Recensione Film: Inside out

Quei geniacci della Pixar, era da ben due anni che avevano fatto perdere le loro tracce. Ma, con Inside Out, l’ultimo lungometraggio animato da questi ideato, sono riusciti ancora una volta a dimostrare la loro sconfinata visionarietà delle cose. Ma prima, vorrei fare una breve digressione, parlandovi del cortometraggio che precede questo film, ossia, Lava, incentrato sulla relazione d’amore a distanza fra due vulcani umanizzati. Innanzitutto, le tecnologie messe a disposizione per questo corto, riproducono delle ambientazioni da sogno, che si dimostrano essere un vero e proprio spettacolo per gli occhi. Il concepimento topografico dell’isola su cui svetta il vulcano Uku, gli uccelli in volo e soprattutto, i banchi di nuvole, immergono lo spettatore in un’atmosfera bucolica fantasiosa e d’incanto. In Lava, siamo come sospesi nel tempo. Ad esso, non sappiamo attribuire una precisa era od una precisa epoca…. Il nostro unico scopo, è goderci semplicemente questa storia senza tempo.

Il corto, ci vuole dimostrare, con delicatezza, ma senza essere sdolcinato, che anche la cosa più rude ed imponente, come può esserla un vulcano, se vista dalla giusta prospettiva, si potrebbe dimostrare capace di esprimere sentimenti profondi come l’amore romantico. Tuttavia, il corto non si ferma qui. Quest’ultimo, medita pure sulla sofferenza che deriva dal non sentirsi ricambiati in amore, con la tristezza e l’abbattimento che poi ne conseguono. In pratica, Lava, nella sua semplicità, riesce a toccare le corde più sensibili dell’animo umano, sostenuto naturalmente, dalla struggente canzone dall’omonimo titolo, intonata nella versione italiana da Giovanni Caccamo, il vincitore dell’ultimo Sanremo Giovani, e da Malika Ayane. Venendo a noi, c’è da dire che, in Inside Out, vi sia presente tutto ciò che rende grande un film: si ride, si piange, ma più che altro si riflette su certi aspetti della vita. Nella pellicola, gli stati emotivi sono stati antropomorfizzati: la gioia, vista come una moderna Trilli entusiasta della vita; la tristezza, come un’adolescente trasandata ed insicura, la quale, a livello visivo, ricorda parecchio la Velma della serie animata cult, Scooby-Doo; la rabbia, come un impiegato medio, irritato costantemente dall’ingiusta società che lo circonda; il disgusto, come una snob del Upper East Side di Manhattan, anch’essa, non poco somigliante fisicamente alla Daphne di Scooby-Doo; ed infine, la paura, alla stregua di un cervellone dalle movenze goffe, timoroso d’ogni cosa. Il lungometraggio, non solo diverte e commuove, ma ha dalla sua, anche l’intento di avere una funzione pedagogica e formativa. Ci spiega quanto la crescita sia una fase molto delicata nello sviluppo di una persona. Sottolinea, come gli individui, nei loro primi anni di vita, siano connaturati quasi ed esclusivamente solo da emozioni di felicità e gioia, in quanto, protetti dal nucleo familiare che si occupa regolarmente di loro, richiamando, con quest’ultimo aspetto, le teorie pediatriche e psicoanalitiche del pediatra e psicoanalista inglese Donald Woods Winnicott. Ciò nonostante, prima o poi, bisognerà fare i conti con la realtà della vita e le sue sofferenze, che in qualche modo dovremo imparare ad affrontare e di conseguenza, a superare. Non vi sono emozioni degne di maggior considerazione rispetto ad altre; tutte sono importanti allo stesso modo. Come la gioia e la tristezza. Due facce della stessa medaglia che non possono esistere l’una senza l’altra.

Quanti di noi non hanno ricordato con nostalgia e malinconia un felice evento passato oppure non sono stati allegri e felici per un qualcosa di brutto oramai accaduto tempo fa e lasciatosi alle spalle. Per l’appunto, spesso è la comprensione che porta con sé la tristezza la via giusta da prendere per giungere ad una serenità interiore.

Oltretutto, Inside Out, è anche una metafora sul ciclo della vita. Più cresciamo, più ci avviciniamo all’età adulta, e più non possiamo più vivere solamente nel sogno ad occhi aperti. Ed è qui che, un sentimento reputato negativo ed ostile come la tristezza, è in grado di fungere da mediatore per affrontare con maggior calma, consapevolezza e pragmatismo gli ostacoli che la vita ci mette davanti ogni santissimo giorno. Malgrado ciò, in una piccola parte di noi, ci sarà sempre spazio per il bambino gioioso e spensierato che eravamo un tempo. È arguta l’idea di inserire i personaggi legati agli stati d’animo in un cervello similare ad una stazione operativa, dalla quale vengono governate le reazioni al mondo esterno. Un cervello entro cui, i suoi abitanti si battibeccano su come sia più giusto procedere, marciando su una comicità nonsense, della quale, la scuderia Pixar ne ha sempre fatto largo uso. Inoltre, è sbalorditiva la resa dei vari luoghi della mente, dipinti dall’immaginario comune come astratti. Innanzitutto, il quartiere dei sogni, una frazione magica, della sfera onirica di ogni persona, immaginato alla maniera di un colorato e variegato parco tematico, con tanto di set hollywoodiano, ove hanno anche voluto inscenare una evidente presa in giro nei confronti della moda imperante del bimbominkia, delineandolo come un vuoto manichino fabbricato in serie, tirato e lisciato in ogni occasione, capace di esprimersi soltanto con frasi stereotipate e povere di un reale contenuto. Altrimenti, la caverna degl’incubi, uno spazio semioscuro e spettrale, in cui le uniche tinte che vi si possono scorgere, sono tinte forti ed inquietanti sul piano visivo, come il rosso o il viola; un territorio, nel quale, hanno cercato di inserire in alcuni frangenti, sul piano della messa in scena, delle situazioni di panico e di angoscia, prese in prestito dal genere horror, rese ancor più sgomente e terrificanti grazie al supporto delle paure più ricorrenti fra i bambini, tipo il buio, gli uomini neri, gli armadi stregati e certi clown che non ci stanno poi tanto bene con la testa. Molto fine, è persino la critica diretta ai media, e nello specifico alla pubblicità, i quali, sono abili nell’insidiarsi entro la mente di chi li osserva, alterandone in alcuni casi la loro volontà ed il loro potere decisionale. Infine, la citazione e la sperimentazione di correnti artistiche come il Cubismo e l’Astrattismo, rendono Iside Out un’opera unica nel suo genere. Concluderei, invitandovi vivamente a non abbandonare la sala durante i titoli di coda, per nessun motivo al mondo, dato che, le brevi sequenze animate che scorrono assieme ai crediti, sono di uno humour, che strapperebbe una risata persino al signore dei musoni. Da vedere assolutamente, sia per gli amanti dell’animazione al cinema, che per i non, non c’è altro da aggiungere.

 

Gabriele Manca

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