avvertimento: la musica può ancora scuotere, denunciare, resistere. Ma solo se ha il coraggio di essere scomoda.

E allora diciamolo forte: Carmen Consoli è l’erede di Rosa Balistreri. Non per imitazione, ma per discendenza spirituale. Perché certe voci non passano. Si trasformano. E tornano a farsi sentire, ogni volta che una donna decide di non tacere.

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